I curdi ancora sotto assedio

Turchia e Iran attaccano la popolazione curda

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  Giorgio Giardino
  18 dicembre 2022
  5 minuti, 33 secondi

Turchia e Iran stanno conducendo delle offensive e in entrambi i casi l’obiettivo è lo stesso: la popolazione curda. Dall’inizio delle proteste iraniane, il regime ha infatti addossato ai curdi le principali responsabilità dei moti interni e sta portando avanti una dura repressione nelle aree curde del Paese. La Turchia invece ha giustificato i nuovi attacchi in Siria ed Iraq con la necessità di rispondere all’attentato di Istanbul del 13 novembre scorso, attribuito dalle autorità nazionali al PKK, nonostante quest’ultimo abbia smentito il proprio coinvolgimento. Le motivazioni di queste aggressioni sono differenti fra loro, ed in entrambi i casi collegate più al fronte nazionale che a quello internazionale. Ancora una volta quindi la popolazione curda subisce, mentre l’Occidente, soprattutto nel caso della Turchia, è restio dal prendere una posizione netta.

Chi sono i curdi

Quando si parla dei curdi ci si riferisce alla popolazione più numerosa al mondo che non ha uno Stato di appartenenza. Infatti, i circa 35 milioni di curdi vivono in quattro differenti Paesi, ovvero Turchia, Siria, Iran e Iraq. All’interno di questi singoli Paesi i curdi sono coinvolti in misura differente nella vita pubblica e godono di diversi gradi di autonomia. Il tentativo di far nascere un proprio Stato indipendente, il Kurdistan, è da lungo tempo un obiettivo dei curdi che però si è da sempre scontrato con la volontà dei quattro Stati menzionati. Soltanto in Iraq sono riusciti a costituire un governo regionale, chiamato Kurdistan iracheno.

È con la fine della Prima Guerra Mondiale che le spinte indipendentiste iniziano a prendere forza all’interno della popolazione ed inizialmente, nel Trattato di Sèvres del 1920 stipulato fra le potenze occidentali e l’Impero ottomano, viene promessa la creazione del Kurdistan. Questa decisione viene ribaltata solo tre anni dopo con il Trattato di Losanna, che non contiene alcuna menzione di quanto precedentemente accordato. Da questo momento in poi i diversi tentativi dei curdi di costruire una propria nazione saranno fermati, spesso con la forza.

Nel corso del tempo sono nati diversi partiti che aspirano alla nascita di uno Stato curdo, tra cui il più noto è il PKK, ovvero il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che dal 1984 ha deciso di intraprendere una lotta armata contro la Turchia. Per questo motivo il gruppo è riconosciuto da Turchia, Stati Uniti, Unione Europea, Iran e Nato come organizzazione terroristica.

Le proteste in Iran e l’importanza di un nome

Da quando le proteste sono iniziate, la repressione del regime si è abbattuta con estrema forza nella regione curda iraniana. Sono state proprio le città curde l’epicentro dei moti interni che ben presto si sono allargati al resto del Paese. D’altronde Mahsa Jina Amini, la ragazza di ventidue anni uccisa a Teheran dalla polizia religiosa il 13 settembre scorso, era curda. Ma anche l’ormai noto slogan “Donna, vita, libertà” nasce nel contesto delle rivendicazioni della popolazione curda iraniana, ed in particolare dal movimento di liberazione delle donne curde, affiliato al PKK.

In generale, le proteste potevano essere un momento di riflessione sulle discriminazioni e gli abusi che ormai da decenni subiscono i cittadini curdi dell’Iran, ma sembra che questa occasione sia stata sprecata. In un articolo pubblicato da Internazionale di Farangis Ghaderi e Ozlem Goner, si sottolinea proprio questo mancato riconoscimento dell’identità curda della prima vittima di queste proteste. Da qui nasce la necessità di ricordarla con il suo nome curdo, ovvero Jina – letteralmente “dare la vita” – in un Paese in cui è vietato dare ai propri figli nomi curdi.

Non c’è da stupirsi dunque se il regime abbia cercato di individuare nella minoranza curda, che conta nel Paese circa 10 milioni di abitanti, il principale responsabile delle proteste, sfruttando l’occasione per aumentare la pressione nelle regioni curde. I guardiani della rivoluzione continuano ad entrare nelle città del Kurdistan iraniano, come nel caso di Mahabad, dove lo scorso 20 novembre le vittime sono state una trentina.

