Tentativi di riforma e vuoti legislativi: le violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita

La lunga storia di oppressione dei diritti umani in Arabia Saudita

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  Flora Stanziola
  22 gennaio 2023
  5 minuti, 3 secondi

Nonostante l’annuncio di importanti e necessarie riforme da parte del regime saudita nel 2020 e nel 2021, persistono ancora dei forti ostacoli al progresso a causa della repressione quasi totale della società civile e l’applicazione della pena di morte.

La recente condanna a morte del professore di diritto detenuto in carcere in Arabia Saudita dal 2017 mette in luce come il paese, nonostante una diminuzione delle esecuzioni durante il periodo pandemico, sia ben lontano dalla loro abolizione. Il paese arabo è noto per le ricorrenti violazioni dei diritti alla libertà di espressione, di riunione e di associazione e cerca di distrarre l'attenzione internazionale ospitando grandi eventi di intrattenimento, culturali e sportivi.

È bene notare che l’Arabia Saudita è una monarchia assoluta, retta dalla dinastia saudita. Non esiste infatti una Costituzione scritta e viene applicata come legge nazionale e fonte legislativa principale l’interpretazione non codificata della Sharia, la legge islamica. Quasi tutti i diritti politici e le libertà civili sono limitati, nessun funzionario a livello nazionale viene eletto, i partiti politici sono vietati e il dissenso politico è di fatto criminalizzato, i media nazionali e la stampa regionale sono fortemente influenzati e controllati dal governo.

L’estrema sorveglianza da parte del governo limita la libertà di espressione così come quella di pensiero e d’associazione. Alcune delle organizzazioni e degli attivisti per i diritti politici più importanti del Paese, tra cui i membri fondatori della Associazione saudita per i diritti civili e politici (ACPRA) bandita nel 2013, sono stati arrestati e condannati al carcere negli ultimi anni. Di fatti, l’assenza di un Codice penale scritto permette ai giudici e ai pubblici ministeri di condannare le persone per un'ampia gamma di reati con accuse talvolta generiche. I detenuti, compresi i bambini, sono spesso vittime di violazioni sistematiche dei diritti e di arresti arbitrari.

All’interno di questo vuoto legislativo assume un ruolo di primaria importanza la Specialized Criminal Court – SCC, un organo istituito nel 2008 per processare individui accusati di crimini legati al terrorismo e che dal 2011, è stato utilizzato per perseguire individui con accuse vaghe che spesso equiparano attività politiche pacifiche a crimini legati al terrorismo.

Secondo Amnesty International la SCC ha emesso incarcerazioni nei confronti di persone accusate in virtù del loro lavoro per i diritti umani e per aver protestato nei confronti della stessa corte. Inoltre, le storiche tensioni tra le due correnti musulmane sciita e sunnita, entrambe presenti sul territorio saudita vedono la minoranza musulmana sciita del paese, ritenuta in opposizione al regno di Salmān bin ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd, subire discriminazioni sistematiche e violenze da parte del governo. Tali oppositori sono soggetti a lunghe reclusioni, condannati al braccio della morte per accuse legate alle proteste a seguito di processi palesemente iniqui. Poiché in Arabia Saudita le esecuzioni vengono confermate solo dopo che hanno avuto luogo, non è possibile avere informazioni su quante persone possano trovarsi nel braccio della morte.

Il ricorso alla pena di morte avviene in maniera indiscriminata anche nei confronti di minori e la repressione del dissenso nei confronti di difensori dei diritti umani e dell’opposizione, nonché la persecuzione delle persone omosessuali, rimangono brutali. Un evento eclatante è stata l’esecuzione di 81 uomini il 12 marzo 2022, considerata la più grande esecuzione di massa degli ultimi anni, mentre l’avvenimento più recente risale al 15 gennaio 2023 quando il docente di diritto Awad Al-Qarni è stato condannato a morte per presunti reati, tra cui l'uso di WhatsApp e Twitter e per aver condiviso notizie considerate ostili al governo.

Un ulteriore vuoto legislativo è rappresentato dall’assenza di protezioni per i lavoratori migranti. Il rischio di abusi e sfruttamento per questi rimane elevato a causa del sistema di lavoro tramite sponsor (Kafala system) in vigore nel paese. Il sistema della kafala permette ai migranti di accedere nel paese sotto determinate condizioni dettate dallo sponsor che li assume, tra queste l’impossibilità di cambiare lavoro, il sequestro del passaporto e il divieto di uscire dal paese senza il permesso del datore di lavoro. Sebbene a marzo 2022 siano state avviate una serie di riforme del sistema allentando alcuni di questi vincoli legati per lo più alla richiesta del permesso al datore di lavoro per l’uscita dal paese, in realtà le riforme non prevedevano un’abolizione di tale permesso. In questo modo numerosi migranti sono stati accusati di avere violato la normativa vigente in materia di permesso di soggiorno, sicurezza delle frontiere e lavoro comportandone la detenzione arbitraria e la successiva espulsione. Tra novembre e dicembre sono state arrestate almeno 117.000 persone, sia uomini che donne, per avere violato queste norme, e circa 73.000, in prevalenza migranti etiopi e yemeniti, sono stati successivamente espulsi e rimandati nei loro paesi d’origine dopo essere stati rinchiusi in centri di detenzione, spesso sovraffollati, situati ad Al-Kharj e Al-Shumaisi in Arabia Saudita, in attesa del rimpatrio forzato e soggetti a percosse e torture.

L'istruzione e i diritti economici delle donne saudite sono migliorati in modo significativo negli ultimi anni, ma le donne sono ancora soggette a un'ampia discriminazione legale e sociale, in particolare attraverso il sistema di tutela, in cui le donne devono affidarsi a un parente maschio stretto (wali) per ottenere l’approvazione a svolgere determinate attività. Sebbene le riforme legali abbiano recentemente ridotto la portata di questo sistema di tutela, esso rimane profondamente radicato nelle pratiche e nei costumi della società e il grado di libertà di una donna dipende in larga misura dalla famiglia di provenienza.

Gli sforzi di riforma, quindi, non riflettono un reale impegno da parte del governo e della società Saudita nell’incontrare un miglioramento dei diritti umani nel paese.


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Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-2021-2022/medio-oriente-e-africa-del-nord/arabia-saudita/

https://www.amnesty.org/en/latest/news/2020/02/saudi-arabia-specialized-criminal-court-a-political-tool-to-muzzle-critical-voices/

https://freedomhouse.org/country/saudi-arabia/freedom-world/2022

https://www.hrw.org/news/2022/03/15/saudi-arabia-mass-execution-81-men

Fonte immagine:

https://pixabay.com/it/photos/arabia-saudita-bandiera-striscione-2697320/

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L'Autore

Flora Stanziola

Autrice da giugno 2022 per Mondo Internazionale Post. Originaria dell'Isola d'Ischia e appassionata di lingue e culture straniere ha conseguito nel 2018 il titolo di Dott.ssa in Discipline per la Mediazione linguistica e culturale. Dopo alcune esperienze all'estero e nel settore turistico, nel 2020 ha intrapreso la strada delle relazioni internazionali iscrivendosi al corso di laurea magistrale in Politiche per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo, appassionandosi alle tematiche relative alla tutela dei diritti umani. Recentemente ha concluso il suo percorso di studi con la tesi dal titolo: "L'Uganda contemporaneo: dalle violenze ai processi di sviluppo".

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Diritti umani kafala pena di morte donne medioriente