La crisi energetica a Gaza

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  Federica Luise
  24 marzo 2024
  3 minuti, 53 secondi


A partire dall’ottobre dello scorso anno, il Medio Oriente ha attirato l’attenzione per il conflitto in corso tra lo Stato di Israele e l’organizzazione terroristica di Hamas, che ha generato ingenti conseguenze per la popolazione civile palestinese. A seguito dello scoppio del conflitto, il territorio palestinese ha subito un’interruzione delle forniture alimentari, idriche, energetiche e ha causato un grande esodo di massa nelle aree verso il confine dell’Egitto.

L’Autorità Palestinese, prima del conflitto, riceveva elettricità da parte di cinque compagnie locali e aveva istituito la Palestine Electricity Transmission Company (PETL), come unico ente responsabile dell'acquisto di elettricità dalla Palestine Power Generation Company (PPGC), nonché da Israele e altri paesi limitrofi. Tuttavia, secondo l'Ufficio di Rappresentanza dell'Unione Europea, la disponibilità di risorse energetiche primarie è limitata e la regione affronta sfide tecniche nel trasporto, stoccaggio ed importazione di energia. La Palestina è fortemente dipendente da Israele per soddisfare il proprio fabbisogno energetico, come evidenziato dalle difficoltà nell'assicurare un approvvigionamento continuo di energia e nell'attenuare le conseguenze di tale assenza.

Dopo una settimana dallo scoppio della guerra e dall’interruzione energetica da parte di Tel Aviv nei confronti della Striscia, l’autorità energetica di Gaza ha affermato che sarebbe terminato il carburante disponibile ed il territorio sarebbe caduto nell’oscurità senza elettricità. Senza alcun tipo di energia, diventa estremamente difficile svolgere attività quotidiane essenziali come cucinare, mantenere i contatti con i propri cari, così come gli ospedali e le altre strutture vitali subiscono gravi difficoltà, mettendo a rischio la vita dei pazienti, come è avvenuto successivamente.

Evitare l’isolamento energetico

Per isolamento energetico si intende il taglio di qualsiasi forma energetica in un determinato territorio ed è l'ultimo dei timori per la Striscia di Gaza.

Lo scorso febbraio, lo studio legale statunitense Foley Hoag Llp ha inviato un avviso per conto del Centro Al Mezan per i Diritti Umani, Al-Haq, ed il Centro Palestinese per i Diritti Umani riguardo all’assegnazione delle licenze nella cosiddetta Zona G offshore nel Mediterraneo dopo tre settimane dall’inizio della guerra a Gaza.

Precedentemente, il Ministero dell’Energia israeliano aveva pubblicato una gara d’appalto per la concessione di licenze di esplorazione di gas nell’area orientale del Mediterraneo, contenente venti blocchi esplorativi per una superficie totale di quasi 6 chilometri quadrati, suddivisa in quattro zone: B,E,G,I. A seguito dell’incontro tra il Presidente Netanyahu e la Presidente Meloni, la zona G è stata attribuita alla società energetica italiana Eni, assieme alla sud-coreana Dana Petroleum e l’israeliana Ratio Petroleum.

La ZEE (zona economica esclusiva) in questione si sovrappone alle aree marittime rivendicate dallo Stato di Palestina in conformità con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Come dimostrato dalle Nazioni Unite, la maggior parte del giacimento in esplorazione da parte di Eni farebbe parte del territorio palestinese, così come anche le zone E ed H rientrano nei confini marittimi dichiarati dalla Palestina. Si tratta quindi di una strategia perseguita da Israele per allontanare la possibilità di sfruttamento energetico di gas e delle relative entrate economiche da parte della popolazione palestinese. Secondo il diritto internazionale, come previsto dall’articolo 55 dei Regolamenti dell’Aja, è vietato sfruttare le risorse limitate del territorio palestinese per guadagni commerciali di altri paesi.

Nuovi piccoli Newton

In una situazione così critica, dove i giovani si trovano a fronteggiare crisi multiple, come quella idrica, alimentare, umanitaria ed energetica, è fondamentale riconoscere e valorizzare le capacità innovative e di adattamento di questi adolescenti, proteggendo se stessi, le loro famiglie e le loro comunità.

È il caso di Hussam Al-Attar, definito il Newton di Gaza, un giovane ragazzo di quindici anni, intervistato dalle rilevanti testate di Al Jazeera e Reuters, che ha sviluppato un modo per illuminare la propria tenda all’interno dell’insediamento di Rafah dopo che i bambini della sua famiglia piangevano timorosi del buio.

Acquistando a meno di cinquanta centesimi un piccolo dinamo, una macchina che converte l’energia meccanica in elettrica che posizionata su una ventola, ha permesso di produrre energia e di illuminare la tenda. Ciò che colpisce di questa testimonianza, sono le stesse parole del ragazzo riguardo i giovani della sua età: nonostante siano dei piccoli studiosi ed inventori, non vengono ascoltati e lasciati al proprio destino in una situazione umanamente inimmaginabile.

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Federica Luise

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