La presenza sempre più pressante della Russia in Africa

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  Giulio Ciofini
  29 novembre 2022
  5 minuti, 46 secondi

Nell’ultima settimana il presidente francese Emmanuel Macron durante l’incontro in Tunisia dell’Organizzazione Internazionale della francofonia ha nuovamente colto l’occasione per discutere nuovamente di una questione che anche in quest’area geopolitica sta diventando sempre più pressante, vale a dire la Russia e la sua sfera di influenza. Nel caso specifico, il presidente Macron ha difatti accusato il Cremlino di alimentare e diffondere una propaganda antifrancese nei paesi africani dell’Africa Occidentale e Centrale. Uno sforzo, sempre secondo il presidente francese, che mira non solo al discredito del paese europeo di fronte a quei paesi legati storicamente con Parigi, ma anche per aumentare la propria influenza nella regione.
Si tratta soltanto dell’ultima dichiarazione che conferma ancora una volta come Mosca stia sempre di più cercando di presentarsi come nuovo partner cruciale in diverse regioni come in Africa settentrionale, nel Sahel o in Africa Centrale.

Il corso degli eventi di questo 2022 ha evidenziato come la strategia opportunistica di Mosca in Africa stia riscuotendo un certo successo; in tal senso gli scenari osservati in Mali e Repubblica Centrafricana, con il ritiro di Parigi e le difficoltà del governo provvisorio in Libia, sono le cartine di tornasole di uno shift diplomatico abbastanza preoccupante.


La diplomazia ufficiale e la cooperazione economica

Questo revival, delle relazioni russo-africane cominciato negli ultimi anni e siglato ufficialmente durante il primo summit del 2019 tenutosi a Sochi, nella sfera della diplomazia ufficiale di tipo bilaterale non è decisamente paragonabile a quello che altri partner occidentali, o anche la stessa Cina hanno e stanno intrattenendo contemporaneamente nel continente. In termini di cooperazione bilaterale ed economica tra le parti, gli sforzi russi si aggirano sui 20 miliardi di dollari in Africa ma non è tanto la cifra ad impressionare, quanto la natura degli scambi commerciali a destare preoccupazione. La gran parte dell’export russo in Africa è infatti caratterizzato principalmente da armi e grano. Il Cremlino è il principale fornitore di armi africano, con un impatto sulle importazioni nel continente del 44%. Per quanto riguarda la cooperazione invece, essa si rivolge principalmente al settore energetico, affidata ai colossi dell’energia e del gas russi come Lukoil, Gasprom e Rosatom, impegnati in numerosi paesi sparsi per il continente come Egitto, Angola, Nigeria, Algeria, Etiopia o Ruanda. Possiamo sicuramente affermare anche solo dalla natura di queste relazioni economiche come esse dispongano di un potenziale di destabilizzazione piuttosto alto, in particolare se pensiamo alla fragilità di molti paesi africani.

Un interesse politico

Ad ogni modo, come abbiamo già avuto modo di affermare, non è tanto il lato economico di queste relazioni a rappresentare un forte interesse per Putin quanto il potenziale valore politico di un riavvicinamento tra il Cremlino e i paesi africani. In seno alle Nazioni Unite il continente africano detiene 54 voti all’Assemblea Generale e 3 paesi (eletti a rotazione) nel Consiglio di Sicurezza; un numero che genera un certo interesse per la Russia, in virtù anche della situazione internazionale corrente. Durante lungo tutto il corso di quest’anno, proprio alle Nazioni Unite il continente africano non è mai riuscito ad esprimersi in maniera coesa di fronte alle votazioni delle risoluzioni sulla Russia. Ultima, proprio quella di condanna in seguito alle annessioni delle quattro regioni ucraine, dove diciannove paesi africani si sono astenuti.

