LION UDLER ANALISTA DEL MEDIO ORIENTE: L’IRAN HA UN PROGETTO PRECISO E L’EUROPA CORRE DEI RISCHI

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  Giusy Criscuolo
  15 ottobre 2023
  14 minuti, 24 secondi

Abbiamo acceso un focus sugli attuali stravolgimenti del Medio Oriente, una normalizzazione dei rapporti sempre più lontana tra Israele e Arabia Saudita, le falle sull’attacco terroristico di Hamas nel sud di Israele, l’escalation della guerra, fino a parlare dei possibili scenari che potrebbero aprirsi per Israele e per l’Europa se il fronte Nord con il Libano si aprisse, non dimenticando il rischio per oltre un milione di Palestinesi intrappolati nella zona Nord della striscia di Gaza. Questo e molto altro è stato trattato con l’ex forza speciale israeliana Lion Udler, attuale analista per il Medio Oriente.

Sullo scioccante attentato in stile Da’ash (Isis) operato da Hamas nel sud di Israele e sulla falla legata alla sicurezza, che sembra aver messo in dubbio le eccellenze dell’intelligence israeliana come lo Shin Bet, il Mossad, e l’Aman, Lion Udler ha una sua teoria. Riguardo, invece, al fatto che l'Egitto abbia avvertito Israele su un possibile attacco rimane scettico. Lo stesso analista, sulla base delle dichiarazioni rilasciate dal Ministro, che afferma di non aver ricevuto attivazioni di nessun genere, parla di fake news quindi esclude che ci sia stato alcun avvertimento. «Il fallimento nel prevedere questo tipo di attacco, non è legato alla metodologia dell'intelligence, ma nel concetto, nel principio che è stato adoperato negli ultimi anni. Israele credeva che l'aiuto ai palestinesi con la mediazione dell'Egitto, del Qatar, e con l’appoggio dei Paesi arabi, legato ad un sostegno economico e sociale, avrebbe potuto calmare Hamas - dice Udler - Israele credeva che attraverso queste mediazioni, attraverso i permessi di lavoro (20mila circa) per i lavoratori della striscia di Gaza che si recavano in Israele e mediante l’acquisizione di più libertà, non ci sarebbero state violenze come quelle a cui abbiamo assistito».

La situazione negli ultimi anni è andata di fatto così, con il Qatar che ogni mese faceva entrare nella striscia di Gaza una certa cifra di soldi, equivalente a 30milioni di dollari più altre cifre che il Qatar stanziava per alcuni progetti che si stavano sviluppando nella striscia di Gaza. Parliamo per esempio di una piccola centrale elettrica. Il cui, quarto generatore era diventato operativo a pieno il 3 agosto 2023, anche se questa non gli permetteva ancora di rendersi autonoma da Israele. Difatti ad oggi chi paga l'elettricità di Gaza ad una società israeliana è il Qatar. L’investimento del Qatar all'interno di Gaza per la costruzione di questa piccola centrale elettrica aveva come obiettivo l’autonomia elettrica di Gaza, che sarebbe sempre stata finanziata dai fratelli della Penisola araba. Trasformando così Israele in un piccolissimo fornitore rispetto a quello che ha fatto fino ad oggi. Questo più i permessi di lavoro, secondo Udler, hanno allentato le tensioni, e per qualche tempo avrebbero funzionato nonostante ci siano state delle operazioni e degli scontri abbastanza corposi negli ultimi due anni. Ma erano ingaggi che duravano poco più di qualche giorno. «Erano tutte operazioni che avvenivano perché Hamas voleva qualcosa in più, ma erano conflitti che finivano in poco tempo perché effettivamente gli abitanti e i cittadini della striscia di Gaza iniziavano ad avere qualche apertura e qualche vantaggio».

Riguardo agli Accordi di Abramo che il principe ereditario Bin Salman avrebbe firmato per la normalizzazione dei rapporti tra Israele e il Medio Oriente, vi erano anche le richieste di più libertà e più indipendenza per i palestinesi. Su questo Udler risponde «Con questi patti, sarebbero riusciti ad ottenere più diritti e si stava lavorando proprio per questo, per ottenere una stabilità maggiore anche nell’area palestinese. I colloqui tra Israele e l'Arabia Saudita hanno voluto coinvolgere anche i palestinesi in modo che la Arabia Saudita, firmando l’accordo avrebbe potuto dire e dimostrare ai palestinesi che anche loro avrebbero avuto dei vantaggi».

«A mio avviso l'Iran, Hamas e il Jihad Islamico hanno lavorato insieme per interrompere questa normalizzazione. Questo perché per l'Iran una normalizzazione sarebbe un fallimento generale. Per queste realtà terroristiche, una condizione di pace è inconcepibile, perché non gli permetterebbe più di poter dire la loro giustificando la violenza e l’odio per l’Occidente».

