Obiettivo net zero

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  Alessia Pagano
  07 giugno 2023
  5 minuti, 42 secondi

Per evitare gli impatti più devastanti del cambiamento climatico e proteggere la nostra Terra, dobbiamo contenere l'aumento della temperatura globale sotto i 2°C rispetto ai livelli preindustriali, preferibilmente limitandolo a 1,5°C. Questo è quanto stabilito dal quinto rapporto dell’IPCC e riconosciuto dagli Accordi di Parigi, il risultato dell’impegno internazionale che ha animato la ventunesima Conferenza delle Parti (COP21) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC).

Al momento, il pianeta è già diventato circa 1,1°C più caldo rispetto alla fine del 1800 e le emissioni di gas serra continuano ad aumentare. Di fatto, continuando su questa traiettoria, entro la fine del secolo la temperatura si alzerà di 2,7°C, quasi il doppio rispetto a quanto auspicato, motivo per cui tra gli obiettivi della COP 26, nel 2021, spiccava quello di incoraggiare gli Stati alla decarbonizzazione, nella speranza di raggiungere l’obiettivo net zero entro la metà del secolo.

Con “net zero emissions”, in italiano “emissioni nette zero”, si intende l’equilibrio tra la quantità di gas serra che vengono prodotti e che vengono rimossi dall’atmosfera. Per far ciò, bisogna innanzitutto ridurre le emissioni al minimo, e poi impegnarsi per sequestrare l’anidride carbonica residua.

Gli esiti della COP 26 sono stati l’aggiornamento del Paris Rulebook, il documento che contiene le misure da adottare per implementare con successo gli Accordi di Parigi, e la firma del Glasgow Climate Pact, il quale consiste in una serie di risoluzioni che sviluppano quanto deciso alla COP 21, senza però stabilire cosa ogni Stato debba fare o essere legalmente vincolante.

Nessun nuovo trattato, quindi, ma molti nuovi contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions – NDC), ossia dichiarazioni su base volontaria degli Stati in merito alle misure che adotteranno. La maggior parte di essi, riflettendo lo spirito delle due settimane di negoziazione appena concluse, fissava un limite temporale aldilà del quale il Paese avrebbe prodotto zero emissioni nette.

La transizione verso un mondo net zero rappresenta una delle maggiori sfide che l'umanità si trova ad affrontare, poiché richiede un cambiamento radicale nei modi di produzione, consumo e trasporto che adottiamo.


Gli Stati net-zero

Gli Stati ad aver raggiunto questo traguardo sono ancora pochi. Diversi di essi, però, non solo producono zero emissioni nette, ma hanno addirittura ottenuto la negatività carbonica: sequestrando più anidride carbonica di quanta ne emettono, creano le cosiddette “emissioni negative” e diventano “serbatoi di carbonio”.

Il primo Paese a guadagnarsi questo titolo è stato il Bhutan, che ha dichiarato il suo impegno in questa missione già in occasione della COP 15, tenutasi a Copenaghen nel 2009, riconfermandolo poi alla COP 21. Da anni, infatti, questo piccolo Stato schiacciato tra Cina e India sequestra circa il triplo delle tonnellate di anidride carbonica che produce.

La riuscita di questo progetto è dovuta sia all’estensivo impiego di energie rinnovabili (in particolare l’uso domestico e la distribuzione agli Stati vicini di energia idroelettrica), sia ai suoi polmoni verdi: ben il 75% del territorio nazionale è coperto da foreste, una percentuale che, per quanto stabilito dall’articolo 5.3 della costituzione, non può mai scendere sotto il 60%.

Da qualche anno sono diventati serbatoi di carbonio anche Panama e il Suriname, che infatti alla COP 26 hanno formato insieme al Buthan una coalizione di Paesi con emissioni negative, dichiarando di voler promuovere l’adozione di misure per sostenere le loro economie e quelle di altre nazioni che si stanno preparando a seguire il loro esempio.

A dire il vero, nonostante la presenza di solo tre Stati nella coalizione, ci sono già diversi altri Paesi che affermano di aver raggiunto l’obiettivo net zero o di produrre esclusivamente emissioni negative: si tratta di Isole Comore, Madagascar, Gabon, Guyana e Niue. Quello che hanno in comune? Sono tutti Stati il cui territorio nazionale è in buona parte occupato da foreste, con una bassa densità di popolazione, un settore industriale poco sviluppato e delle leggi che da tempo garantiscono una forte tutela del territorio.



Gli Stati impegnati nella transizione

Comprensibilmente, per molti altri Stati non sarebbe possibile né auspicabile allinearsi totalmente con le politiche di questi Paesi, ma ci sono indubbiamente delle lezioni che possono imparare da loro, soprattutto riguardo l’importanza dell’afforestazione, dell’uso di energie sostenibili e della volontà di fare della salute dell’ambiente una priorità.

Secondo il Climate Action Tracker (CAT), a maggio del 2021 erano 130 i Paesi ad aver approvato leggi, documenti politici, o annunciato di valutare impegni per raggiungere l'obiettivo net zero, un numero che è salito a 140 a novembre 2022.

Tra i maggiori emittenti, l’ultimo Stato ad annunciare un tempo limite finora è l’India, che insieme a Cina, UE e a Stati Uniti produce più della metà delle emissioni globali di gas serra.

Persino nazioni che finora hanno dimostrato uno scarso impegno nella lotta al cambiamento climatico, come Russia, Arabia Saudita, Turchia e Emirati Arabi Uniti, si sono unite alla corsa verso un mondo con zero emissioni nette, il che testimonia la consapevolezza dei governi di doversi impegnare in modo tangibile per far fronte alla crisi climatica, la quale è una minaccia per l’intera umanità ora più che mai.

Tuttavia, la semplice adozione collettiva a livello politico di tali misure non basta. Esse vanno infatti attuate, e di questo finora non c’è garanzia, poiché in alcuni casi gli obiettivi non sono chiari o supportati da azioni reali.

Il rischio, infatti, è che le dichiarazioni che pongono limiti distanti decenni possano distrarre dalla necessità di una riduzione profonda a breve termine, consentendo ai governi di "nascondersi" dietro traguardi ambiziosi: ecco perché è necessario monitorare i progressi, pianificare delle tappe intermedie – l’IPCC suggerisce di dimezzare le emissioni già entro il 2030 – e ricordare ai decisori politici che per ottenere cambiamenti concreti nel futuro bisogna agire nel presente.

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Fonti consultate per il presente articolo:

https://unsplash.com/it/foto/KyaoT3NKN2s

https://www.un.org/en/climatechange/net-zero-coalition

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https://www.nab.gov.bt/assets/templates/images/constitution-of-bhutan-2008.pdf


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cambiamento climatico Cop26 cop15 COP21 accordi di parigi Glasgow net zero