La lotta al tabagismo in Nuova Zelanda continua e, a circa un anno dalla sua proposta, lo Smokefree Aotearoa 2025 Action Plan diventa legge. Come descritto in un precedente articolo, il piano mira a ridurre al 5% la percentuale di fumatori neozelandesi attraverso tre misure fondamentali: abbassamento sostanziale del livello di nicotina nei prodotti a base di tabacco, riduzione drastica dei punti vendita di tali prodotti e creazione di una generazione che non entri mai in contatto col fumo.
Approvato lo scorso 13 dicembre dalla Camera dei Rappresentanti, il piano entrerà in vigore a partire da gennaio 2023, sebbene, come un anno fa, continui a far sollevare qualche sopracciglio.
Una pessima idea
Primo antagonista delle norme promosse dalla Dott.ssa Ayesha Verrall – Ministro per la Ricerca, Scienza e Innovazione sotto il governo laburista di Jacinda Ardern – è il partito di opposizione liberale e liberista ACT. Secondo il suo vice-leader, Brooke van Velden, il piano sarebbe una forma di “proibizionismo da Stato-balia” che “ucciderà i dairies. Quest’ultimi sono l’equivalente neozelandese dei convenience o grocery stores, ovvero essenzialmente dei minimarket dov’è ora possibile acquistare tabacchi. Il piano, infatti, prevede che il numero di dettaglianti autorizzati alla vendita di sigarette e affini passi dagli attuali 6000 ad un massimo di 600 entro la fine del 2023. Un taglio che stando a Ms. Van Velden farà chiudere i battenti fino all’80% dei dairies.
Inoltre, il partito ACT sostiene che ridurre la nicotina nei prodotti spingerà molti fumatori a fumare, e dunque spendere, di più per soddisfare la propria dipendenza, sottolineandone i rischi collaterali per i loro figli. Per di più, Ms. Van Velden paventa l’emergere di un mercato nero che risponda alla domanda disattesa dei tabagisti, asserendo che “le gang si strofineranno le mani con gioia.”
Dello stesso avviso è il Dott. Eric Crampton, economista capo del gruppo di ricerca NZ Initiative – finanziato fra gli altri dalla British American Tobacco - regina mondiale delle aziende di tabacco –, il quale considera le norme proposte come un “proibizionismo de facto” che rafforzerà la vendita illegale di sigarette. In effetti, uno sguardo alla vicina Australia – a sua volta fautrice di una politica fiscale punitiva nei confronti dei tabacchi – sembrerebbe corroborare quest’argomentazione. Infatti, tra il 2015 e il 2021, a fronte di una contrazione generale del 34% del mercato del tabacco, Canberra ha registrato un raddoppio della percentuale del mercato nero, dal 5 al 10%. Dunque, per ridurre ulteriormente il numero già basso di fumatori neozelandesi, il Dott. Crampton suggerirebbe piuttosto la promozione e la diffusione di alternative al fumo, come le sigarette elettroniche
o lo snus – il tabacco da succhiare popolare in Svezia e Norvegia –, entrambe meno dannose delle sigarette, seppur non prive di criticità.
Spirito giusto, metodo opinabile
Rimangono delle riserve anche tra i sostenitori della lotta al tabagismo, soprattutto riguardo alla più eclatante delle misure, ovvero quella che prevede di vietare per sempre la vendita di tabacchi ai neozelandesi nati a partire dal primo gennaio 2009. E non solo per la situazione paradossale in cui, nel 2073, un sessantunenne potrà acquistare delle sigarette, ma un sessantenne no.
Alcuni come Eleanor Margolis, opinionista del Guardian, ritengono che prima di vietare l’uso di tabacchi, il governo dovrebbe affrontare le condizioni socioeconomiche che spingono soprattutto le fasce più vulnerabili della popolazione a rifugiarsi nella dipendenza. Sarebbe dunque preferibile lasciare che il tabagismo “muoia da sé,” anche in luce della caduta di popolarità del fumo. Secondo un sondaggio del 2021 di GlobalData, infatti, la percentuale di intervistati che non ha mai fumato o ha smesso di fumare rasenta il 60%, superando il 70% per la generazione Z.
Altri, inoltre, si chiedono quanto sia lecito imporre un divieto perpetuo a cittadini che ora non possono votare. Da un punto di vista pratico si tratta di un’ottima strategia per evitare ogni ostruzionismo, dal momento che anche i tabagisti potrebbero abbracciare l’obiettivo di eradicare la dipendenza dal fumo delle nuove generazioni pur continuando a fumare loro stessi. Tuttavia, rimane il dubbio se tale obiettivo non si spieghi col valore negativo associato culturalmente al fumo, e quindi su cosa succederebbe se le stesse misure fossero applicate ad altre sostanze dannose ma più socialmente accettabili come l’alcol – il cui consumo aveva un’incidenza del 10% su tutte le morti dovute a malattie o incidenti in Europa nel 2016 secondo l’OMS.