Per Udler, Hamas unitamente ad altri gruppi terroristici, avrebbero pianificato questo tipo di attentato almeno un anno prima, ma senza una data precisa. Ed è stato nel momento in cui l'Iran ha intuito che ci sarebbe potuta essere questa firma per la normalizzazione dei rapporti con Israele che c’è stata la svolta che ha dato l'ok dell'Iran a procedere. Sul perché, la zona dove è stata aperta la breccia nel muro che divideva il territorio israeliano da quello di Gaza, era priva di personale o quasi e sul perché a sorvegliare ci fossero soprattutto telecamere e mezzi robotici Udler sostiene: «Come parte del pensiero militare, l'intelligence israeliana si avvale di mezzi molto più che avanzati ed essendo sofisticata credevano che in assenza di messaggi concreti, probabilmente non c'era nessun motivo per pensare che ci sarebbe stato un attentato del genere. Il giorno in cui c'è stato l'attacco non era solo il giorno di Shabbat ma era la festa di Simchat Torah, la festa della fine della lettura della Torah, anche per questo il personale era ridotto. Oltre a non esserci un dato concreto che spingesse ad ipotizzare un attacco del genere».

Sicuramente non è stato un caso che Hamas abbia scelto quel giorno, che ricadeva anche durante l’anniversario della guerra del Kippur. Sul perfetto addestramento di Hamas l’analista vede l’ombra sempre più ingombrante dell’Iran. «Io penso che dietro questo addestramento ci siano esperti iraniani delle Guardie Rivoluzionarie. Ma la preparazione non è avvenuta completamente su tutto l'addestramento perché su alcune cose loro erano già preparati. Saranno sicuramente stati addestrati sull'utilizzo del parapendio, che non sarebbe stato fattibile su Gaza. E’ molto più probabile che il numero di miliziani addestrati sia stato preparato in Libano. Questo perché è impossibile che un corposo gruppo di persone possa provare ad addestrarsi nella striscia di Gaza sotto l'occhio attento di Israele».

Sull'ipotesi che molti di loro siano stati addestrati in alcune zone del Sinai, non visibili ad Israele, Udler lo ritiene possibile, ma reputa più fattibile il fatto che i palestinesi residenti nella striscia di Gaza abbiano attraversato il valico di Rafah o uno degli altri due checkpoint come Salah ad Din Gate raggiungendo gli aeroporti egiziani per dirigersi in Libano o in Iran. Inoltre sulla presenza di parapendii a Gaza fa presente che generalmente turisti o civili a volte vengono individuati durante l'utilizzo di questi mezzi ma non destano problemi e non destano dubbi, proprio perché presenze sporadiche e rare. Mentre un gruppo così corposo come quello che si è paracadutato all'interno del territorio israeliano sarebbe stato notato e avrebbe destato sicuramente sospetti. Ricordando Come già nel passato, anche nel 2011, l'utilizzo del parapendio era stato azzardato durante uno dei tanti attacchi di Hamas nei confronti di Israele, ma senza successo. Così come nel sud del Libano, dove in passato esponenti di Hezbollah avevano provato ad effettuare lo stesso tipo di approccio militare.

Sui possibili scenari che si potrebbero aprire se il fronte del Nord degenerasse e sulle minacce trasversali lanciate da Huti nello Yemen, da Hezbollah nel Libano e dalle varie componenti terroristiche dei Paesi arabi così come componenti terroristiche sciite presenti in Iraq, Udler non ha dubbi: «Oggi più che mai diventa uno scenario plausibile, rispetto ai periodi passati e vissuti fino ad oggi. Questo, per chi non lo sapesse è esattamente il progetto iraniano, il progetto che aveva in mente l'ex comandante delle Forze Quds delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, l'ex generale Qassam Suleimani ucciso dagli americani nel 2020. Lui aveva ideato di circondare Israele con eserciti armati di droni, razzi, missili e altri armamenti».

