Il primo ministro Narendra Modi ha vinto nuovamente le elezioni in India, segnando l’inizio del suo terzo mandato. Sebbene preannunciata dai sondaggi e dai media, la vittoria non è stata così schiacciante come Modi aveva sperato, dato che il suo partito, il Bharatiya Janata (BJP), si è dovuto coalizzare con altri partiti alleati per raggiungere il numero necessario per formare un governo. Infatti, il BJP ha ottenuto 240 seggi della camera bassa del parlamento indiano, il Lok Sabha, non arrivando ai 272 su 543 necessari per creare un governo senza l’appoggio di nessun altro partito. Insieme alla coalizione Alleanza Nazionale Democratica (NDA), il partito di Modi è arrivato a 294 seggi.
Le elezioni e il BJP
Modi è al governo dal 2014, quando il suo partito ha vinto per la prima volta. Nel 2019 ha ottenuto una seconda vittoria: il BJP era riuscito ad ottenere 303 seggi, sufficienti per formare un governo senza coalizioni. È significativo il fatto che nel 2024 abbia perso 63 seggi rispetto ai risultati precedenti, non solo perché il primo ministro, durante la campagna elettorale, era convinto di ottenere più di 300 seggi, ma anche per la possibile svolta che l‘India potrà prendere in futuro. Narendra Modi ha dato un taglio personale alle elezioni, dato che ha basato la sua campagna su tre punti fondamentali dei suoi precedenti governi: la crescita economica, favorita dai grandi gruppi industriali, il ruolo sempre più rilevante dell’India nel contesto internazionale, anche se molte informazioni sono esagerate nella propaganda dei media, e il ruolo cardine del nazionalismo induista. In particolare, l’importanza data a questo tipo di nazionalismo è stata una fonte di discussioni nella società indiana ed è una diretta conseguenza delle esperienze passate di Modi e del BJP. Il BJP è stato fondato nel 1980 e si ispira al Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), un gruppo paramilitare ed estremista di destra formato su base volontaria, di cui Narendra Modi ha fatto parte dall’inizio degli anni 70, entrando poi nel 1989 nel BJP riuscendo a scalare la gerarchia politica.
Nel 2002, quando Modi era governatore dello stato indiano del Gujarat, è finito al centro di critiche, a causa di una rivolta che ha portato alla morte di circa 1000 persone, la maggior parte di religione musulmana. Modi, tuttavia, non aveva fatto nulla fermare le violenze.
Una delle accuse principali mosse al primo ministro è, infatti, la promozione delle discriminazioni nei confronti della minoranza musulmana del paese. Ciò si ricollega al fatto che, per il BJP, gli induisti sono “i veri figli della terra”, perché i luoghi sacri della religione induista si trovano nell’attuale India, al contrario del cristianesimo e dell’Islam. Per questo, “l’India come stato per gli induisti” è un punto centrale della politica di Modi, che considera l’identità induista come omogenea, anche se storicamente si è sempre dimostrata permeabile.
La minoranza musulmana e le discriminazioni
L'india è una terra di minoranze. Oltre alle persone appartenenti alla religione induista, che compongono la maggioranza della popolazione (79,8%), nel paese è presente anche l’Islam (14,2%), il cristianesimo (2,3%), la religione Sikh (1,7%), il Buddhismo (0,8%) e altri gruppi minori. Tuttavia, l’induismo non è mai stato un blocco rigido, dato che nel corso dei secoli ha subito molte influenze che hanno portato a differenze culturali, le quali hanno un impatto maggiore nella società rispetto alla religione. Altre minoranze del paese sono rappresentate dai Dalit (la precedente casta degli “intoccabili”), dagli Adivasi e dai Naga.