In ogni caso, le misure previste presentano un retrogusto liberticida e dirigista difficilmente trascurabile, in netto contrasto con la tendenza di diversi Paesi a liberalizzare altre sostanze come la cannabis.
Scelta coraggiosa e necessaria
In tal senso, vi è chi conclude che, sebbene il piano violi alcune libertà dei cittadini, “la dipendenza da tabacco lo ha fatto per secoli,” negando ai tabagisti la padronanza di sé, come sostiene l’opinionista di Bloomberg David Fickling.
Decisamente più entusiasta è la stessa Dott.ssa Verrall, vero volto di Smokefree Aotearoa 2025. La ministra ha infatti evidenziato le migliaia di vite salvate, i risparmi per il sistema sanitario – da lei stimati a 5 miliardi di dollari –, e l’ulteriore riduzione della percentuale già bassa di fumatori neozelandesi, in particolare per le comunità Māori e Pasifika – le più affette dal fumo –, che vedrebbero così assottigliarsi il gap tra la propria aspettativa di vita e quella degli altri Kiwi. Nell’ultimo anno, infatti, i fumatori in Nuova Zelanda sono passati dal 10.9 all’9.2% della popolazione adulta – in Italia il dato supera il 24% –, ovvero la metà rispetto ad un decennio fa. Il piano si inserirebbe dunque all’interno di un solco già tracciato, a coronamento di una lotta al tabagismo inaugurata già negli anni ’80.
Dal punto di vista scientifico, la proposta più coraggiosa consiste nella riduzione del contenuto di nicotina presente nei tabacchi, definito come un “game changer” da Geoffrey Fong, capo dell’International Tobacco Control Policy Evaluation Project dell’Università di Waterloo. Pur non essendo la componente più dannosa di una sigaretta, infatti, la nicotina rappresenta la causa scatenante della dipendenza. Studi condotti proprio in Nuova Zelanda e negli Stati Uniti sembrano corroborare la tesi secondo cui una simile misura potrebbe aiutare i tabagisti a smettere, mentre non avvalorerebbero l’opinione secondo cui questi ultimi finirebbero per fumare di più per raggiungere la propria ‘dose’.
Infine, riguardo ai dairies, una ricerca del 2020 condotta sempre ad Aotearoa – nome Māori della Nuova Zelanda – è giunta alla conclusione secondo cui ridurre drasticamente la disponibilità di tabacchi porterebbe ad un declino sostanziale della diffusione del fumo. In tal senso, dunque, il taglio del 90% del numero di venditori al dettaglio di tabacchi apparirebbe giustificato, sempre in nome dell’obiettivo di eradicare quella che è stata definita come la prima causa di mortalità prematura evitabile al mondo.
In ogni caso, Smokefree Aotearoa 2025 è in rampa di lancio e, come affermato dalla Dott.ssa Verrall, la Nuova Zelanda sarà lieta di condividere la propria esperienza strada facendo. Starà a noi sfruttare al meglio la nostra posizione privilegiata di spettatori e, mutatis mutandis, imitare l’esempio di Wellington col senno del poi, in un senso o nell’altro.
Fonti consultate per il presente articolo
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L'Autore
Matteo Gabutti
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Matteo Gabutti è uno studente classe 2000 originario della provincia di Torino. Nel capoluogo piemontese ha frequentato il Liceo classico Massimo D'Azeglio, per poi conseguire anche il diploma di scuola superiore statunitense presso la prestigiosa Phillips Academy di Andover (Massachusetts). Dopo aver conseguito la laurea in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Università di Bologna, al momento sta conseguendo il master in International Governance and Diplomacy offerto alla Paris School of International Affairs di SciencesPo. All'interno di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore per l'area tematica Legge e Società, oltre a contribuire frequentemente alla stesura di articoli per il periodico geopolitico Kosmos.
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Matteo Gabutti is a graduate student born in 2000 in the province of Turin. In the Piedmont capital he has attended Liceo Massimo D'Azeglio, a secondary school specializing in classical studies, after which he also graduated from Phillips Academy Andover (MA), one of the most prestigious preparatory schools in the U.S. After his bachelor's in International Relations and Diplomatic Affairs at the University of Bologna, he is currently pursuing a master's in International Governance and Diplomacy at SciencesPo's Paris School of International Affairs. He works with Mondo Internazionale as an author for the thematic area of Law and Society, and he is a frequent contributor for the geopolitical journal Kosmos.
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