CRISI AD HAITI: DICHIARATO LO STATO D’EMERGENZA DOPO L’ATTACCO AD UNA PRIGIONE DELLA CAPITALE

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  Laura Rodriguez
  12 marzo 2024
  4 minuti, 50 secondi

Coprifuoco e stato d’emergenza per 72 ore: è stata questa la risposta del governo haitiano in seguito all’attacco ad una delle principali prigioni della capitale che ha provocato la fuga di migliaia di detenuti. A decretarlo è stato un comunicato governativo ufficiale che ha stabilito un periodo di allerta di 3 giorni nella capitale Port-au-Prince dopo che, a seguito dell’acuirsi delle proteste iniziate il 29 febbraio, l’assalto di gruppi armati ha reso possibile l’evasione di oltre 3000 detenuti, provocando scompiglio e timore nella popolazione.

I FATTI

Il recente assedio alla prigione di Port-au-Prince segue quelli che sono stati gli ultimi avvicendamenti e, in particolare, l’arrivo del primo ministro Ariel Henry in Kenya, luogo da cui dovrebbe partire la spedizione internazionale organizzata per ripristinare la sicurezza nel Paese. Stando a fonti ufficiali, una volta firmato l’accordo, il premier avrebbe tentato di rientrare, ma senza successo. Dopo essere partito dal New Jersey, Henry sarebbe stato costretto ad atterrare a Porto Rico a causa della chiusura degli aeroporti provocata dal caos che sta devastando il Paese. A “casa”, intanto, i gruppi armati guidati da Jimmy Chérizier, soprannominato "Barbecue”, aspettano il suo rientro. Proprio in merito alla recente offensiva, le bande criminali ora riunite nella nuova sigla “Vivre Ensemble” hanno affermato attraverso i canali social di voler catturare Henry non appena farà rientro. Spaventa in particolare un’affermazione del capo delle gang, il quale avrebbe rilasciato che “O il premier si dimette o sarà una guerra civile che porterà al genocidio”.

Nell’azione che ha preso d’assalto il carcere della Croix des Bouquets numerosi sono stati i feriti e non sono mancate le vittime. “Abbiamo contato molti corpi di detenuti”, ha affermato Pierre Espérance, direttore esecutivo della Rete nazionale per la difesa dei diritti umani (Rnddh). Nel tentativo di respingere l’offensiva delle bande, anche membri del personale dell’amministrazione penitenziaria hanno riportato lesioni significative. Pur non potendo fare delle stime precise, stando a quanto riportato dai giornali, dei circa 3800 presenti prima dell’attacco sarebbero solo un centinaio i detenuti rimasti nel carcere.

GLI ANTEFATTI

Quanto avvenuto nei primi giorni del mese di marzo non è purtroppo un evento isolato ma, al contrario, rappresenta il picco dell’ondata di violenza che ha travolto Haiti (e in particolare la sua capitale) dopo la morte dell’ex presidente Jovenel Moïse. A seguito del suo assassinio nel 2021, il governo è passato nelle mani del primo ministro Ariel Henry, il quale però non ha mai avuto alcuna approvazione costituzionale da parte del Parlamento. Sin dall’inizio del suo mandato, Henry è stato al centro di forti critiche per la mancata capacità di risollevare l’economia di un Paese ormai al collasso; il dissenso si è acuito ancor di più dopo che, al contrario di quanto era stato promesso, il Premier non ha previsto alcune elezioni per la nomina di un nuovo Capo di Stato. Le opposizioni, infatti, continuano a chiedere a gran voce le dimissioni del primo ministro, così come previsto dall’accordo da lui firmato il 21 dicembre 2022.

Secondo le stime dell’ONU, solo nel 2023 sono state registrate circa 5 mila uccisioni, tutte attribuibili alle 92 gang (questo il numero ufficiale pervenuto dai dati del World Report di Human Rights Watch) che, a poco a poco, hanno iniziato ad impadronirsi delle aree strategiche del Paese seminando il terrore nella popolazione tra sparatorie e violenze di ogni genere. Queste bande criminali sono superiori sia per numero che per dotazione di armi rispetto alle forze di polizia locali che spesso e volentieri nulla possono di fronte agli omicidi o alle estorsioni dei gruppi ribelli. In quella che è considerata la nazione più povera delle Americhe, la situazione è peggiorata di anno in anno e a poco è servita l’azione intentata sin qui della comunità internazionale per ripristinare l’ordine e assorbire la crisi politica e umanitaria che affligge il Paese.

IL RUOLO DELLE NAZIONI UNITE

Pur essendo una crisi che non ha sin qui coinvolto attori esterni, qualsiasi azione di altre entità statali e, in primis, dell’ONU, può rivelarsi fondamentale per l’evoluzione dei fatti. A questo proposito, il 2 ottobre scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha previsto, attraverso una risoluzione, la creazione di una Missione Internazionale con l’obiettivo di ripristinare la sicurezza ad Haiti. Con 13 voti a favore e due astensioni (quelle di Russia e Cina) la risoluzione ha sancito che l’operazione multinazionale che coinvolgerà oltre dieci Paesi durerà per un periodo iniziale di dodici mesi, con una rivalutazione che verrà fatta una volta decorsi i primi nove mesi. È stato proprio il governo haitiano a richiedere a gran voce un intervento dell’ONU, consapevole della condizione critica nella quale riversa il Paese da ormai due anni.

Di recente, anche gli Stati Uniti sono intervenuti andando a bussare alle porte di Roma per richiedere il contributo italiano alla missione multinazionale approvata dall’ONU. Seppur inizialmente cauto nella risposta, il governo di Giorgia Meloni che, di per sé, non contempla l’isola caraibica nella propria sfera d’interesse, avrebbe deciso di collaborare. L’impegno sarebbe quello di non schierare truppe sul terreno, quanto più quello di addestrare sul proprio territorio (presso la Nato Stabiliting Policing di Vicenza) alcuni dei soldati che verranno poi spediti ad Haiti; si prevede inizialmente di procedere alla formazione di militari kenyoti, non escludendo però che questa “partnership” possa essere estesa in un secondo momento anche ad altri Paesi africani.


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Laura Rodriguez

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Diritti Umani

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Violenza prigione gang crisi politica