Jin, Jiyan, Azadî – Donna, vita, libertà è uno slogan famoso in tutto il mondo, ma pochi sono a conoscenza delle sue origini: è nato nel Rojava, regione autonoma del nord-est della Siria, non riconosciuta ufficialmente né dal governo siriano né da quello turco, nell’ambito della rivoluzione femminista delle donne curde.
Il Rojava, regione dichiaratasi autonoma nel 2012 durante la guerra civile siriana, rappresenta oggi un esperimento unico al mondo, basato sul confederalismo democratico, teorizzato dal leader curdo Abdullah Öcalan. Öcalan ha infatti sviluppato una teoria secondo cui la liberazione delle donne è un elemento imprescindibile per la liberazione dell’intera società. Il sistema di organizzazione della società da lui elaborato si fonda sulla democrazia diretta, sul municipalismo libertario, sull’ecologia e soprattutto, sul femminismo.
Nella regione ogni incarico pubblico è coperto in copresidenza da una donna e da un uomo; alle donne è garantita una quota minima del 40% in tutte le assemblee decisionali. Inoltre, leggi per garantire la parità tra i sessi sono state implementate sull’intero territorio: è stato introdotto il matrimonio civile, il diritto al divorzio e pari diritti di eredità. Si potrebbe trattare del modello più paritario al mondo.
Al cuore della rivoluzione femminista, in Rojava, c’è lo YPJ (Unità di Protezione delle Donne), un corpo militare interamente femminile nato non solo per proteggere il territorio dagli attacchi esterni, ma anche per affermare l’emancipazione femminile in contesti tradizionalmente dominati dagli uomini, per abbattere le strutture patriarcali. Infatti, l’addestramento è per il 75% ideologico e politico, lontano da violenze e armi, per formare donne consapevoli del proprio valore e capaci di costruirsi un futuro libero e indipendente da figure maschili. Come ha dichiarato la comandante Nesrîn Abdalla: "Fino ad ora, gli eserciti erano creati esclusivamente da uomini con un approccio patriarcale, infatti avevano solo due compiti: difendere e vincere. Ma noi siamo un esercito di donne… lo facciamo non solo per proteggerci, ma anche per cambiare il modo di pensare nell’esercito, non solo per guadagnare potere, ma per cambiare la società, per svilupparla".
Questo sistema, tuttavia, è sotto costante minaccia. La Turchia, percependo il modello democratico curdo come una minaccia alla propria politica interna, conduce dal 2018 una repressione sistematica dello stesso. Nel febbraio 2025, il Tribunale Permanente dei Popoli ha evidenziato i crimini internazionali commessi dalla Turchia nei confronti del popolo curdo nella regione, tra cui attacchi mirati contro donne particolarmente influenti nella società, come Hevrin Khalaf, attivista politica brutalmente assassinata da milizie filo-turche. Lo stesso tribunale ha messo in luce l’uso sistematico della violenza sessuale e degli stupri, utilizzati come strumento per distruggere il tessuto sociale e i modelli femministi e democratici, per costringere intere comunità a fuggire. Le prigioni segrete turche in territorio siriano sono divenute luoghi di tortura e violenza sessuale sistematica, spesso ignorate o minimizzate dalla comunità internazionale.
La rivoluzione femminista in Rojava ci invita a riflettere sul fatto che il femminismo non appartiene solo all’Occidente. La lotta delle donne curde mostra chiaramente come l’emancipazione femminile possa nascere e svilupparsi anche al di fuori dei modelli occidentali tradizionali. Combattono da donne, non adottando i modelli maschili del dominio e della violenza, ma creando un sistema alternativo che promuove il dialogo, la comunità e la cura reciproca come strumenti fondamentali di liberazione. È dunque compito nostro dare voce, spazio e visibilità a queste forme di resistenza, dove la parità di genere non è vista solo come un diritto, ma come uno strumento per rivoluzionare l’intera società.
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L'Autore
Giorgia Savoia
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DONNA, VITA, LIBERTA' Siria Rojava Donne Curde Femminismo Öcalan Confederalismo democratico