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L'opinione pubblica nella Cina di Xi Jinping

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  Matteo Gabutti
  31 agosto 2022
  12 minuti, 3 secondi

Con alle spalle la controversa gestione della pandemia e le rinnovate tensioni sino-americane riguardo a Taiwan, la Cina di Xi Jinping pare avvicinarsi al XX Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese (PCC) previsto per novembre con fare meno baldanzoso. La leadership del Partito, che ha celebrato il proprio centenario l’estate scorsa, appare però ancora solida.

A tal proposito, risulta interessante analizzare l’orientamento dell’opinione pubblica cinese di fronte al proprio governo. Come già per la Russia, tuttavia, anche per la Repubblica Popolare Cinese (RPC) è necessario delineare il contesto in cui tale opinione prende forma.



Il quadro generale

I dati del Varieties of Democracy (V-Dem) Research Project rispetto alla partecipazione politica non pongono a favore di Pechino. I grafici mostrano infatti un elettrocardiogramma piatto a valori minimi dal 2000 ad oggi per indici misuranti la libertà d’associazione, il margine di manovra dei partiti d’opposizione, e il conseguimento del principio di partecipazione democratica. Questa situazione stagnante non è sorprendente in un Paese che dal 1949 si basa su un sistema monopartitico sotto la guida incontestata del PCC, le cui pur esistenti fazioni interne non competono apertamente né democraticamente.

Inoltre, l’attuale Presidente Xi Jinping a partire dal 2012 ha rafforzato il proprio ruolo di leader indiscusso della RPC, rendendo l’aria ancor più rarefatta per ogni espressione di dissenso. A partire da allora, per esempio, il grafico che valuta la qualità dell’ambiente partecipativo delle organizzazioni della società civile (OSC) ha subito una caduta vertiginosa (Figura 1). Con un valore finale di 0.32/3, ad oggi la maggior parte delle OSC cinesi è controllata dallo Stato, cosicché la partecipazione, per quanto alta, difficilmente risulta volontaria. A conferma di ciò, l’ultimo report di Freedom House denuncia come l’onnipresenza del governo cinese e l’autorità concessa alle forze dell’ordine abbiano causato un inasprimento della repressione nei confronti della società civile, privando ONG locali ed internazionali di ogni autonomia significativa.

Figura 1: Ambiente partecipativo delle OSC

Quale livello meglio descrive il coinvolgimento dei cittadini nelle OSC? Scala da 0 a 3.

Anche l’Indice della libertà di espressione e fonti alternative d’informazioni ha subito un simile declino dal 2012 (Figura 2). A tal proposito, Freedom House definisce la Cina come “sede di uno degli ambienti mediatici più restrittivi del mondo, e del più sofisticato sistema di censura, particolarmente online.” Per di più, vi si aggiungono le restrizioni in ambito accademico che, insieme ad una pervasiva campagna d’indottrinamento – si pensi allo studio obbligatorio di “Pensiero di Xi Jinping” –, minacciano severamente il ruolo cardine dell’istruzione nella formazione di una cittadinanza attiva.

Figura 2: Indice della libertà di espressione e fonti alternative di informazioni

Quanto il governo rispetta la libertà di stampa e dei media, la libertà di persone ordinarie di discutere di argomenti politici privatamente e pubblicamente, così come la libertà di espressione accademica e culturale? Da un minimo di 0 ad un massimo di 1.




La Cina di Xi

All’occhio occidentale il sistema politico cinese presenta poi una serie di contraddizioni. La prima è senz’altro la “dittatura democratica del popolo,” che dovrebbe assicurare il ruolo egemone dei cittadini. Un’altra è la coesistenza della leadership indiscussa del PCC col cosiddetto whole process people’s democracy, un sistema di congressi popolari, estesi dal livello locale a quello nazionale, che conferiscano potere politico ai cittadini agendo in loro vece. Queste tensioni hanno raggiunto il parossismo sotto la guida di Xi Jinping.

La teoria di un sistema di potere diffuso, infatti, a partire dal 2013 si scontra in pratica con un processo di accentramento e personalizzazione del potere statale. L’attuale Presidente ha per esempio esteso il controllo del PCC sulla sfera privata, ed è diventato ancor più intollerante verso l’attivismo civile. Così, la partecipazione politica istituzionalizzata si limita di fatto su questioni quotidiane, mentre altri argomenti più sensibili – come la politica zero-Covid – sono esclusi dal dibattito pubblico. Contemporaneamente, ogni forma di partecipazione che esuli dai canali ufficiali – petizioni, proteste, scioperi… – sotto Xi viene accolta con una dura repressione dall’alto, spesso attuata in maniera preventiva e presentata come uno spettacolo pubblico in termini di sicurezza nazionale. Inoltre, occorre ricordare che la coercizione esercitata dal governo non disdegna soluzioni informali come le sparizioni forzate.