La diplomazia non ufficiale… Una sfida sul campo

L’interesse del Cremlino, dunque, passa principalmente nell’espansione di un’espansione della sfera d’influenza politica russa in Africa. Un fattore ormai vista la forte tensione internazionale, diventato quasi come una necessità per Mosca. In quest’ottica non possiamo sicuramente dimenticare il tour africano da parte dell’ormai celebre Ministro degli Esteri Russo, Sergei Lavrov. Da sottolineare infatti che in occasione durante le sopracitate votazioni all’ONU, tre dei quattro paesi visitati da Lavrov si sono astenuti. Come abbiamo però accennato all’inizio di questa riflessione, gli scenari più chiari di questa forte ingerenza russa in Africa sono quelli del Mali, Libia e Repubblica Centrafricana, aree, ma più in generale, regioni, dove la Russia si sta muovendo principalmente in un modo che potremmo definire non ufficiale. Da un punto di vista strategico tanto in Sahel, quanto in Africa Centrale le forti fragilità in materia di sicurezza nazionale hanno offerto uno spazio di manovra che la Russia ha sfruttato attraverso l’impiego del celebre gruppo mercenario vicino ai quadri dell’intelligence militare russa, il Gruppo Wagner. Un attore capace di offrire una solida alternativa ai fragili governi dei paesi sopra citati per cercare di far fronte ai numerosi problemi di sicurezza interna. Si stima difatti, che in totale la compagnia militare mercenaria russa starebbe operando in 18 paesi africani, tra cui quelli già citati. Inoltre, numerosi dossier confermano le accuse mosse dal mondo occidentale di aver commesso abusi contro civili e in certe aree di aver costituito sistemi di saccheggio e depredazione delle risorse. Da un punto di vista geopolitico è stata proprio la Francia a subirne gli effetti. Parigi si è trovata costretta per due volte abbandonare sia militarmente che diplomaticamente un paese da sempre all’interno della propria sfera d’influenza (Mali prima, Repubblica Centrafricana poi). Il modello politico di stampo elitario russo detiene una forte attrattiva per una folta schiera di leader africani, specialmente in quei paesi dove si fa fatica a porre fine a quelle esperienze di governi e giunte militari insediatisi come transizionali ma che continuano a resistere al richiamo democratico. Proprio in questi paesi, il modello di diplomazia non ufficiale russo, composto dall’impiego di truppe mercenarie, dalla diffusione di una propaganda di disinformazione antioccidentale e dall’interferenza elettorale riesce a trovare un terreno fertile e certamente preoccupante per i partner occidentali.

Certamente l’osservazione delle votazioni alle Nazioni Unite sulle risoluzioni legate alla guerra in Ucraina non costituisce la prova definitiva che ci troviamo di fronte ad un vero e proprio shift d’influenza nell’Africa Centrale né tantomeno nell’Africa Settentrionale. Ad ogni modo, essa offre comunque uno spaccato che il corso dello scorso ed in particolare di quest’anno il continente africano sta vivendo. Non è certamente un caso che Francia, Stati Uniti, ma anche la stessa Unione Europea abbiano cercato ripetutamente quest’anno non solo di rispondere pubblicamente all’ingerenza russa nell’area africana ma anche di fare appello più volte ad una unità e coesione da parte dell’Unione Africana e dei suoi membri. Alla chiusura di questo 2022 risulta evidente come la politica russa abbia ottenuto una serie di successi in alcuni paesi, in particolare in quelli dove le fragilità statali sono più esplicite; al contempo è proprio in questi scenari che l’azione diplomatica degli attori occidentali fa sempre più fatica a riscontrare degli effetti positivi e molto più spesso diventa invece motivo di imbarazzo.

Fonti consultate per l'articolo: 

https://www.reuters.com/world/...

https://www.agi.it/estero/news...

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https://www.ispionline.it/en/p...

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https://theconversation.com/af...

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https://moderndiplomacy.eu/202...

https://www.marshallcenter.org...

https://www.africanews.com/202...

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L'Autore

Giulio Ciofini

Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Bologna
Master ISPI in International Cooperation

Autore, Framing The World, Mondo Internazionale

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