Cosa determina il successo o il fallimento di una nazione? Case studies: Corea del Sud e Repubblica Democratica del Congo

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  16 February 2023
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«I paesi del mondo hanno una diversa capacità di sviluppo economico per via

delle loro differenti istituzioni» (Acemoğlu, Robinson 2012)

La tesi di Daron Acemoğlu e James A. Robinson è che le istituzioni politiche determino il successo o l’insuccesso di una nazione. Altri fattori hanno un’importanza, ma marginale. Le nazioni che hanno successo e prosperano sono quelle che possiedono istituzioni politiche “inclusive”; al contrario, i paesi destinati al fallimento sono quelli dotati di istituzioni politiche “estrattive”. Il presente lavoro espone le argomentazioni di Acemoglu e Robinson, per poi applicare questa impalcatura teorica con due case studies: la Corea del Sud, esempio di evoluzione da un sistema estrattivo a uno inclusivo, e la Repubblica Democratica del Congo, caso esemplare di paese fallito dove le istituzioni estrattive impediscono la prosperità del paese.

Keywords: Corea del Sud, Repubblica Democratica del Congo, economia, politica

Istituzioni inclusive

Acemoglu e Robinson definiscono come istituzioni politiche inclusive quelle istituzioni che incentivano la partecipazione alla vita economica. Ossia, quelle istituzioni che lasciano ai cittadini la piena libertà e autonomia su come sviluppare e applicare i propri talenti e risorse nel raggiungimento dei loro obiettivi individuali. Gli autori identificano delle caratteristiche imprescindibili di queste istituzioni. La prima è la tutela della proprietà privata come fondamento della sicurezza personale per investire, e quindi migliorare la produttività economica di un’impresa. La seconda, diretta conseguenza della prima, è un sistema giuridico imparziale che tuteli i diritti, specie quelli legati all’attività economica del singolo individuo. La terza è la garanzia di servizi che permettano a tutti di avere un’onesta e realistica possibilità di successo. Con il termine servizi si intendono scuole, infrastrutture, istituzioni pubbliche che gestiscano e controllino la regolare attività economica, in maniera imparziale e a tutela di tutti gli attori; ossia tutto quell’insieme di pratiche e norme che consistono nel welfare state.

Le istituzioni politiche inclusive possono essere garantite solo da un forte potere coercitivo centralizzato: lo Stato. È fondamentale tenere a mente che non si tratta di una contrapposizione al pluralismo, alla partecipazione attiva alla vita, non solo economica ma anche politica, della Nazione. Il pluralismo politico e la vasta partecipazione politica sono alcuni dei fattori decisivi che garantiscono la stabilità delle politiche inclusive. Come si vedrà nei case studies esposti nel presente lavoro, l’assenza o la presenza di un’autorità centrale che implementi questi fattori inclusivi rappresentano il discrimine fra il successo e il fallimento. Ulteriori fattori utili al successo, conseguenti e, quindi, secondari a quelli appena citati, sono la tecnologia e l’istruzione. La prima è fondamentale per l’aumento della produttività e del benessere. La seconda è necessaria affinché il Paese abbia una forza lavoro in grado di utilizzare la tecnologia. «Tutta la tecnologia del mondo sarebbe di scarsa utilità, senza lavoratori capaci di utilizzarla» (Acemoglu, Robinson). Questi ultimi due elementi sono alimentati a loro volta dall’inclusività diffusa e in questo modo generano un circolo virtuoso.

Istituzioni estrattive

All’opposto del pluralismo, le istituzioni politiche estrattive sono istituzioni in cui il potere decisionale è nelle mani di una ristretta cerchia di individui che dominano non solo la vita politica, ma anche la vita economica, escludendo tutti gli altri e estraendo risorse, umane e naturali, dal territorio senza condividerne i vantaggi con la società nel suo complesso.

In un contesto del genere, la proprietà, e altre basilari libertà non sono garantite. I comuni cittadini sono sottoposti al potere arbitrario di oligarchi, potenti locali, chiunque abbia un rapporto diretto con il centro di potere, solitamente un dittatore o una ristrettissima cerchia di individui. In questi paesi non sono implementate nella società tutte quelle sovrastrutture che incentivano gli individui a mettersi in gioco nella ricerca del benessere; con tutti i benefici effetti positivi che ne conseguono per la società nel suo insieme. Non essendoci incentivi e tutele, non viene avviato il circolo virtuoso che porta al progresso tecnologico, che è alla base del progresso. Le élite di paesi con istituzioni estrattive non hanno alcun beneficio nel cambiare lo status quo: il cambiamento danneggerebbe solo le loro posizioni di rendita e di potere. In questo modo il paese è condannato al fallimento, che degenera solitamente o in violenta dittatura o in un stato di guerra civile endemica.

