Perché Erdogan ha vinto? Una riflessione politica

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  Redazione
  07 giugno 2023
  5 minuti, 53 secondi

Sul risultato vittorioso (anche se di poco) di Erdogan alle ultime elezioni politiche in Turchia, il mantra che più circola diffusamente ad Ankara vuole che le forze di opposizione abbiano scelto il candidato sbagliato e che questi abbia condotto una campagna elettorale fondamentalmente sbagliata.

Forse è davvero così, vediamo fra i tanti perché.

E’ bene cogliere anche l’altra faccia della medaglia: la sconfitta dello sfidante, Kemal Kilicdaroglu, dovrebbe essere accolta come una perdita non solo per il popolo turco ma per la democrazia in tutto il mondo.

Infatti, è davvero arduo vedere il lato positivo della vittoria del 52-48% del leader turco per le elevate probabilità che la Repubblica di Turchia scivoli ulteriormente verso un governo autoritario e persino autocratico.

E’ un lato poco piacevole per la democrazia: a livello sistemico la vittoria di Erdogan aggiunge credibilità all'idea che la rimozione dei leader autoritari attraverso le elezioni sia poco probabile.

Le aspettative che Erdogan avrebbe perso la presidenza erano alte all'inizio del 2023. Pertanto, come potrebbe spiegarsi quest’ultimo sconvolgimento elettorale, dato che Erdogan è stato a capo di una fallimentare gestione economica, accompagnata da un aumento della corruzione statale. Non è mancata in questi ultimi anni la gestione governativa in senso sempre più lontano dai principi più elementari della democrazia.

Rimane una scomoda verità, che Erdogan ha vinto solo perché Kemal Kilicdaroglu era il suo avversario.

Le cause

La Nation Alliance, la coalizione politica dell'opposizione turca, ha scelto di nominare Kilicdaroglu in gran parte a causa della sua insistenza. Dal 2010, il Partito popolare repubblicano (CHP) sotto Kilicdaroglu ha condotto le primarie per selezionare i candidati parlamentari.

Per qualche ragione, la nomina di Kilicdaroglu come candidato dell'opposizione non è stata scientemente determinata dai membri del partito. Non è stato nemmeno favorito da tutti i membri della Nation Alliance, costringendo Meral Aksener (leader del Good Party), ad abbandonare per qualche tempo i suoi partner di coalizione.

In parole povere, la nomina di Kilicdaroglu è stata imposta dall'alto, con scarsa o addirittura nessuna deliberazione ufficiale.

C'era forse un candidato più presentabile e appetibile per le preferenze degli elettori? I sondaggi sembrano suggerirlo: prima della sua nomina, questi indicavano costantemente che Kilicdaroglu non era il miglior candidato, adeguato per sconfiggere una vecchia volpe della politica come Erdogan. Anzi, il candidato dell’opposizione più popolare e preferito continuava ad essere, Ekrem Imamoglu, sindaco del CHP di Istanbul.

Tuttavia, questa opzione è stata annullata secondo la ponderazione non da poco che se Imamoglu fosse stato nominato non avrebbe potuto candidarsi per via di una causa giudiziaria in corso contro di lui.

Questa considerazione fa sì che se fosse stato nominato e contestualmente venisse bandito da una qualche sentenza giudiziaria tribunali, Kilicdaroglu avrebbe comunque avuto la possibilità di candidarsi come suo successore.

È stata pura avidità politica da parte di Kilicdaroglu insistere sulla propria nomina.

Lo sviluppo

Oltre a non avere voce in capitolo nel processo di nomina dei candidati, dopo l'inizio della campagna elettorale ci si aspettava che il campo dell'opposizione anti-Erdogan sostenesse la campagna elettorale di Kilicdaroglu senza dibattiti, dissensi o critiche e quant’altro potesse influire negativamente sui consensi.

Non sostenere incondizionatamente Kilicdaroglu è stato invece trasmesso malignamente come un sostegno di fatto volto a favore di Erdogan. La stessa pubblicazione dei sondaggi, che prevedevano una vittoria di Erdogan tre giorni prima delle elezioni, è stata giudicata come un atto immorale.

