Omotransfobia: quali tutele per i cittadini europei?

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  Redazione
  01 settembre 2020
  6 minuti, 33 secondi

A cura di Giorgia Corvasce

L’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea stabilisce, al primo comma, che “è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.

Tuttavia, la vita di numerosissime persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ viene quotidianamente scossa da episodi di discriminazione, nel mondo del lavoro e nel quotidiano, oltre che da casi di violenza sia psicologica che fisica.

È solo di pochi giorni fa l'ultima notizia di un'aggressione avvenuta in una nota spiaggia in Sardegna ai danni di una giovane coppia di omosessuali, "rea" semplicemente di essersi scambiata effusioni in pubblico.

Un episodio, l’ennesimo, che testimonia l’esistenza di preoccupanti livelli di intolleranza nei confronti di chi viene percepito come “diverso” e che è diffusa in tutta Europa.

A tal proposito, è interessante guardare alle statistiche stilate da due associazioni, ILGA Europe e FRA, le quali si occupano di analizzare la qualità della vita delle persone appartenenti alla realtà LGBTQ+ nell’area europea e l’effettiva esistenza o meno di tutele nei loro riguardi.

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Rainbow Report

L’associazione ILGA Europe, la quale si batte per la parità dei diritti di persone gay, lesbiche, bisessuali, transgender e intersessuali sul suolo europeo, riporta un dato allarmante: lo scorso anno nel 47% dei Paesi oggetto d’indagine non vi è stato alcun miglioramento della situazione degli appartenenti alla comunità LGBTQ+, ed anzi per il secondo anno consecutivo le tutele stanno diminuendo.

Secondo il Rainbow Report relativo all’anno 2019, che analizza il complesso normativo e le scelte politiche dei singoli ordinamenti, dividendole in sei aree tematiche (uguaglianza e non discriminazione, famiglia, crimini d’odio e discorsi d’odio, riconoscimento del genere da parte dell’ordinamento e integrità fisica, sicurezza e spazio nella società civile, asilo politico) il Paese interessato dal peggioramento più evidente è l’Ungheria di Orbán che ha perso 8,46 punti percentuali nella scala di valutazione, a causa della sospensione delle procedure per il riconoscimento giuridico del cambio di genere e per la mancanza di un adeguato sistema di protezione contro attacchi omofobi e transfobici nei luoghi pubblici.

La Polonia, con la sua drammatica decisione di promuovere l’istituzione di zone “LGBTQ+ free” è condannata ad occupare una posizione ancora più bassa rispetto al suo attuale posto nella classifica dei 49 Stati presi in esame per il prossimo anno, anche se deteneva già l’ultima posizione fra i Paesi membri dell’Unione Europea.

Scende in classifica anche la Francia, la quale non ha più coltivato alcuna iniziativa per il miglioramento delle condizioni delle persone LGBTQ+.

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European Union Agency for Fundamental Rights

L’inchiesta portata avanti dalla FRA si concentra invece su diversi aspetti della vita quotidiana, e mostra un dato sconvolgente: più del 60% delle persone che si definiscono gay, lesbische, transgender, intersessuali evitano di tenere la mano del proprio partner in pubblico, per paura di subire aggressioni.

Ancor più grave, oltre il 50% non è mai o quasi mai aperto nel dichiarare il proprio orientamento sessuale o identità di genere in pubblico o in privato.

I dati migliorano sensibilmente quando si concentrano le interviste alla fascia più giovane della popolazione, ma in ogni caso il 30% di loro non si sente al sicuro a comportarsi liberamente ed esprimere il proprio affetto per il partner in pubblico.

Il livello di qualità della vita è più alto in Paesi quali Danimarca, Olanda e Austria, mentre crolla drasticamente in Polonia e Ungheria, i fanalini di coda d’Europa.

Inoltre, è risultato chiaro come oltre la metà delle aggressioni avvenga ai danni di persone transgender o intersessuali piuttosto che di lesbiche, omosessuali o bisessuali, con un tasso del solo 11% di denunce di simili avvenimenti alle autorità competenti.

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Il quadro italiano

Il nostro Paese si attesta ad un preoccupante 34° posto nel Rainbow Report su 49 Stati, arrivando dopo l’Ungheria.

È vero che dal 1982 l’Italia ha emanato una specifica legge per la rettificazione del sesso, la quale, con le successive modifiche, ha previsto la possibilità del cambio di identità di genere anche senza ricorrere all’operazione chirurgica di definitivo intervento sugli organi genitali, ma ciò non basta ad offrire adeguata tutela a una minoranza subissata dalle angherie come quella transgender, e lo stesso vale per gli altri appartenenti alla realtà LGBTQ+.

Un bagliore di speranza è tuttavia rappresentato dalla proposta di legge Zan, presentata alla Camera il 2 maggio 2018 e finalmente giunta alla discussione in Assemblea il 3 Agosto scorso.

Il testo si propone di modificare gli artt. 604-bis e 604-ter del Codice Penale in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere, con lo scopo di contrastare con maggiore efficacia gli episodi di omotransfobia.

In particolare, la proposta di legge estende le condotte delittuose dell’art 604-bis anche a ipotesi di discriminazioni, violenze o provocazioni alla violenza dettate da motivi di orientamento sessuale e identità di genere, oltre che istituire il divieto di costituire un ente giuridico di qualsivoglia natura che preveda tra le sue finalità quelle di comminare violenze o discriminazioni fondate sui medesimi elementi.

Inoltre, si aggiunge che la circostanza aggravante di cui al all’art. 604-ter c.p. si applichi anche ai reati commessi in ragione dell’orientamento sessuale o della identità di genere, apportando finalmente una tutela specifica alle vittime di aggressioni omotransfobiche fino ad oggi prive di leggi ad hoc in Italia.

Si tratta della prima volta, dopo ben quattro tentativi, in cui si arriva così vicini all’approvazione di una proposta di legge che tracci una tutela effettiva per la comunità LGBTQ+ dopo anni di lacune legislative.

L’Italia potrebbe finalmente compiere quel passo in avanti che le istituzioni europee hanno più volte sollecitato, seppur, come sopra visto, anche la situazione di altri membri dell’UE non sia adeguata a garantire l’osservanza dei diritti fondamentali sanciti nei Trattati.

Nonostante ciò, si auspica che grazie al predetto progetto legislativo, una volta divenuto legge a tutti gli effetti, si generi un diffuso miglioramento del clima di intolleranza oggi esistente nei confronti degli appartenenti alla realtà LGBTQ+.

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