Fattori rilevanti?

La ricerca delle cause della prosperità o della miseria delle Nazioni è un argomento affrontato da numerosi intellettuali ben prima di Acemoglu e Robinson.

Il fattore più comune e, probabilmente, il più antico preso in considerazione dalla letteratura è quello geografico. È noto come la collocazione e le caratteristiche geografiche, tipiche di una comunità o di una Nazione, siano da tempo oggetto di studio di tutte le scienze umane e sociali, inclusa l’economia. Sin dall’antichità, la teoria dei climi, resa popolare da Montesquieu, sostiene l’idea secondo cui le caratteristiche climatiche influenzerebbero, direttamente e indirettamente, il comportamento degli individui e l’evoluzione delle società, giungendo, in ultimo, a determinare il successo o il fallimento delle stesse (Montesquieu, 1748). Questa visione, più filosofica che scientifica, si è poi evoluta nel Determinismo ambientale di Ratzel. Questi non reputava più solo il clima, ma l’intero contesto geografico un elemento decisivo della crescita umana e dello sviluppo delle comunità. Pertanto, ad ogni aspetto, attribuiva un carattere positivo (fertilità delle terre, presenza di corsi d’acqua, prossimità al mare) o negativo (clima rigido, siccità, posizione isolata) per il futuro di un Paese. Sebbene fondata su basi prettamente empiriche, la concezione determinista ebbe un notevole successo, arrivando ad influenzare fortemente tutti gli studi successivi, sino ad oggi. Infatti, pur non reputandoli fondamentali, quasi tutte le moderne teorie economiche e geopolitiche tengono in gran considerazione i caratteri ambientali delle realtà analizzate. La versione moderna di questa teoria argomenta che la maggior incidenza di malattia e la poca rendita agricola dei suoli di queste zone siano le cause profonde dell’arretratezza (Sachs, 2005). Gli autori ribattono che la Storia dimostra che questa posizione è falsa: le malattie non causano la povertà, ma ne sono la conseguenza; la scarsa produttività agricola è conseguenza delle istituzioni politiche che permettono le condizioni per uno sviluppo del settore.

Naturalmente, le conoscenze e i mezzi odierni hanno progressivamente ridimensionato l’elemento geografico, come esposto nella cosiddetta “eccezione della connettività” di Khanna (Khanna, 2016), che anzi è divenuta la chiave del successo recente di molti paesi asiatici, come ad esempio il Vietnam (Lamperti, 2022). È evidente come le attuali conoscenze nel campo infrastrutturale, dei trasporti e delle comunicazioni consentano di superare la maggior parte degli ostacoli posti dall’ambiente, a condizione che si disponga delle tecnologie e delle risorse per applicarle. Tuttavia, va sottolineato come esse abbiano ridotto ma non annullato i vincoli posti dalla natura e come non siano in grado di mutare le caratteristiche geofisiche di un territorio: la conformazione, l’accesso al mare, la presenza di risorse. È dunque possibile affermare che, pur ridimensionato dagli sviluppi più recenti, il fattore geografico rimanga un importante elemento per comprendere e spiegare il successo o il fallimento di un Paese.

Altro fattore, storicamente rilevante, per comprendere le vicende di una comunità è quello culturale. Già Weber aveva analizzato l’etica protestante, sostenendo come essa fosse alla base dello spirito capitalista (Weber, 1905). Egli affermò che la cultura e i valori tipici dei Paesi protestanti fossero perfettamente in linea con le esigenze di una società capitalista, con la sua cultura del lavoro e la logica del profitto. Le società moderne e secolarizzate hanno successivamente costruito, sulla base di questi valori di origine religiosa, dei valori laici, ispirati dal loro sistema politico, economico e sociale o dalla condizione personale che caratterizzava i cittadini. A questi si sono poi aggiunte filosofie e stili di vita peculiari che, nel tempo, hanno largamente influenzato il carattere e la mentalità dei rispettivi popoli. L’approccio dei singoli rispetto a temi come la famiglia, l’educazione, il lavoro, la scienza o la religione è, senza dubbio, cruciale per comprendere il percorso intrapreso da una collettività (Marx,1844). Basti pensare alle differenze che intercorrono tra Paesi religiosi e laici, tra regimi autoritari e democratici o tra nuclei familiari patriarcali e paritari. Parallelamente alla cultura si può considerare anche l’istruzione, ossia la trasmissione e diffusione di conoscenze e capacità, come un elemento chiave per comprendere le ragioni del destino economico di una comunità. Pertanto, tenendo conto delle evoluzioni verificatesi nel corso del tempo e del grado di diffusione e di influenza raggiunti da determinati modelli, si può sostenere che i caratteri culturali di una società giocano un ruolo essenziale nel successo o nel fallimento della stessa.