In effetti oggi nel fronte Nord del Libano abbiamo Hezbollah con 150mila tra missili, razzi e droni, Hamas nella striscia di Gaza con droni, razzi e missili, ma in quantità inferiore, con circa 15/20mila armamenti. Poi ci sono gli Houthi in Yemen che sono una costola dell'esercito iraniano e che sono finanziati dall'Iran. Difatti quasi tutti gli armamenti che posseggono gli Houthi sono iraniani tranne alcuni tipi di armamenti che sono fatti proprio nello Yemen stesso, ma sempre elaborati tramite tecniche iraniane. Poi in Siria troviamo dei raggruppamenti importanti di milizie sciite che furono costituite da Qassem Suleimani nel periodo in cui vi era la lotta contro Da’ash e che dopo la lotta al Califfato rimasero radicate in Siria per mantenere un avamposto. In Iraq troviamo Le Milizie sciite Asa’ib Ahl al-Haq e altre milizie neocostituite e sempre armate dall'Iran con razzi, missili e droni. In fine c’è l'Iran dove ci sono due eserciti uno Nazionale riconosciuto e le Guardie Rivoluzionarie che risulta essere un esercito a parte e che detiene gran parte del potere decisionale rispetto a quello nazionale. «È probabile che questi eserciti decidono di rivoltarsi contro Israele rischiando un allargamento del conflitto. Nel momento in cui la guerra entrerà nel pieno e disacerberà ulteriormente ciò che già è in essere. Questo potrebbe accadere nel momento in cui Israele inizierà l'operazione di terra».

L’Iran attenderà il momento propizio

A detta di Udler è molto probabile che l'Iran inizierà ad osservare, perché quasi sicuramente avrà un suo piano. Secondo l’ex Forza Speciale, il fatto che l'Iran stia ancora tenendo buoni gli eserciti che circondano Israele potrebbe dipendere dal fatto che attenda che Israele si indebolisca o si sfianchi per poter attaccare nel momento propizio. «Non a caso Israele dall'inizio dell'operazione della guerra ha chiesto subito sostegno all'America per gli armamenti. Questo perché Israele lo sta già prevedendo. Lo dimostra anche il reclutamento di 300mila riservisti. Israele non aveva bisogno di così tanti riservisti per coprire la fascia della striscia di Gaza, ma sta già prevedendo di poterne attivare ancora altri 60mila. Questo in previsione del fatto che tutti i suoi fronti come il fronte nord potrebbero essere attivati». Difatti i soldati e le riserve che sono rientrate sarebbero state dislocate su tutti i confini e si starebbero attualmente addestrando per rinfrescare le tecniche per diventare nuovamente operativi. «360mila riservisti in una fascia di terra come quella di Israele che equivale più o meno alla Regione Lombardia è un numero esorbitante. Ricordiamo infatti che la Russia durante la sua invasione dell'Ucraina cercò di attivare 300mila volontari, ma ne reclutò soltanto 180mila. Queste premesse mi fanno pensare che Israele stia già prevedendo una guerra regionale ad ampio spettro e non a caso, già da adesso, è stato chiesto sostegno agli americani per gli armamenti. Armamenti dei quali non hanno attualmente necessità perché le loro riserve sono piene». E’ probabile infatti che nel momento in cui le munizioni inizieranno ad esaurirsi ci sarà la necessità di avere già a disposizione e ricambio degli armamenti.

Il numero dei terroristi a Gaza va da 20 a 30mila circa, un numero esiguo rispetto al milione e cento di persone che dovrebbe essere evacuato per il quale anche l'Europa e l'America stessa hanno iniziato a chiedere un rallentamento dell'operazione per permettere ai civili di potersi mettere in salvo. «Ci vorrebbero circa 30mila soldati per affrontare i terroristi di Hamas che si trovano nella striscia di Gaza - ovviamente senza contare quelli che sono già fuggiti e che sono ospitati in Qatar e in altre Regioni - Israele ne ha reclutati 10 volte in più ed ha la possibilità di reclutarne ancora altri 60mila».

Quando e se il conflitto si allargherà dipenderà solo e unicamente da Teheran sostiene l’analista e la luce verde per attaccare, il momento propizio potrebbe essere quello in cui l'esercito israeliano potrebbe diventare più stanco. Riguardo alla dichiarazione di Israele e all'annuncio fatto dal governo a più di un milione di palestinesi di abbandonare la striscia di Gaza prima dell'attacco via terra e al dubbio che centinaia di migliaia di civili possano morire a causa della folle politica dei terroristi di Hamas e non solo, anche per la chiusura del valico di Rafah, Udler non ha dubbi «Non è vero che non si sa dove devono andare. La striscia di Gaza non è un pezzo di terra così piccolo, perché chi lo dice non conosce la striscia di Gaza. E’ vero che la striscia di Gaza non è un pezzo di terra enorme, ma è un pezzo di terra in cui la popolazione può comunque spostarsi dal nord verso il sud. L'IDF attraverso il consueto lancio di volantini per avvisare degli attacchi ha chiesto a più di un milione e centomila persone di recarsi verso il sud. Questo proprio per evitare vittime e feriti tra i civili, a differenza di Hamas che ha chiesto ai palestinesi di restare nelle proprie case utilizzandoli come scudi umani. Israele Infatti intende entrare per cercare questi 30mila terroristi casa per casa, zona per zona ma non per fare fuori civili altrimenti non darebbe avvisi ogni volta che c'è un attacco».

