Israele e Palestina: una fiamma che non accenna a volersi spegnere

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  Laura Rodriguez
  17 febbraio 2023
  4 minuti, 34 secondi

Passano i giorni e continuano le proteste in Israele da parte di una folla sempre più preoccupata di fronte alle riforme proposte dal nuovo governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu. Migliaia sono gli israeliani che ormai da più di un mese, riunitisi a Tel Aviv, sventolano le bandiere bianche e blu inneggiando il loro dissenso nei confronti di un regime che, così come viene dipinto sui cartelloni dei protestanti, sarebbe sempre più una “minaccia per la pace nel mondo”.

Il governo

L’attuale amministrazione, riconosciuta dai cittadini come il governo più spostato a destra della storia del Paese, si è insediata alla fine di dicembre, suscitando fin da subito malcontento nella popolazione. Un esecutivo composto, oltre che dal Likud (partito nazionalista e liberale) di cui Netanyahu fa parte, anche da un partito ultranazionalista religioso dominato dai coloni della Cisgiordania e altri due partiti ultraortodossi; una coalizione che vede riuniti per la prima volta tutti politici di destra e che genera per questo timore nei cittadini. Questi ultimi, infatti, si sono resi protagonisti di manifestazioni in più di 20 città in tutta Israele, toccando la soglia delle 10.000 persone scese in piazza a Tel Aviv nel mese di febbraio.

Le mosse di Netanyahu

Appare comprensibile chiedersi quali siano state, in questo "ristretto" lasso di tempo, le decisioni che hanno generato un tale timore, portando le vicende in questione ad essere uno dei temi maggiormente dibattuti dalla fine dell’anno ad oggi. Ciò che desta maggiore apprensione sono le prime riforme giudiziarie messe a punto dalla nuova direzione; in particolare, si tratta di una riformulazione che consentirebbe al parlamento israeliano di annullare qualsiasi decisione della Corte suprema con una maggioranza semplice di 61 legislatori nell'organo (che conta, per l’appunto, 120 posti). L’ inquietudine cresce ancora di più se si pensa che, parte delle innovazioni proposte, cambierebbe anche il sistema di nomina dei giudici, dando ai politici un maggiore potere di controllo.

Ma non è tutto. Infatti, parallelamente alle azioni in ambito legislativo, il governo non solo non ha fatto passi indietro rispetto alla politica di espansione nei territori occupati della Cisgiordania, ma ha anzi deciso di perseguirla ancora più intensamente. Atteggiamento, questo, che spiega diversi episodi che si sono susseguiti nel Paese in questione a danno di uomini armati (ma anche di civili) palestinesi. Ciò che è fuori ombra di dubbio è che la violenza dei coloni israeliani è diventata ormai parte integrante della vita quotidiana degli abitanti della Cisgiordania. Le varie azioni ai danni della popolazione prevedono incursioni nei villaggi, blocchi di strade, ma anche vere e proprie violenze fisiche.

Il principio-guida che sta alla base della coalizione di governo è il seguente: "Il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e inalienabile su tutte le parti della Terra di Israele", dove per Terra di Israele si intende anche la Giudea e la Samaria, ovvero la Cisgiordania. Il problema sorge però nella misura in cui questi territori risiede un ingente numero di palestinesi, che finiscono per essere considerati come “stranieri” o, in maniera ancor più preoccupante, nemici.

L’ (in)azione dell’Europa

Un conflitto che sembra aver raggiunto un nuovo punto di ebollizione, determinato altresì dalle crescenti sfide economiche e istituzionali per le quali l’unica soluzione efficace sarebbe il raggiungimento di un accordo di pace. La domanda che molti si pongono è: perché la comunità europea non fa sentire la propria voce? Perché quella che dovrebbe essere la paladina del diritto internazionale e umanitario sembra quasi essere più una complice di queste violazioni?

A questo proposito, due sono le rappresentanze diplomatiche europee: una a Tel Aviv per parlare con gli israeliani e una a Gerusalemme per parlare coi palestinesi; la doppia presenza allude all’esistenza di due Stati distinti, due parti contrapposte. Questa posizione europea lontana della realtà non è però sempre esistita. Infatti, prima degli accordi di Oslo (negoziati condotti nel 1993 tra il governo israeliano e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina), la comunità dell’Ue contrastava fortemente la posizione americana. Per essere precisi, parlava in maniera esplicita di diritto all’autodeterminazione e di insediamenti illegali. Quello che poi è successo è che questi ultimi sono diventati “illegittimi” piuttosto che “illegali”, mentre al contempo il nodo dell’autodeterminazione è diventato sempre più difficile da sciogliere, considerando la sua attuazione impossibile all’interno di una situazione dove vi è un occupante e un occupato. Un atteggiamento quello del gigante europeo che ha di fatto fornito nel corso degli anni una semplice “copertura” più che una vera e propria soluzione al conflitto. A questo va aggiunta la difficoltà dei vari Paesi nel trovare una posizione comune: i vari governi rimangono infatti divisi sulla strategia da adottare e questo rende inefficace una qualsiasi azione diplomatica.


Ciò che rimane certo è che il governo di Netanyahu non è intenzionato ad indietreggiare di un solo passo; la situazione, in Cisgiordania e in Israele, appare tutt’altro che tranquilla e questo fa presumere che gli scontri armati, così come le proteste, non si esauriranno nel breve periodo

Bibliografia

https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20221209IPR64421/israele-e-palestina-i-deputati-chiedono-un-iniziativa-di-pace-europea

https://www.ilpost.it/2021/05/18/europa-divisa-israele-gaza/

https://www.internazionale.it/opinione/catherine-cornet/2021/06/07/europa-israele-palestina

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/israele-la-sesta-volta-di-netanyahu-37112

https://www.osservatoriodiritti.it/2022/11/29/palestina-e-israele/

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