La Turchia attacca in Siria e Iraq

Ma, come anticipato, la popolazione curda non è sotto attacco solo in Iran, ma anche in Siria ed Iraq dove la Turchia sta conducendo un’offensiva, denominata “Claw-Sword”, in risposta all’attentato terroristico di Istanbul del 13 novembre scorso. Erdogan aveva da tempo annunciato la volontà di intervenire in queste zone, ma finora era stato fermato da Teheran e Mosca. La situazione iraniana e l'esplosione della bomba a Istanbul hanno però modificato la situazione. In particolare, l’attentato ha rappresentato la giustificazione per poter riprendere i bombardamenti, che fino ad ora hanno portato alla morte di quasi trecento curdi, tra cui molti civili.

Continuano ad esserci comunque molti dubbi rispetto alla possibilità che dietro quanto successo a Istanbul possa effettivamente esserci la mano del PKK o della milizia siriana affiliata dei combattenti delle Unità di protezione popolare (YPG), come affermato invece, dalle autorità turche. I due gruppi hanno smentito qualsiasi forma di coinvolgimento nell’attacco che ha causato sei vittime e 81 feriti. In un Paese in cui la stampa è sempre meno libera, le uniche informazioni provengono dalle sole autorità turche che in poco tempo hanno arrestato una donna siriana di origine curde che avrebbe confessato di essere stata addestrata dal PKK.

Tutto questo avviene in un momento particolare per Ankara e per il suo presidente, che nel giugno del prossimo anno dovrà affrontare le elezioni presidenziali in una posizione di debolezza rispetto agli anni scorsi. Non sono quindi in pochi a vedere in questa nuova offensiva contro i curdi un tentativo di stringere intorno a sé il Paese. Erdogan si muove poi con la consapevolezza di avere un peso negoziale rilevante, soprattutto con gli “alleati” della Nato che sono restii dal prendere una posizione di condanna per evitare ripercussioni sull’ingresso nell’organizzazione della Svezia.

Ancora abbandonati

Ancora una volta i curdi sono abbandonati e stretti nella morsa turco-iraniana, un destino frequente nella storia di questo popolo. Solo pochi anni fa proprio i curdi erano stati elogiati e ringraziati dal mondo per aver contribuito in maniera significativa alla sconfitta dell’Isis ed alla riconquista di Kobane, città siriana che nelle scorse settimane è stata bombardata dalla Turchia. Un altro tradimento che si aggiunge a quelli del passato.

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Le fonti utilizzate per la stesura dell'articolo sono consultabili ai seguenti link:

https://www.internazionale.it/notizie/francesca-gnetti/2022/11/24/curdi-turchia-siria-iraq-iran

https://www.ilpost.it/2022/11/24/iran-turchia-curdi/

https://edition.cnn.com/2019/10/09/world/kurds-in-syria-explainer-trnd/index.html

https://www.valigiablu.it/turchia-curdi-siria-iran/

https://www.rivistailmulino.it/a/attacchi-turchi-e-iraniani-ai-curdi

https://www.valigiablu.it/turchia-curdi-siria-iran/

Fonte immagine:

https://www.pexels.com/it-it/foto/persone-strada-veicolo-polizia-10970479/

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L'Autore

Giorgio Giardino

Giorgio Giardino, classe 1998, ha di recente conseguito la laurea magistrale in Politiche europee ed internazionali presso l'Università cattolica del Sacro Cuore discutendo un tesi dal titolo "La libertà di espressione nel mondo online: stato dell'arte e prospettive". Da sempre interessato a tematiche riguardanti i diritti fondamentali e le relazioni internazionali, ricopre all'interno di MI la carica di caporedattore per la sezione Diritti Umani.

Giorgio Giardino, class 1998, recently obtained a master's degree in European and international policies at Università Cattolica del Sacro Cuore with a thesis entitled "Freedom of expression in the online world: state of the art and perspectives". Always interested in issues concerning fundamental rights and international relations, he holds the position of Editor-in-Chief of the Human Rights team.

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