A detta di Udler le persone potrebbero attraversare non solo il valico di Rafah ma anche gli altri due check point come quello di Salah ad Din gate a sud, che portano verso l'Egitto. Il problema è che l'Egitto teme un'invasione di profughi, che una volta attraversata la striscia non ritornino più in dietro rimanendo in Egitto. «Anche il fatto che al Sisi abbia messo come condizione per il passaggio del valico un massimo di 2000 persone al giorno, è per gestire meglio il flusso migratorio, per poterli meglio distribuire tra gli altri Paesi tra cui l'Europa».

Riguardo a Da’ash (Isis) e alla sua presenza all'interno di Gaza spiega come questi siano maggiormente presenti nelle zone incontrollate del Sinai e come siano quasi tutti palestinesi estremizzati e neo radicalizzati con il jihad islamico. «L'Egitto questo lo sa».

Sul rischio che corre l'Europa vi è stata una riflessione approfondita con tre spunti legati a possibili pericoli. Il primo rischio che potrebbe correre l'Europa è che se i palestinesi entreranno in abbondanza nel Sinai e valicheranno i confini di Gaza per l'Europa vi sarà il rischio di nuove ondate di migrazione. Il secondo rischio è il terrorismo interno legato a giovani radicalizzati in Europa, così come già accaduto in Francia: «Purtroppo l'Europa deve adeguarsi a ciò che sta accadendo è prepararsi con piani eventuali per affrontare eventuali attacchi terroristici». Il terzo rischio è che se si scatenasse una guerra regionale, l’Europa in un modo o nell’altro, potrebbe vedere il coinvolgimento di alcuni paesi.

Sull'argomento ostaggi la visione è molto chiara «Sono probabilmente più importanti dei civili stessi. Verranno usati come mezzo di scambio con prigionieri palestinesi o in caso di negoziazione guerra. Non ci sono ancora numeri definitivi, si parla di 130/ 150 possibili ostaggi. C'è da dire che alcuni sono stati rapiti vivi e in buone condizioni, altri feriti e se le ferite riportate fossero lievi sicuramente potrebbero essere ancora in vita e dato non meno importante sono stati portati dal territorio israeliano a Gaza anche dei cadaveri». Purtroppo a fare la differenza anche i bombardamenti a tappeto che come accaduto rischia di fare fuori alcuni ostaggi. Così come la suddivisione degli stessi tra Hamas e Jihad Islamico. «Per prudenza bisogna attendere le verifiche che stanno effettuando gli uomini dell’IDF. Gli stessi giovani che sono stati colpiti durante il rave sono difficili da individuare e in questo devono collaborare le diverse ambasciate».

Sulla presenza di Da'ash in Gaza, fa presente che si tratta di un piccolo gruppo formato da palestinesi di Gaza. «Non è assolutamente vero che questi soggetti si siano incontrati con elementi dell’Isis in Siria o in Iraq. La fazione palestinese dell'Isis in Gaza si è radicalizzata in loco. È una fazione molto estremista, che Hamas negli anni ha tenuto d'occhio, evitando che questa crescesse. Questo perché temeva ciò che è poi accaduto, cioè un’ulteriore perdita di fiducia da parte degli affiliati nei suoi confronti. Così per evitare di farla crescere e di farle prendere il sopravvento Hamas l'ha coinvolta in questo atto terroristico».

Alcuni di loro, a detta dell’analista, proprio per le ritorsioni che Hamas ha avuto nei confronti di questo piccolo gruppo di jihadisti, sarebbero usciti da Gaza rifugiandosi nel Sinai e lì si sarebbero legati ad altri estremisti jihadisti come egiziani. Riguardo all'attacco terroristico in sé Udler spiega che «Hamas ha chiamato a raccolta tutte le organizzazioni palestinesi distribuendo ad ognuna di loro delle istruzioni su come comportarsi. Tra quelle si trovavano almeno una cellula dell'Isis, componenti della AP, del fronte Popolare per la liberazione della Palestina assieme ai battaglioni democratici e ad altre realtà più piccole.

Una cellula dell'Isis è arrivata nel Kibbutz di Sufa, dove sono state trovate bandiere del Califfato, un libro del Corano, un tappeto dove pregare e un vademecum/rivista dove c'erano sermoni dell’Isis e al-Qaeda a corredo. – conclude Udler - Così come nel Kibbutz Miflasim, dove sono state trovate mappe cartine e ordini su come attaccare, su quante persone vi abitavano, quanto personale militare israeliano c'era all'interno del kibbutz e quanti minuti ci avrebbero impiegato i militari nell'arrivare in caso di allerta». Insomma era già tutto pianificato e dai documenti abbandonati sopra i pick-up si evince che il piano era già stato preparato dal 2022.



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Giusy Criscuolo

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