Le donne europee hanno diritto di scegliere di interrompere la gravidanza?

Il diritto all'aborto nell'anno della pandemia in Europa e in Italia

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  Redazione
  03 ottobre 2020
  6 minuti, 1 secondo

A cura di Giorgia Corvasce

Gli ultimi mesi del 2020 sono stati complessi sotto diversi punti di vista, e purtroppo non da meno è stato il dibattito riguardante il diritto delle donne all’aborto.

Messo in discussione, ostacolato, oggetto di dispute e di previsioni legislative più stringenti, il diritto di una donna a interrompere la gravidanza sembra non aver trovato terreno fertile nemmeno in Europa, neanche quando in gioco c’è la vita della gestante stessa.

Vediamo più da vicino la situazione europea in generale e quella italiana in particolare.

Europa: ecco i Paesi dove le donne hanno più difficoltà ad abortire legalmente

E’ proprio di questa settimana la notizia di una massiva manifestazione svoltasi a Varsavia, ancora in corso nonostante i rischi correlati alla diffusione del Coronavirus, di migliaia di donne che rivendicano il diritto ad abortire legalmente.

La legge polacca risulta, infatti, essere una delle più severe in tema di interruzione di gravidanza, ed ora la morsa si inasprirà ulteriormente a causa di una recente sentenza della Corte Costituzionale. Tale decisione si è avuta a seguito della reintroduzione durante il lockdown della discussione di un disegno di legge risalente al 2018.

A seguito della riforma legislativa, le donne in Polonia potranno abortire solo in caso di stupro o incesto o di pericolo di vita per la madre, mentre non sarà più possibile agire in caso di malformazioni del feto.

Solo il 2% degli aborti in Polonia rientra in questa casistica, indicando chiaramente come la legge sia assolutamente inadeguata a tutelare l’incolumità delle sue cittadine.

Nel 2019, l’Onu affermava che l’accesso all’aborto in maniera sicura e legale fosse un servizio sanitario essenziale, costituendo il fondamento per garantire alle donne il loro diritto alla autonomia, uguaglianza e benessere fisico e mentale.

Ora, nel 2020, la stessa Onu ha coniato l'espressione pandemia ombra per alludere a tutte le conseguenze negative correlate al diritto all'aborto durante il lockdown.

Basti pensare alle difficoltà di spostamento, al rischio o all'impossibilità di rivolgersi a strutture sanitarie per interrompere una gravidanza indesiderata con una pandemia in corso.

E poi, come se non bastasse, si sono aggiunte rilevanti novità legislative come quella polacca.

Il Parliamentary Forum for Sexual & Reproductive Rights e l’International Planned Parenthood hanno elaborato congiuntamente un report per il Consiglio europeo, dal quale è emerso chiaramente che almeno il 78% dei consultori europei è rimasto totalmente chiuso durante i mesi più duri della pandemia, e probabilmente la percentuale si confermerebbe in caso di nuove chiusure totali degli Stati.

In particolare, le maggiori difficoltà ad abortire si sono riscontrate in Spagna, Irlanda, Albania, Romania e Croazia, oltre che, a sorpresa, in Germania.

Interessante è anche la segnalazione relativa all’impossibilità per le donne olandesi di reperire la pillola abortiva in luoghi diversi dalle cliniche, mentre a Malta l’aborto è addirittura del tutto vietato.

La Slovacchia, poi, ha sospeso del tutto gli interventi di aborto poiché ritenuti non essenziali.

Non è difficile quindi comprendere quali conseguenze siano risultate inevitabili per le moltissime donne che, non potendo abortire nel proprio Paese, non hanno potuto nemmeno recarsi all’estero per via delle restrizioni legate al dilagare della pandemia.

Una nota positiva è arrivata invece dalla Francia, che ha esteso la possibilità di ricorrere alla pillola abortiva in un lasso di tempo più ampio rispetto a quello previsto precedentemente.

La situazione in Italia – Ru486 e leggi regionali

Dal 1978 l’interruzione di gravidanza è ritenuta legale in Italia, ma di fatto l’alto tasso di medici obiettori di coscienza rende l'esercizio di questo diritto spesso una mera illusione.

