La repentina conquista del potere da parte dei Talebani ha sortito effetti secondari e indiretti lungo diverse direttrici geografiche. La nascita dell’Emirato Islamico comporta nuove incognite e opportunità per tutta una serie di attori mediorientali, in particolare per Ankara e alcuni Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG).
Vediamo quindi quali sono le strategie e i timori dei vari attori regionali riguardo la “questione afghana”.
Il nuovo emirato secondo gli attori mediorientali: tra opportunità e rischi securitari e ideologici
La costituzione di una nuova entità islamica come quella che i talebani stanno provando a costruire implica sfide dirette non solo per i Paesi confinanti e le grandi potenze, ma anche per medie potenze regionali arabe, per Ankara e Israele.
Tra i membri del Consiglio di Cooperazione uno degli attori più coinvolti dal cambio di regime è sicuramente il Qatar. Da ormai molti anni è interlocutore privilegiato dei Talebani e ha infatti ospitato i colloqui di pace tra l’amministrazione americana e la leadership del movimento. Pur non potendo considerare il ritiro un successo, Doha vede aumentare il proprio peso politico diplomatico nei confronti di Washington. Questo nuovo ruolo di peso nello scacchiere afghano è dimostrato da due eventi in particolare: la prima compagnia aera ad aver ripreso i voli da e per l’aeroporto di Kabul è la Qatar Airways e sabato 11 agosto il ministro degli esteri di Doha, membro della famiglia regnante, si è recato in Afghanistan per dei colloqui con il premier ad interim, Mullah Muhammad Hasan Akhund.
Lo stesso sentiero di Doha è percorso dal suo principale partner, la Turchia. Già da prima della conclusione del ritiro delle forze occidentali, il presidente turco ha più volte tentato un approccio conciliatorio con i talebani, desiderando mantenere un avamposto militare a guardia dell’aeroporto di Kabul. I militari non hanno ottenuto il permesso di rimanere sul suolo afghano, ma in compenso Ankara ha ottenuto la cogestione dell’aeroporto con l’alleato qatariota. La Turchia tenta di promuovere un nuovo corso da mediatore per ingraziarsi l’inquilino della Casa Bianca, anche se permangono alcune divergenze riguardo certi dossier. Nonostante le difficoltà, Ankara mira ad essere la testa di ponte dell’alleato americano in Asia centrale, facendo leva sia sul turanismo, sia sul sentimento religioso comune delle popolazioni ivi insediate. Oltre a compiacere l’alleato americano per contrastare le mire egemoniche russe e cinesi, l’obbiettivo di Ankara, però, è anche quello di ritagliarsi un proprio spazio di influenza autonomo.
Più cauti sembrano per ora i due pesi massimi del CCG, Riad e Abu Dhabi. Queste due potenze sono state le uniche, insieme al Pakistan, a riconoscere il primo regime talebano. Venti anni dopo la situazione appare più complessa. Entrambi i Paesi temono che la vittoria talebana possa galvanizzare altre sigle jihadiste che vengono considerate potenziali attori destabilizzanti da entrambi i regimi. Il successo incassato dai talebani potrebbe dare nuova forza alla rete del radicalismo islamico su scala globale. Riad deve quindi calibrare un atteggiamento cauto, per considerazioni di natura securitaria, e rimanere attenta al corso d’azione politico-diplomatico che intraprenderanno i Paesi europei e il suo principale alleato, gli USA. Nonostante queste problematiche, Riad pensa comunque a un tentativo di avvicinamento in funzione anti-iraniana e per limitare l’influenza del Pakistan. Abu Dhabi, invece, sembra il meno propenso, rispetto ai suoi vicini, a un rapido riconoscimento del nuovo regime. Infatti Ashraf Ghani, leader della defunta repubblica, ha trovato riparo proprio negli Emirati Arabi Uniti. Accogliere il leader concorrente in fuga dal nuovo regime denota il permanere del differente orientamento strategico della federazione emiratina.
I nuovi sconvolgimenti in Asia centrale non mancano di destare preoccupazione in Israele. Alcuni analisti temono che la dinamica dei colloqui di Doha, che ha di fatto legittimato i talebani come legittimi interlocutori, possa essere emulata da altre organizzazioni radicali, prima fra tutte Hamas. Tale organizzazione gode infatti di ottimi rapporti con gli attuali interlocutori regionali dei talebani, Doha e Ankara. Il leader dell’organizzazione terroristica, Ismāʿīl Haniyeh, ha incontrato varie volte la leadership turca negli ultimi anni e sono noti i legami tra la dirigenza di Doha e l’organizzazione radicale palestinese. Come i colloqui di Doha hanno escluso il governo afghano dalle trattative, vi è il timore che un percorso simile possa essere sfruttato da Hamas per delegittimare l’Autorità Nazionale Palestinese, già indebolita e vittima di dissidi interni, monopolizzando così il panorama politico palestinese tra Gaza e la West Bank.
Fonti consultate per il presente articolo:
https://www.resetdoc.org/story...
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L'Autore
Michele Magistretti
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