Minoranze in Italia

Necessaria maggiore attenzione verso i gruppi più vulnerabili

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  Laura Rodriguez
  27 febbraio 2023
  5 minuti, 55 secondi

Secondo il recente responso del Comitato consultivo del Consiglio d’Europa sulla Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, diversi sono ancora gli step che l’Italia deve fare nell’ottica di una maggiore integrazione dei gruppi Rom e Sinti; nonostante le varie iniziative parlamentari, infatti, manca ancora un quadro legislativo nazionale specifico volto a salvaguardare questi gruppi.

Le minoranze sul territorio italiano

Secondo una definizione generalmente accettata, il termine ‘minoranza storica’ definisce un gruppo di cittadini italiani, localizzato in un determinato territorio e numericamente inferiore rispetto al resto della popolazione. Tuttavia, questa prima descrizione non basta per comprendere la ragione per cui queste compagini vengano contrapposte (spesso in maniera discriminatoria) al resto dei cittadini italiani: la minoranza, infatti, è nota per condividere delle caratteristiche etniche, linguistiche o religiose diverse dalla maggioranza con cui si trova a condividere la terra.

In Italia è possibile distinguere numerose popolazioni che si riconoscono in lingue diverse da quella nazionale; nello specifico, la Costituzione ammette 12 comunità linguistiche che vivono tendenzialmente nelle zone di confine. Accanto a queste categorie, è possibile poi individuare altri sottogruppi che, diversamente dalle prime, non hanno un particolare territorio di riferimento e sono al tempo stesso scarsamente tutelati. Questi ultimi vengono spesso appellati come nomadi e tra di essi i più diffusi sono: ‘Rom’, presenti soprattutto nelle zone centrali del Paese e nel mezzogiorno; ‘Sinti’, stanziati prevalentemente al nord; ‘Caminanti’, presenti in Sicilia. Le popolazioni RSC (dette anche romaní’ per via della lingua parlata) rappresentano una piccolissima parte della popolazione italiana (tra i 130 e i 180 mila individui circa), ma nonostante questo negli anni sono sempre stati oggetto di una forte attenzione mediatica e politica.

Per quel che riguarda la situazione attuale, il gap evidenziato dal quartier generale europeo riguarda principalmente la difficoltà che le categorie minoritarie hanno nell’accedere all’istruzione nella propria lingua. Un problema che, oltre a quello di una protezione dei diritti fortemente asimmetrica tra le regioni nel Paese, è collegato allo scarso numero di insegnanti certificati. Per questo, l’Europa ha chiesto in primis un ulteriore sostegno ai centri di lingua che offrono corsi di formazione per il personale scolastico nelle rispettive lingue minoritarie.

Quello del finanziamento rimane una questione critica in quanto paralizza, o comunque ritarda, la pianificazione delle organizzazioni di tali minoranze, non consentendo di attuare le attività concordate. Un processo che richiede al tempo stesso la semplificazione delle procedure di concessione per accedere ai fondi, rendendoli così più sostenibili. In quest’ottica, la Rete Anils (Rete di scuole con lingua di minoranza) creata in Italia nel 2019, può essere sicuramente uno strumento utile per la risposta a cui il governo è sollecitato.

Rom e Sinti

Nonostante il generale clima di apertura e rispetto reciproco, il Comitato ha riconosciuto l’esistenza persistente di un antiziganismo (il pregiudizio verso gli zingari o ‘zigani’) ancora marcato e l’immagine negativa di questi gruppi minoritari nella percezione generale ne è la conferma. Dai dati analizzati emerge che i Rom non solo sono fortemente discriminati rispetto agli italiani, ma ricevono un trattamento peggiore rispetto a quello solitamente riservato agli stranieri. Questo è particolarmente vero se si guarda alle donne Rom, vittime del pregiudizio che, in misura maggiore rispetto agli uomini, le immagina parte di attività illecite. Di fatto si trovano sottoposte ad una discriminazione su più livelli: in quanto rom, in quanto donne, in quanto considerate migranti e nomadi. Stereotipi e pregiudizi che portano alla sovra-rappresentazione di questi soggetti nelle carceri italiane, un fenomeno che è frutto di una ‘discriminazione strutturale’ dovuta tanto alle modalità di intervento delle istituzioni penali, quanto alla condizione di esclusione in cui si ritrovano tali individui. È ormai noto, infatti, l’isolamento sociale e culturale di cui sono vittime, così come le difficoltà che incontrano nell’accedere ai servizi pubblici. Il risultato finale è una risposta penale che riflette una tendenza a colpevolizzare gli individui per la loro condizione disagiata piuttosto che elaborare dei progetti politici e sociali che la riducano.

