LA PRIGIONE DI EVIN: L’INFERNO DELLE DONNE IN IRAN

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  Gaia Ciceri
  08 febbraio 2025
  4 minuti, 43 secondi

EVIN: SIMBOLO DELLA REPRESSIONE IRANIANA

A Nord di Teheran si trova la prigione di Evin, divenuta tristemente emblema della repressione del regime iraniano. È conosciuta per essere la struttura in cui vengono detenuti oppositori politici, attivisti, giornalisti, membri di minoranze etnico-religiose e, sempre più spesso, donne arrestate per aver osato sfidare il regime. Le loro storie rappresentano una finestra sulla brutalità di un sistema che, da anni, mira non solo a punire, ma anche a spezzare psicologicamente e fisicamente chiunque lotti per la libertà.

Il carcere, operativo dal 1972, ha segregato dissidenti politici ancor prima della Rivoluzione islamica del 1979; in particolare, quando il movimento antigovernativo guidato all’ayatollah, Ruhollah Khomeini, portò alla fine del regno dello scià e alla creazione della Repubblica Islamica dell’Iran. Evin è diventata il simbolo di una repressione che si è intensificata dopo le proteste del 2022, scatenate dalla morte di Mahsa Amini, arrestata – e uccisa – per non aver indossato correttamente il velo. Giornaliste come Cecilia Sala hanno portato alla luce testimonianze preziose su ciò che accade dietro le mura di Evin, dando voce a chi è costretto al silenzio.

CONDIZIONI DISUMANE NELLA PRIGIONE DI EVIN

La prigione, composta da due sezioni maschili e una femminile, è caratterizzata da:

  • Sovraffollamento: celle progettate per ospitare 20 persone ne contengono spesso più di 40.
  • Giustizia arbitraria: detenzioni senza processo o con processi sommari, confessioni estorte sotto tortura.
  • Segretezza assoluta: molti detenuti scompaiono per mesi prima che le famiglie ricevano notizie su di loro.

Human Rights Watch e il Center for Human Rights in Iran evidenziano che le detenute affrontano condizioni ancora più dure, tra cui isolamento e minacce di violenza contro i familiari. In una società patriarcale come quella iraniana, tali pressioni hanno un impatto psicologico ancora più devastante.

VIOLENZE CONTRO LE DONNE E TESTIMONIANZE CHOC

Le donne rappresentano una parte significativa dei detenuti di Evin. Molte sono arrestate per aver partecipato a manifestazioni, per aver rifiutato di indossare l’hijab o per attività considerate "immorali" dal regime, come cantare in pubblico o pubblicare post sui social media.

Le ex detenute raccontano condizioni spaventose, tra cui:

  • Torture fisiche e psicologiche: pestaggi, isolamento prolungato, abusi sessuali e minacce contro i familiari sono usati per estorcere confessioni false, spesso utilizzate per infliggere lunghe pene o condanne a morte.
  • Condizioni igieniche disastrose: celle sovraffollate e prive di ventilazione, mancanza di prodotti igienici e cure mediche aggravano la sofferenza, anche in caso di lesioni da torture o malattie croniche.
  • Discriminazione di genere: le madri sono spesso separate dai figli e private delle visite familiari. Ex detenute, come Masih Alinejad, descrivono Evin come “un inferno quotidiano”.

Uno dei casi più emblematici è quello dell’attivista curda Pakhshan Azizi, inizialmente condannata a morte e successivamente, con la pena sospesa, detenuta a Evin per il suo impegno nella società civile. Le donne curde, in particolare, subiscono una doppia discriminazione sia per la loro etnia che per il loro genere, affrontando condizioni di detenzione particolarmente dure. Altri racconti di ex detenute, come quello di Marziyeh Amirizadeh, arrestata per la sua fede cristiana, descrivono torture brutali, tra cui minacce di violenza fisica come “ti picchieremo finché non vomiterai sangue”.

L’INERZIA DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

Nonostante le denunce di Amnesty International, Human Rights Watch e delle Nazioni Unite, la risposta della comunità internazionale è stata finora insufficiente. Il Relatore Speciale dell’ONU sui diritti umani in Iran ha più volte segnalato le gravi violazioni nelle carceri iraniane, ma le risoluzioni internazionali si sono limitate a condanne verbali. Anche il Consiglio europeo ha imposto sanzioni a funzionari iraniani, senza tuttavia fermare la repressione.

Altri conflitti globali hanno spostato l'attenzione mediatica, rischiando di far dimenticare le donne iraniane. Per contrastare questa tragedia, è fondamentale che i Paesi democratici intensifichino la pressione sul regime iraniano attraverso:

  • Sanzioni più incisive e mirate contro funzionari e istituzioni responsabili delle violazioni.
  • Sostegno alle organizzazioni che documentano le violazioni e assistono le vittime.
  • Maggiore visibilità mediatica per mantenere alta l’attenzione sull’Iran.

Nonostante le pressioni internazionali, le autorità iraniane continuano a reprimere il dissenso arrestando e detenendo arbitrariamente attivisti e giornalisti. La recente detenzione della giornalista italiana Cecilia Sala, nel dicembre 2024, ha riportato alla luce le condizioni infernali della prigione di Evin. La sua testimonianza ha offerto uno sguardo diretto sulle brutalità subite dai detenuti, dimostrando che, nonostante le denunce, la situazione rimane drammatica.

UN FUTURO INCERTO

La prigione di Evin è il simbolo di una repressione che colpisce non solo le donne, ma l’intera società iraniana. Tuttavia, le storie di resistenza che emergono da dietro quelle mura ci ricordano che il coraggio non può essere soffocato. Le condizioni disumane di detenzione, le torture e le violazioni sistematiche dei diritti umani richiedono una risposta decisa da parte della comunità internazionale. Solo attraverso una pressione costante e il sostegno alle organizzazioni per i diritti umani sarà possibile sperare in un cambiamento reale per le donne e gli uomini detenuti ingiustamente in Iran.

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L'Autore

Gaia Ciceri

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