Infine, anche dal peso geopolitico di un Paese si può determinare, in una certa fase storica, il suo successo o il suo fallimento. Una particolare collocazione geografica o determinate caratteristiche morfologiche possono suscitare l’interesse di uno o più attori internazionali. Ciò li porterà a contendersi il predominio su quell’area con vari mezzi. Infatti, in base alle rispettive capacità ed esigenze, le Potenze potranno stabilire un dominio più o meno pervasivo e adottare strategia più o meno invasive. Naturalmente, le vie perseguibili sono innumerevoli e assai differenti tra loro. Esse vanno dall’instaurazione di un regime compiacente ma corrotto e deficitario, alla creazione di una Nazione solida ed efficiente; dalla promozione di un colpo di Stato violento all'erogazione di finanziamenti per acquisire influenza. È chiaro che le varie opzioni comportino un impegno diverso e producano effetti diversi nei Paesi interessati, portandoli quindi a un maggiore o minore successo dal punto di vista economico.

Case study: Corea del Sud

Il primo case study riguarda la Corea del Sud ed è un esempio di successo economico. In alcuni decenni, Seoul ha sperimentato un progresso economico e un diffuso benessere senza precedenti, al punto che oggi il paese è uno dei Paesi più ricchi e progrediti del mondo, ricoprendo il 13esimo posto per PIL nominale, con un valore di 1,734,207 di milioni di USD (IMF, 2022).

L’economia del Paese è migliorata sia sotto il punto di vista quantitativo che qualitativo: da nazione agricola arretrata e distrutta degli anni Cinquanta, la quota di valore aggiunto del settore manifatturiero è aumentata dal 21.5% (2000) al 27.9% (2018),e l’impatto della tecnologia sulla manifattura è passato dal 59% al 64% nello stesso periodo (UNIDO, 2018). Tale crescita si rispecchia poi nella bilancia commerciale: in termini assoluti, la Corea del Sud chiude in negativo a causa di rallentamento delle esportazioni, con valore di 57 mld USD, a fronte di importazioni del valore di 59 mld USD. Gli scambi commerciali riflettono il grado di sviluppo raggiunto dell’economia e della società coreana: le principali voci di export e import riguardano infatti macchinari complessi, prodotti chimici, automobili e metalli lavorati (OEC, 2022).

Le principali protagoniste dello sviluppo economico coreano sono state le chaebol, ossia dei grandi e potenti conglomerati economico-finanziari. Nati durante il repentino passaggio dalla società feudale alla modernità, a partire dagli anni Sessanta hanno rappresentato il maggiore propulsore economico del Paese. Paradossalmente, le chaebol sono entità al limite fra le grandi corporations di modello anglosassone, basate sui principi liberali, ed entità tipiche di un modello economico dirigista. Non a caso, la loro nascita coincise con la parentesi autoritaria della storia della Repubblica, quando il Governo era retto da una giunta militare guidata da Park Chung-hee. Tuttavia, pur essendo intimamente legate al potere politico, e gravitanti attorno a clan familiari, spesso di origine aristocratica, le chaebol rappresentano un’istituzione cardine dell'inclusività della società coreana. Negli ultimi trenta anni, si è tentato di riformare le chaebol, per cercare di aprire e rendere trasparente il mercato coreano agli investitori stranieri, ma con scarso successo. In particolare, si è tentato di smantellare le reti di influenze sotto il loro controllo, potenziali fonti di oligarchie economiche (The Improper Solicitation and Graft Act, 2015).

Analizzando gli altri fattori precedentemente considerati, la Corea del Sud si caratterizza per un territorio prevalentemente montuoso, ridotte sono le aree pianeggianti, e coltivabili: dai circa 850 mila ettari coltivabili, si ricavano appena 4 milioni di tonnellate di cibo. (KOSIS, 2022) Neppure il terreno e il sottosuolo offrono materie prime, non essendovi rilevanti giacimenti di idrocarburi o minerali. Tuttavia, ciò non ha impedito l’industrializzazione del Paese, importatore netto di materiali grezzi ed esportatore di prodotti finiti (Jaewon chung, 2018). Lo stesso vale per le fonti energetiche; il cui fabbisogno di carbone e petrolio è coperto quasi per intero dalle importazioni, solo l’energia nucleare è prodotta in loco (EIA, 2022). Solo le distese d’acqua sulle quali il Paese è affacciato, il Mar Giallo, il Mar Cinese Orientale e il Mar del Giappone, offrono importanti risorse da sfruttare. Mari tanto pescosi hanno permesso un fiorente sviluppo del settore ittico, pari a 867 milioni di tonnellate annue di pescato (KOSIS, 2022). Inoltre, pur trovandosi nella fascia climatica oceanica temperata, la Corea del Sud è esposta ad inverni freddi e ad abbondanti precipitazioni estive. Il rigore invernale rende difficili i collegamenti mentre la cosiddetta “stagione delle piogge” è causa frequente di allagamenti nelle aree urbane e di considerevoli danni alle coltivazioni. Pertanto, non è possibile sostenere che la geografia abbia rappresentato un fattore favorevole alla crescita e allo sviluppo del Paese.

