COP 29: la la drammatica sfida per trovare le fonti finanziarie per il futuro

  Articoli (Articles)
  Tiziano Sini
  25 novembre 2024
  3 minuti, 1 secondo

Che la crisi climatica sia uno dei problemi più seri e centrali nelle agende politiche di molti Paesi è acclarato. Allo stesso tempo, però, è importante evidenziare che le emissioni di gas serra sono aumentate negli ultimi anni, raggiungendo la cifra record di 57,1 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. Una tendenza allarmante, che inciderà negativamente nel contenimento della temperatura media locale al di sotto della soglia di 1,5°C[1].

Seguendo questi presupposti, sono molti i dubbi che potrebbero sorgere riguardo le iniziative internazionali, finalizzate a contrastare il fenomeno attraverso il multilateralismo. Un riferimento in particolare in questo caso va all’ultima COP29, tenutasi a Baku.

Le COP, ovvero le Conferenze delle Parti che hanno aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici, rappresentano probabilmente il più importante contesto negoziale in materia climatica. Riuniscono, infatti, un numero elevato di Paesi - ben 198 - al cui interno è compresa anche l’Unione Europea.

A partire dalla prima COP, tenutasi a Berlino, i risultati di questi summit internazionali sono stati altalenanti, poiché, oltre alle mere promesse o buone pratiche, sarebbe necessario adottare policy estremamente onerose che per questo necessitano di ingenti aiuti economici.

Non è difficile, infatti, ricostruire quanto accaduto, durante una delle Conferenze sul clima più lunghe, chiusasi con ben 32 ore in più del previsto. Negli ultimi giorni, sul tavolo delle trattative al vaglio dei negoziatori era presente un nuovo obiettivo di finanza climatica, che per la decade 2025-2035 prevedeva un contributo da parte dei Paesi industrializzati intorno ai 250 miliardi di dollari all’anno.

Questo ennesimo tentativo ha cercato faticosamente di conciliare le parti, ma con estrema difficoltà e con esiti piuttosto negativi. Solamente nelle battute finali, e grazie alla mediazione della ministra brasiliana Silva e dei vertici europei, è riuscito a raggiungere una svolta decisiva: l'aumento dello sforzo economico dei Paesi più sviluppati fino a 300 miliardi dal 2035[2]. Si tratta di una timida apertura dai Paesi più industrializzati nei confronti di quelli in via di sviluppo, ma che resta del tutto insufficiente ad affrontare le sfide epocali che aspettano l’umanità.

Secondo le stime dei ricercatori ONU, per limitare il riscaldamento globale approntando strategie considerevolmente serie di decarbonizzazione servirebbe, infatti, il quadruplo della somma stanziata al momento, ovvero circa 1.000 miliardi di dollari di finanziamenti pubblici.

Una situazione che poco si discosta da quella presentatasi durante altre COP, evidenziando quanto difficilmente la situazione potrebbe avere un repentino miglioramento nelle successive Conferenze, vista l’enorme distanza fra le parti. Senza considerare un aspetto assolutamente non secondario nella partita: il ruolo degli Usa dopo la vittoria alle elezioni di Trump.

Infatti, non è una novità quanto Trump osteggi questo tipo di politiche, tanto da dichiarare più volte prossima l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi del 2015, il principale impegno in termini di riduzione delle emissioni stipulato dagli Stati membri della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Una scossa dalle conseguenze negative enormi, che potrebbe vanificare i pochi e onerosi sforzi compiuti fino ad ora, rischiando oltremodo di far venire meno un significato sostegno finanziario prezioso [3].

Tutte ragioni che richiamano l’attenzione sull’importanza degli attori in campo, a partire dal ruolo che Ue e Cina dovranno tenere e dall’importanza di politiche multilaterali, soprattutto per quanto riguardano gli sforzi economici.

Mondo Internazionale APS - Riproduzione Riservata ® 2024

Condividi il post

L'Autore

Tiziano Sini

Tag

COP29 baku UE USA climate change Unep ONU