Questa manifestazione di arroganza ha portato il livello del dibattito sulla politica turca a livelli vertiginosamente bassi.

E’ bene aggiungere che gli elettori di più parti non hanno avuto alcun ruolo nella candidatura di Kilicdaroglu: ci si aspettava che si adeguassero, semplicemente perché non c'erano altre alternative.

Al danno si è aggiunto l'insulto.

Kilicdaroglu ha condotto una campagna, è vero, poco brillante e confusa negli argomenti e loro esposizione. Al punto che gli esperti della sua strategia elettorale sono stati ripetutamente invitati a rimanere in silenzio.

Nelle ultime due settimane che hanno preceduto il 28 maggio, data del voto, Kilicdaroglu ha tentato di assecondare gli argomenti tipici della destra nazionalista promettendo di deportare i rifugiati siriani.

In un cupio dissolvi progressivo, ha anche firmato un patto con il Victory Party di estrema destra di Umit Ozdag, promettendo che una presidenza Kilicdaroglu avrebbe assunto una posizione più dura sulla annosa questione conflittuale curda.

Perché si è allontanato così radicalmente dalla sua precedente strategia elettorale?

È stato perché gli è stato detto che la campagna nazionalista islamico-conservatrice di Erdogan aveva avuto grande risonanza tra gli elettori e quindi egli avrebbe dovuto fare la medesima cosa.

La svolta di Kilicdaroglu verso la destra politica negli ultimi giorni è apparsa disperata e incoerente, e sicuramente sbagliata sotto il profilo del consenso politico. E quel che è peggio, al ballottaggio ha perso una fetta di elettori curdi.

Inoltre, mentre tentava di ribattezzare la sua campagna, Erdogan ha giocato sporco: ha falsamente accusato Kilicdaroglu di collaborare con i separatisti curdi rilasciando video falsi.

Ancora più importante, appare incredibile che la campagna dell’opposizione non avesse previsto la comparsa opportunistica di tali tattiche da parte di Erdogan e non si sia preparata a questo.

Una semplice quanto efficace risposta sarebbe stata quella di mettere insieme una serie di registrazioni e filmati degli ultimi anni, nei quali Erdogan insulta le donne, prende a calci i manifestanti e sono ripresi interi involucri pieni di banconote che suo figlio cerca di nascondere.

Ciò avrebbe significato che Kilicdaroglu avrebbe condotto una campagna sempre negativa, ma avrebbe avuto il merito – e pertanto il vantaggio elettorale - di mostrare almeno la verità.

In conclusione…

A merito di Kilicdaroglu va che la corsa presidenziale non è stata una lotta leale: fin dall'inizio, Erdogan ha sfruttato i vantaggi dei media pubblici e privati ​​che gli hanno riservato uno spazio mediatico sproporzionato.

Ad esempio, TRT, l'emittente di proprietà e gestione pubblica, ha concesso a Kilicdaroglu meno di trentacinque minuti di copertura nel primo turno di votazioni, del tutto partigianamente inferiori rispetto alle oltre trentadue ore concesse a Erdogan…!

In entrambi i turni del voto presidenziale, ci sono state numerose accuse di frode e persino atti intimidatori verso gli elettori.

Tuttavia, la stragrande maggioranza di questi non è stata comprovata al punto da cambiare radicalmente l'esito del risultato effettivo.

I riscontri dell’OSCE

L'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), che ha schierato osservatori elettorali, sottolineando le condizioni inique delle elezioni, non ha riscontrato alcuna seria sovversione del processo democratico.

Detto questo, non ci sono scusanti che possano attenuare la mediocrità della campagna elettorale di Kilicdaroglu.

Alcuni suggeriscono che questi abbia fatto quanto qualsiasi candidato contro Erdogan.

La sua è una posizione indifendibile e il minimo che Kilicdaroglu possa fare è dimettersi come leader dell’opposizione.

In Turchia c’è di meglio.

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