Narendra Modi e il BJP hanno dimostrato una particolare insofferenza verso le comunità islamiche presenti nel paese. Scontri tra gli induisti e i musulmani si rifanno ai primi tempi dell’indipendenza indiana, che ha portato nel 1947 alla creazione del Pakistan di maggioranza musulmana e questo ha lasciato ancora più vulnerabile la situazione dei musulmani rimasti in India. Anche in questo caso, non si tratta di comunità omogenee e, a parte lo stato settentrionale del Kashmir, i musulmani sono una minoranza negli altri stati indiani. La maggior parte è di credo sunnita. Di base i musulmani sono marginalizzati nel paese e ricoprono le fasce più povere della popolazione. Fanno fatica a raggiungere cariche apicali, anche a causa del difficile accesso ad un’istruzione superiore. Inoltre, sono frequentemente vittime di violenza sistemica da parte della polizia, subendo abusi e false accuse di terrorismo e spesso sono anche esclusi dai programmi di aiuto statali. È molto scarsa anche la loro rappresentanza a livello politico.
Dal 2014, con la politica di Modi, la situazione è peggiorata ulteriormente. Nel 2015 il governo ha lanciato l’iniziativa di ritirare la cittadinanza ai musulmani bengalesi dello stato settentrionale di Assam, per tenere monitorata la migrazione irregolare dal vicino Bangladesh. Molti cittadini sono stati deportati in centri di detenzione.
Nel 2019 l’India ha ritirato l’autonomia del Kashmir con una repressione violenta nella regione. Nel dicembre del 2019, è stata emendata la legge sulla cittadinanza per naturalizzare i migranti induisti, Sikh, cristiani e buddisti dei paesi confinanti, escludendo i musulmani.
Inoltre, nel gennaio del 2024 ad Ayodhya, nello stato dell’Uttar Pradesh dove c’è una forte comunità musulmana, è stato consacrato un tempio induista costruito sopra le rovine di una moschea, causando proteste. Nel 2022, sempre nell’Uttar Pradesh, diverse case sono state distrutte da bulldozer in risposta ad una protesta tenuta da cittadini musulmani dopo che Modi aveva espresso commenti negativi sull’Islam. Ci sono sempre più documentazioni da parte di associazioni di diritti umani sulle crescenti violenze nei confronti della comunità islamica. Secondo Genocide Watch, in India sono già in atto alcuni passaggi come la polarizzazione e la persecuzione, che potrebbero portare ad una violenza estesa nei confronti questi gruppi. Durante la campagna elettorale per le elezioni del 2024, Modi ha continuato la sua retorica islamofobica, dichiarando che i musulmani sono degli “infiltrati” nello stato indiano, e che “fanno troppi figli”. Ha inoltre accusato il Congresso, il maggior partito di opposizione, di voler devolvere ampie risorse del paese verso le comunità musulmane e le famiglie più numerose. Tuttavia questi discorsi non fanno altro che esacerbare le tensioni già presenti tra induisti e musulmani.
Sebbene i tentativi di Modi di minare i suoi rivali politici, il Congresso, insieme ad altri partiti di opposizione con cui ha formato la coalizione INDIA, ha ottenuto 232 seggi, (di cui 99 solamente del Congresso, che nel 2019 ne aveva acquisiti 51). Questo dimostra che, nonostante i discorsi e le politiche di Modi, e nonostante abbia comunque vinto per la terza volta di fila, nella società indiana si sta formando una spaccatura più netta contro la destra nazionalista.
Mondo Internazionale APS - Riproduzione Riservata ® 2024
Condividi il post
L'Autore
Angela Sartori
Angela Sartori si è laureata in Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe (MIREES) presso l'Università di Bologna. Le tematiche che ha affrontato durante il suo corso di studi si sono concentrate principalmente sui fenomeni migratori e sulle problematiche legate alle minoranze etniche, nonché sulle relazioni lasciate dall'eredità sovietica in particolare in Ucraina, nella Federazione Russa e negli stati del Caucaso meridionale.
Categorie
Tag
India Elezioni islamofobia minoranze