Il 17 novembre scorso si è tenuta a Berlino una marcia organizzata da alcuni oppositori politici russi, in particolare Yulia Navalnaya – moglie del principale esponente dell’opposizione politica russa Aleksej Navalny, morto in carcere in Russia a febbraio 2024 – Ilya Yashin e Vladimir Kara-Murza, liberati ad agosto 2024 nel più importante scambio di prigionieri tra la Russia e i paesi occidentali dalla fine della Guerra Fredda. I manifestanti chiedevano essenzialmente il ritiro delle truppe russe dall’ucraina, un processo contro Putin per crimini di guerra e la liberazione di tutti i prigionieri politici.
Circa duemila persone si sono quindi riunite nel centro della capitale tedesca al suono di slogan come “Russia senza Putin!” e “No a Putin, no alla guerra!”, terminando la manifestazione di fronte all’ambasciata russa a Berlino. Nell’annunciare l’evento la stessa Navalnaya lo ha descritto come un modo per dimostrare che una Russia libera e pacifista esiste. Si tratta in effetti della prima e più grande marcia contro il presidente russo organizzata all’estero dopo l’invasione dell’Ucraina, e molti si chiedono se potrà mai portare a qualche risultato concreto. È facile trovare un parallelismo con un’altra marcia avvenuta dieci anni fa e che chiedeva esattamente la stessa cosa: il ritiro delle truppe russe dalla Crimea occupata. Questa prima manifestazione avvenuta a Mosca il 21 settembre 2014 ha visto la partecipazione di oltre 50.000 persone, ma è rimasta inascoltata, così come gli altri eventi di protesta avvenuti nello stesso anno in Russia.
Una piccola nota di speranza che emerge dalla marcia di Berlino a novembre è l’apparente – o almeno temporaneo – superamento di alcune discordie interne all’opposizione russa. Uno dei motivi per cui l’opposizione russa non riesce a dimostrarsi forte, nemmeno all’estero, è la presenza di evidenti e profondi motivi di divisione e di mancanza di fiducia. Non esiste poi un preciso programma politico condiviso e si esprimono idee diverse riguardo a che direzione dare al paese quando l’era di Putin avrà fine. Oltre ai già citati Navalnaya, Kara-Murza e Yashin, altri importanti esponenti dell’opposizione russa sono Michail Khodorkovsky e Maxim Katz, anche loro in esilio all’estero. Khodorkovsky, ex-oligarca molto influente, agiva in chiave anti-Putin già dai primi anni 2000, per cui venne incarcerato nel 2003 e poi graziato nel 2013 su pressioni tedesche. Katz, che si è fatto conoscere inizialmente come attivista urbano a Mosca, ha recentemente pubblicato un’inchiesta in cui accusa FBK, la fondazione anticorruzione di Navalny, di coprire alcune attività illecite di due banchieri russi che avrebbero finanziato significativamente le attività della fondazione. Che le accuse siano fondate o meno, questo certamente non contribuisce a rafforzare l’opposizione, e anzi rischia di macchiarne l’immagine e quindi la già debole efficacia.
L’opposizione russa è quindi certamente divisa, non solo nei modi e negli intenti, ma anche geograficamente. Solo ora sembra emergere la città di Berlino come un centro cruciale di attività dei dissidenti russi, altrimenti sparsi per il resto d’Europa. È qui infatti che molti leader noti ed emergenti dell'opposizione russa, attivisti politici, difensori dei diritti umani e giornalisti indipendenti vivono, lavorano e si incontrano per discutere del futuro della Russia.
Ma perché proprio Berlino sembra essere diventato il centro dell’opposizione russa? Innanzitutto è quasi naturale tornare con la memoria al passato, quando molti dissidenti del regime zarista russo si rifugiarono proprio a Berlino, sia prima che dopo la Rivoluzione d’Ottobre e negli anni ’20. Non sarebbe quindi la prima volta che Berlino diventa un centro di attività politica per i russi in esilio, pur non essendo certo la città che ospita il maggior numero di russi che vivono all’estero. Paesi come la Lituania, la Georgia o l’Armenia hanno sicuramente questo primato, ma non rappresentano un ambiente altrettanto favorevole. In Georgia e Armenia, pur essendo all’estero, è facile continuare a subire il controllo da parte delle autorità russe, mentre la Lituania è certamente molto meno tollerante della Germania nei confronti della popolazione russa che emigra per motivi politici. La società tedesca è infatti tendenzialmente più comprensiva e accogliente, ed esiste già nella città una grossa comunità russa che fornisce una infrastruttura di appoggio. Tutto ciò, insieme al fatto che Berlino è relativamente meno costosa rispetto ad altre capitali europee, suggerisce i principali motivi che hanno spinto gli oppositori politici russi a sceglierla come base dall’inizio della guerra in Ucraina nel 2022.
Un’altra marcia è stata annunciata dagli organizzatori di nuovo a Berlino a marzo 2025. La speranza quindi è che questi nuovi movimenti possano portare ad una maggiore condivisione, unità e forza dell’opposizione russa, ripartendo proprio dalla scena berlinese. Infatti, se è vero che l’opposizione all’estero è frammentata, in Russia invece è quasi impossibilitata ad esistere a causa del sistema russo, che secondo Human Rights Watch è ora il più repressivo dalla fine dell’era sovietica. È vero quindi che creare una nuova forza politica che possa seriamente competere con l’attuale regime russo e costituire una valida alternativa ad esso è estremamente difficile, a causa della mancanza di un piano chiaro e di divisioni interne. In ogni caso, come sostiene Vladimir Kara-Murza, è importante dimostrare che l’opposizione russa può unirsi e soprattutto compiere gesti che nella Russia di oggi sono impossibili. Certo non ci si possono aspettare da questi eventi risultati incisivi e tangibili nell’andamento della guerra, ma essi lanciano dei segnali importanti, perché nonostante tutto traspare in questi gruppi di oppositori politici una certezza: il regime di Putin deve finire, così come la sua terribile guerra in Ucraina.
Mondo Internazionale APS - Riproduzione Riservata ® 2024