Regionalismo e regionalizzazione in area MENA

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  Sara Oldani
  30 settembre 2023
  5 minuti, 38 secondi


L’anarchia e il multipolarismo, insieme alla fluidità multi-livello di potere e ideologie, hanno determinato la frammentazione dell’area. L’area MENA, più di altre regioni del mondo, è caratterizzata da una sub-regionalizzazione estrema che ha impedito l’emergere di un’integrazione e di una governance condivisa. Innanzitutto il quadrante, inteso strettamente come “mondo arabo”, è costituito da tre zone geografiche principali:

  • al-Maghreb (lett. “dove tramonta il sole”), cioè il Nord Africa costituito da Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto (anche se quest’ultimo spesso viene considerato appartenente alla regione del Nilo insieme al Sudan);
  • al-Mashreq, il Levante (lett. “dove sorge il sole”) formato da Palestina, Libano, Giordania, Iraq, Siria con la presenza dell’outsider ebraico Israele;
  • al-Khalij, il Golfo formato dagli Stati che si affacciano sul Golfo Persico (o Arabico), Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Oman, Yemen, Kuwait e Qatar.

All’interno di ciascuna sub-regione ci sono inoltre delle dinamiche di potere (e di potenza) specifiche. 

Il Khalij si presenta come l’unica delle sub-regioni effettivamente integrata. Il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), fondato nel 1981 ad Abu Dhabi, riunisce Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Bahrein e Oman, i maggiori produttori di petrolio e gas della penisola arabica. Questa organizzazione internazionale regionale rappresenta un’area di libero scambio e si occupa di sviluppare la cooperazione economica, politica e securitaria degli Stati membri

Lo Yemen, per quanto appartenente alla stessa area geografica, risulta escluso e la sua ammissione appare assai improbabile data la persistenza della guerra civile e degli interessi divergenti portati avanti da Emirati Arabi ed Arabia Saudita. Nonostante manchi una reale unione politica – in riferimento anche all’estromissione e poi riammissione del Qatar all’interno del forum regionale – la monarchia del principe ereditario Mohammed bin Salman è riuscita a tenere insieme le politiche dei Paesi del Golfo, assumendone la guida. Il CCG, pertanto, è reso efficace dalla presenza dell’egemone saudita e dalla ricchezza dei membri. 

Inoltre, a differenza delle altre organizzazioni sub-regionali, è caratterizzata da un’omogeneità per tessuto produttivo, forma politica (monarchie costituzionali o assolute) e problemi di sicurezza condivisi. La minaccia geopolitica principale per i Paesi del Golfo è infatti l’Iran che attraverso l’Iraq e i suoi proxies della Mezzaluna sciita destabilizza il Levante e la penisola arabica. Nonostante i punti di forza, bisogna sottolineare che la dipendenza dagli idrocarburi (e la volatilità dei loro prezzi) e la mancanza di capitale umano potrebbero rappresentare delle vulnerabilità non da poco, ma fino ad ora sono state gestite in maniera lungimirante.

Ci sono stati dei tentativi di cooperazione e integrazione a livello regionale, al fine di unificare il quadrante e trovare delle soluzioni condivise alle sfide comuni. Il tentativo più antico si rifà alla Lega Araba Unita, organizzazione regionale fondata nel 1945 presso Il Cairo, comprendente 22 Stati membri e attiva sul fronte politico, economico, sociale, ambientale e securitario. I risultati raggiunti dalla Lega Araba sono stati fin dalla sua creazione inferiori alle aspettative, di fatti le divisioni interne al mondo arabo si sono ripercosse sullo sviluppo istituzionale ed operativo dell’organizzazione. L’emergere della Guerra Fredda Araba tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso e la polarizzazione del Medio Oriente a seguito della guerra tra Iran e Iraq (1980-88) hanno determinato la prevalenza di una concezione stato-centrica della Lega, cristallizzandola di fatto in un forum intergovernativo e bloccando il salto di qualità verso un’organizzazione sovranazionale. In aggiunta, le disparità strutturali tra Stati, perlopiù disomogenei tra di loro per ricchezza e densità di popolazione, hanno limitato fortemente le iniziative della Lega Araba che, ormai, detiene un ruolo meramente simbolico.