Per avere una misura reale dell’attenzione rivolta a queste categorie minoritarie e valutare quali sono (laddove esistono) le politiche cosiddette ‘inclusive’, un parametro utile può essere quello del livello di ‘scolarizzazione dei minori rom’. Il sistema scuola, infatti, è uno dei principali luoghi di inclusione e socializzazione per un bambino che, trovandosi in un contesto accogliente e partecipativo, può trarre vantaggi sia dal punto di vista cognitivo che relazionale. Tuttavia, gli investimenti economici delle varie amministrazioni volti a favorire la fruizione dei servizi scolastici rimangono saldamente nelle mani degli enti locali; questo fa si che non esista un quadro complessivo di intervento o alcuna ‘strategia’ nazionale, correndo il rischio di attuare interventi con scarsa efficacia.

Il problema dei campi rom

Anche se attualmente il dibattito sul tema sembra essersi spento, oscurato da preoccupazioni relative alla pandemia prima e alla guerra in Ucraina poi, quello dei ‘campi nomadi’ ha da sempre rappresentato un argomento critico per il governo italiano. Il nomadismo è diventato infatti una caratteristica dei gruppi RSC, costretti sin dall’origine a frequenti spostamenti a causa della xenofobia nei loro confronti così come la tendenza a voler mantenere la loro specificità culturale.

Nonostante non sia l’unico Stato europeo ad averne, l’Italia è stata soprannominata ‘il Paese dei campi’, essendo considerata la nazione più coinvolta nella politica dei villaggi etnici per le comunità Rom. Condizioni abitative critiche, recinzioni, allocazioni tendenzialmente distanti da servizi primari e di trasporto pubblico sono tutte caratteristiche che determinano una violazione dei diritti umani. A questo vanno aggiunte anche condizioni igienico-sanitarie ai limiti dell’accettabile, con quasi il 30% degli insediamenti formali che non dispone di un WC, oltre a frequenti situazioni di sovraffollamento.

Quello del nomadismo è considerato come un tratto fondamentale dell’identità dei gruppi RSC, anche se i dati del Ministero dell’Interno dicono ben altro: attualmente solo il 2-3% delle famiglie si spostano in carovana. Un luogo comune che da un lato rafforza la discriminazione già latente e, dall’altro, contribuisce al mancato riconoscimento della lingua romaní come una minoranza al pari delle altre.

Di fronte a questo hanno fatto sentire la loro voce diverse istituzioni europee che hanno in più battute accusato l’Italia di non rispettare i diritti umani. Una critica rivolta soprattutto alla tendenza a sgomberare i campi irregolari senza poi provvedere delle soluzioni abitative diverse e più adeguate.

Certo è che il rapporto del Comitato ha voluto mettere in evidenza l’inadeguatezza della situazione attuale e, al tempo stesso, ha invitato il Paese a prendere dei provvedimenti nell’immediato. Il modo più semplice rimane quello di favorire la conoscenza delle diverse culture così da consentire una maggiore integrazione sociale e una parità di accesso ai diritti.

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Le fonti utilizzate per la stesura dell'articolo sono consultabili ai seguenti link

https://www.coe.int/en/web/minorities/italy

https://www.interno.gov.it/it/temi/cittadinanza-e-altri-diritti-civili/minoranze

https://www.orizzontipolitici.it/rom-sinti-italia-integrazione/

https://www.rapportodiritti.it/rom-e-sinti

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L'Autore

Laura Rodriguez

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Diritti Umani

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minoranze nomadismo Italia uguaglianza integrazione