Guardando le percentuali peggiori, i ginecologi obiettori sono il 92,3% in Molise, l’87,2% nella provincia di Bolzano, l’82,7% in Sicilia e l’82,3% in Puglia e Basilicata.

La normativa di riferimento in Italia è la legge n.194 del 22 maggio 1978, la quale stabilisce che una gravidanza può essere interrotta solo se comporta un pericolo per la salute fisica o psichica della donna, con diverse limitazioni a seconda del periodo intercorso fra il concepimento e il momento in cui si intende avvalersi dell’aborto.

Nel primo trimestre, dunque entro i primi 90 giorni, l’aborto è ammesso a patto che la gestante dichiari che la prosecuzione della gravidanza possa rappresentare un pericolo per la sua salute fisica o psichica.

Dopo il trascorrere del primo trimestre, esso è ammesso solo nei casi in cui un medico rilevi tali rischi.

A partire dal secondo trimestre, in particolare, l’articolo 6 prevede che l’aborto possa praticarsi quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna o quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della gestante; in questo caso si parla di aborto terapeutico.

La legge non definisce un limite per l’aborto terapeutico, ma raccomanda che ove il feto abbia raggiunto uno stadio di sviluppo che ne permetta la sopravvivenza al di fuori dell’utero il medico metta in atto tutti gli interventi necessari per salvaguardarne la vita.

Questo comporta che concretamente si tenda a non procedere oltre la ventiduesima o ventiquattresima settimana, pur tenendo sempre in conto la compatibilità della patologia fetale con la possibilità di vita autonoma.

Per procedere oltre questa tempistica, in caso di rischio concreto per la vita della donna, la legge specifica che "il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto".

Dal 2009 anche nel nostro Paese è possibile interrompere volontariamente una gravidanza con il metodo farmacologico, grazie all’immissione in commercio della pillola RU486.

Nella maggior parte dei Paesi nei quali si fa uso della RU486, tale procedura viene espletata in semplice regime ambulatoriale o a domicilio. Ove previsto, nel resto d’Europa la pillola abortiva si può assumere entro le 9 settimane, in Italia invece il limite è fissato a 7 ed è subordinato alla l’assunzione di due farmaci a distanza di 48 ore l’uno dall’altro, con ricovero ordinario fino all’avvenuta espulsione del prodotto del concepimento, di fatto consistente in almeno tre giorni in regime ospedaliero o ambulatoriale.

Tale assunto è stato oggetto di aspre critiche e dibattiti anche in tempo di Covid, posto che la decisione di imporre un ricovero obbligatorio, di durata più o meno lunga a seconda della Regione di riferimento, non sembra essere avvalorato da dati scientifici che ne giustifichino l’imposizione.

Senza contare le tristi testimonianze di madri costrette a ricorrere all’aborto per malformazioni del feto, che si sono ritrovate loro malgrado protagoniste di azioni di associazioni pro – life le quali, in barba a qualsivoglia tutela della privacy, hanno trovato un'allocazione ai feti non nati presso i cimiteri comunali e riportato sulla croce il nome delle gestanti, senza ottenere nessun consenso dalle famiglie.

Alla luce delle normative vigenti, pare evidente che si sia ancora molto lontani dal garantire il pieno ed effettivo diritto di scelta delle donne europee alla interruzione di una gravidanza indesiderata.

Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.corriere.it/esteri/20_ottobre_30/polonia-migliaia-piazza-varsavia-contro-nuova-legge-che-vieta-l-aborto-1ca2688c-1adb-11eb-9e4d-437f7f93aec5.shtml

https://www.epfweb.org/node/673

https://www.ippf.org/covid19

https://www.lastampa.it/torino/2020/09/16/news/la-regione-contro-la-pillola-abortiva-stop-nei-consultori-ricovero-obbligatorio-1.39310608?fbclid=IwAR3OBZ

https://www.associazionelucacoscioni.it/cosa-facciamo/aborto-e-contraccezione/aborto/

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