Le difficoltà di integrazione e di cooperazione regionale non sono imputabili esclusivamente a fattori interni, ma derivano anche dalla penetrazione di attori esterni. Da sempre oggetto di dominazioni straniere, anche a seguito della decolonizzazione è stata teatro della competizione tra le grandi potenze mondiali che hanno sfruttato secondo i propri interessi le divergenze interne al mondo arabo, contribuendo ad alimentare la “frammentazione anarchica” e la sub-regionalizzazione di cui sopra. Emblematico l’intervento statunitense in Iraq durante la Seconda guerra del Golfo (2003) che ha provocato un drastico shift of power nell’area: da quel momento in poi la regione ha subito la pressione di attori non arabi come Turchia, Iran, Israele con l’obiettivo di perseguire l’egemonia regionale e ha causato l’emergere di gruppi non statali, specialmente terroristici, come al Qaeda, Hezbollah, Hamas e Daesh. La rottura del fragile equilibrio e la vittoria in influenza dell’Iran hanno determinato dinamiche di insicurezza in tutta la regione, minandone le possibilità di integrazione.

Alla luce dei fallimenti di queste iniziative istituzionali, specialmente a seguito delle rivolte delle Primavere Arabe, si è affermata una consapevolezza maggiore circa la necessità di cooperazione e integrazione a livello della società per rispondere ai bisogni di prima necessità e vedere affermati i propri diritti di cittadini. La proliferazione di movimenti, associazioni e comitati ha mostrato come l’opinione pubblica araba abbia maturato un ruolo sempre più presente all’interno del panorama politico di Medio Oriente e Nord Africa (con velocità differenti in base alla forma di governo). Tale fenomeno in letteratura viene chiamato regionalization, un processo di integrazione di tipo orizzontale che vede in prima linea i contro-poteri allo Stato con effetti sia stabilizzanti che destabilizzanti. Esso si oppone al regionalism, cioè il processo di integrazione dall’alto verso il basso, dunque realizzato dalle élites al potere.

Nonostante la scarsa capacità del regionalism in Medio Oriente e Nord Africa, gli Stati hanno cominciato a prendere coscienza dell’importanza di affrontare collettivamente le sfide comuni come insicurezza, terrorismo, flussi migratori, crisi economica, crisi climatica, etc. Il mutato ordine geopolitico internazionale ha fatto comprendere ai Paesi del quadrante MENA la necessità di superare le divergenze del passato e scommettere su un nuovo capitolo di cooperazione e stabilità regionale. Gli Accordi di Abramo sono l’esito di un ribilanciamento dei rapporti di forza in tutta l’area e stanno favorendo una de-escalation tra i principali attori mediorientali. Questo esempio di processo di integrazione top-down per quanto accolto dalle leadership al potere dei Paesi aderenti, non è del tutto endogeno, ma si è realizzato sotto l’ombrello di protezione statunitense. Importante precedente, potrebbe essere la base per costruire delle iniziative autoctone e a più stretto contatto con la società civile per creare un Medio Oriente più stabile e più prospero per tutti. 

Fonti consultate:

M. Calculli, M. Legrenzi, Regionalism and Regionalization in the Middle East: Options and Challenges, International Peace Institute, marzo 2013

A. Ehteshami, Middle East Middle Powers: Regional Role, International Impact, International Relations Council of Turkey, Volume 11, No. 42, estate 2014

MENARA Project, European Policy Brief, marzo 2019

D. Malpass, Regional Integration in the Middle East and North Africa: a Call to Action, World Bank Group, ottobre 2021


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L'Autore

Sara Oldani

Sara Oldani, classe 1998, ha conseguito la laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano e prosegue i suoi studi magistrali a Roma con il curriculum in sicurezza internazionale. Esperta di Medio Oriente e Nord Africa, ha effettuato diversi soggiorni di studio e lavoro in Turchia, Marocco, Palestina ed Israele. Studiosa della lingua araba, vuole aggiungere al suo arsenale linguistico l'ebraico. In Mondo Internazionale Post è Caporedattrice dell'area di politica internazionale, Framing the World.

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MENA Medioriente Nordafrica Regionalismo Golfo Maghreb Mashreq