Opinione pubblica

Stando così le cose, viene spontaneo domandarsi come si sentano i cittadini cinesi nei confronti del proprio governo. Forse sorprendentemente, stando ai dati di una delle ricerche più complete sull’argomento, la risposta è che il tasso di approvazione tra il 2003 e il 2016 è cresciuto (Figura 3). Inoltre, l’atteggiamento dei cittadini sembra rispondere a cambiamenti reali nel loro benessere materiale, indipendentemente dalla censura e dalla propaganda di Pechino. Pertanto, un maggiore aumento nel supporto per il governo è testimoniato da chi ha sperimentato un miglioramento relativamente più significativo delle proprie condizioni, ovvero paradossalmente dai gruppi marginalizzati delle regioni più interne e povere del Paese.

Figura 3: Soddisfazione generale per il governo ad ogni livello dal 2003 al 2016

Ai cittadini è stato chiesto di valutare la performance del governo a quattro livelli differenti (centrale, provinciale, distrettuale, municipale) su una scala da 1 a 4: 1 – molto insoddisfacente; 2 – piuttosto insoddisfacente; 3 – piuttosto soddisfacente; 4 – molto soddisfacente.

Il livello di soddisfazione e di fiducia nei confronti del governo da parte dei cittadini pare dunque beneficiare dell’ascesa economica del Paese. Un senso di sicurezza, felicità e orgoglio sembra caratterizzare la popolazione cinese, rendendo impari ogni confronto con i corrispettivi americani ed europei. Tale sentore è poi inserito in un processo di mutuo rafforzamento con la narrativa propugnata dal governo di Pechino, che celebra l’unicità e bontà della “democrazia con caratteristiche cinesi” contro il modello liberal-democratico dell’Occidente, considerato ormai esausto. Per di più, Xi ha abbandonato il basso profilo mantenuto da leader precedenti, sostenendo invece il paradigma del “West vs the Rest,” e presentando la RPC come un faro per i Paesi in via di sviluppo.

Il PCC rimane dunque piuttosto saldo. Ciononostante, il circolo virtuoso tra opinione pubblica e narrativa di Stato appena descritto potrebbe facilmente convertirsi in vizioso. Pertanto, nelle parole dell’ex vice-consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Matt Pottinger, “[il PCC] è un partito che vive in uno stato di ansia catastrofica,” proprio a causa del bisogno costante di rinsaldare supporto e soddisfazione popolari. Cittadini che hanno conosciuto solo un miglioramento delle proprie condizioni di vita, infatti, tendenzialmente si aspetteranno che una tale situazione perduri all’infinito. E se lo slancio economico del Paese dovesse rallentare o addirittura fermarsi, e dovessero quindi emergere nuove crisi sempre più destabilizzanti, non è inverosimile che i primi sostenitori del successo di oggi diventino i più feroci contestatori del fallimento di domani.

Fonti consultate per il presente articolo

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L'Autore

Matteo Gabutti

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Matteo Gabutti è uno studente classe 2000 originario della provincia di Torino. Nel capoluogo piemontese ha frequentato il Liceo classico Massimo D'Azeglio, per poi conseguire anche il diploma di scuola superiore statunitense presso la prestigiosa Phillips Academy di Andover (Massachusetts). Dopo aver conseguito la laurea in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Università di Bologna, al momento sta conseguendo il master in International Governance and Diplomacy offerto alla Paris School of International Affairs di SciencesPo. All'interno di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore per l'area tematica Legge e Società, oltre a contribuire frequentemente alla stesura di articoli per il periodico geopolitico Kosmos.

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Matteo Gabutti is a graduate student born in 2000 in the province of Turin. In the Piedmont capital he has attended Liceo Massimo D'Azeglio, a secondary school specializing in classical studies, after which he also graduated from Phillips Academy Andover (MA), one of the most prestigious preparatory schools in the U.S. After his bachelor's in International Relations and Diplomatic Affairs at the University of Bologna, he is currently pursuing a master's in International Governance and Diplomacy at SciencesPo's Paris School of International Affaris. He works with Mondo Internazionale as an author for the thematic area of Law and Society, and he is a frequent contributor for the geopolitical journal Kosmos.

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