La fame usata come arma di guerra

Uno sguardo sulla situazione nella Striscia di Gaza

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  Giorgia Milan
  22 dicembre 2023
  4 minuti, 17 secondi

Risale a pochi giorni fa la notizia di Human Rights Watch che ha evidenziato come nella Striscia di Gaza il governo israeliano stia utilizzando la fame dei civili come arma di guerra, il che costituisce inevitabilmente un crimine di guerra.

L’utilizzo della fame come arma di guerra, proibito dal diritto internazionale dal 1977, è stato definito da convenzioni, statuti e risoluzioni come crimine di guerra. Ma ormai, chi bada più al diritto internazionale?

Era il 1977 quando vennero mossi i primi passi nella direzione di una ferma condanna all’uso della fame come metodo di guerra. Il Primo Protocollo Addizionale alla Convenzione di Ginevra (si riferisce ai conflitti internazionali) stabilisce che, innanzitutto, “è vietato far morire di fame i civili come metodo di guerra”, ma che è anche “vietato attaccare, distruggere, rimuovere o rendere inutilizzabili oggetti indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile” (articolo 54). L’articolo 14 del Secondo Protocollo Addizionale (si riferisce ai conflitti non internazionali) non si distacca da questa affermazione, ribadendo che “è infatti vietato, come metodo di guerra, far soffrire la fame alle persone civili”.

Successivamente, nel 1998, lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale conferma che “affamare intenzionalmente i civili privandoli di oggetti indispensabili alla loro sopravvivenza, compreso l’ostacolare intenzionalmente le forniture di soccorso” è un crimine di guerra (Articolo 8).
Nel 2018 venne, inoltre, adottata la Risoluzione 2417 con l’obiettivo di rafforzare ulteriormente la condanna contro l’uso della fame come metodo di guerra. Il nesso tra crisi alimentari e guerre è indubbiamente stretto ed è proprio il Segretario Generale delle Nazioni Unite a osservare che nel 2016 ben dieci delle più gravi crisi alimentari al mondo sono state fomentate da una guerra. E il numero di persone che soffrono la fame nel mondo è in continuo e costante aumento.

Non è la prima volta che la fame viene usata come arma di guerra. Nel 1932-1933 Stalin cercò di sottomettere la popolazione ucraina tramite una carestia “artificiale” (Holodomor). Ed è sempre il governo russo a utilizzare la fame come arma di guerra nel contesto dell’invasione dell’Ucraina qualche decennio dopo, nel 2022. Anche in Yemen la fame è stata usata come metodo di guerra devastante: entrambe le parti in guerra, infatti, hanno utilizzato blocchi aerei e navali, restrizioni al soccorso umanitario, attacchi aerei contro fattorie, impianti idrici e attrezzature per la pesca.

Quello che sta accadendo in questi mesi nella Striscia di Gaza non è dunque una novità. Il governo israeliano sta deliberatamente bloccando la fornitura di acqua e di cibo impedendo in questo modo alla popolazione di sfamarsi e dissetarsi. Allo stesso tempo sta radendo al suolo le zone agricole, in modo tale da privare i civili di oggetti indispensabili alla sopravvivenza. I bombardamenti hanno infatti distrutto interi campi agricoli e sistemi idrici. È evidente dunque di come non si tratti semplicemente di privare i civili di cibo e acqua, ma anche di metterli nelle condizioni di non poter accedere ai servizi essenziali per produrre e distribuire cibo, quali fattorie, sistemi idrici, mercati, campi agricoli.

La situazione nella Striscia di Gaza è dunque tragica: nelle zone settentrionali 9 famiglie su 10 hanno trascorso almeno un giorno e una notte senza cibo, 2 su 3 nelle zone meridionali.

Come è possibile affermare che nella Striscia di Gaza il governo israeliano sta effettivamente utilizzando la fame come arma di guerra?

Le interviste di Human Rights Watch con i civili non fanno altro che confermare tutto ciò. Una donna incinta ha affermato di dover camminare per almeno tre chilometri per poter ottenere un litro di acqua. Hana, una donna di 36 anni, ha, invece, detto che è capitato di dover bere acqua non potabile, non avendo sempre l’accesso all’acqua pulita.

A queste interviste con i civili si devono aggiungere le affermazioni dei membri del governo israeliano. Il Ministro della Difesa Yoav Gallant ha affermato che “stanno imponendo un assedio totale su Gaza. Niente elettricità, niente cibo, niente acqua, niente carburante”. Il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir ha aggiunto che “l’unica cosa che può entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivi, non un grammo di aiuti umanitari”. Le loro dichiarazioni sono innumerevoli, tutte unite da un tragico filo rosso: il taglio delle forniture di cibo, di acqua, di gas, di energia e attacchi ai servizi essenziali di produzione. Queste dichiarazioni, dunque, non lasciano troppo spazio all’interpretazione. 

A livello internazionale, tuttavia, non è ancora avvenuto nessun procedimento penale contro questo crimine. Il risultato è che ovviamente determinati governi e politici si sentono autorizzati a proseguire con queste tattiche. Nel frattempo, si continua a combattere la guerra attraverso la fame dei civili, che continuano a pagare il prezzo più alto. Ma non è una novità.

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L'Autore

Giorgia Milan

Giorgia Milan, classe 1998, ha conseguito una laurea triennale in “scienze politiche, relazioni internazionali e governo delle amministrazioni”, con una tesi riguardo la condizione femminile in Afghanistan, e successivamente una laurea magistrale in “Human rights and multi-level governance”, con una tesi riguardo la condizione delle donne rifugiate nel contesto dell’attuale guerra Russo-Ucraina, il tutto presso l’Università degli studi di Padova.

I suoi interessi principali sono i diritti umani, in particolare i diritti delle donne. È proprio il forte interesse per questi temi che l’ha spinta a intraprendere un tirocinio universitario presso il Centro Donna di Padova, durante il quale ha avuto la possibilità di approcciarsi al mondo della scrittura e della creazione di contenuti riguardanti la violenza di genere e le discriminazioni.

In Mondo Internazionale Post Giorgia Milan è un'autrice per l'area tematica di Diritti Umani.

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