Al contrario, l’attuale cultura sudcoreana, ben distinta da quella tradizionale, riservata alle celebrazioni e alle ritualità, ha giocato un ruolo fondamentale nel successo economico di Seoul. Infatti, da quasi un secolo, il Paese è profondamente influenzato dall’Occidente. I modelli di riferimento, soprattutto per quanto concerne lo stile di vita, il lavoro e i principi di base, coincidono con quelli europei e, soprattutto, statunitensi. L’importanza data alle libertà personali, alla formazione e all’individuo ha trasformato la società coreana, adeguandola ai parametri occidentali e alle istituzioni politiche inclusive, tipiche delle liberal democrazie occidentali. Anche la religione ha avuto un peso importante. Infatti, malgrado quasi la metà della popolazione si dichiari atea, la maggiore comunità religiosa risulta essere quella cristiana, ormai più estesa di quella buddhista e comprendente oltre un quarto della popolazione, tra cattolici e protestanti. È quindi evidente come l’impianto culturale e valoriale del Paese sia generalmente aderente a quello occidentale e dunque più in linea con le logiche e le esigenze economiche odierne.

Tuttavia, non si può negare che la nascita e la diffusione, in Corea del Sud, di istituzioni politiche inclusive sia anche frutto dell’importanza geopolitica assunta dalla penisola dal Secondo Dopoguerra. Lungamente contesa tra le Potenze della regione, quali Cina, Giappone e Russia, la Corea ha poi assunto un’importanza cruciale dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il suo territorio è stato oggetto del primo confronto militare della Guerra Fredda per poi essere ripartito in due entità politiche contrapposte. La Corea del Sud, ricaduta nel blocco occidentale, è assurta a baluardo strategico degli Stati Uniti in Estremo Oriente e a vetrina del capitalismo in quel quadrante. Questo ha spinto gli Stati Uniti ad investire massicciamente nel Paese, garantendone la crescita economica e lo sviluppo industriale oltre che una un diffuso benessere e una discreta stabilità politica. Ciò ha garantito la riconoscenza e l’ammirazione del popolo coreano per l’Occidente, in aggiunta ad una incondizionata fedeltà politica. Pertanto, l’assunzione da parte della Corea del Sud di un’importanza strategica senza pari ne ha largamente favorito l’ascesa e il successo economico.

Case study: Congo

Il secondo case study riguarda la Repubblica Democratica del Congo ed è un caso di insuccesso economico. La Repubblica Democratica del Congo viene più volte presa come esempio anche dagli stessi autori nel corso della loro analisi. Dal punto di vista dell’impatto sul PIL del settore manifatturiero ad alto valore aggiunto, pur avendo visto un miglioramento negli ultimi decenni, il Congo si colloca su posizioni modeste, intorno 8.3% (UNIDO 2018).

I rapporti commerciali di Kinshasa mostrano chiaramente la fragilità economica, quindi sociale, del Paese: le principali esportazioni riguardano le abbondanti materie prime (rame, cobalto, zinco per un totale di quasi 17 mld USD), mentre le importazioni coinvolgono soprattutto prodotti finiti che il tessuto industriale locale non riesce a produrre. Questa debolezza economica si traduce in dati terribili sulla qualità della vita della popolazione, che non ha accesso alle risorse delle élite, disinteressate a condividerne l’accesso. Nonostante i miglioramenti avuti negli ultimi anni, il Paese è ancora preda di un alto tasso di mortalità infantile (63,8 ogni mille) e di un'aspettativa di vita alla nascita molto bassa (60 anni circa) (Global Edge, 2022). Al momento, oltre 26 milioni di persone non sono in condizioni di sicurezza alimentare (WFP, 2023).

Considerando poi gli altri fattori rilevanti, la geografia rappresenta un punto di forza per la Repubblica Democratica del Congo. Il territorio congolese è molto vasto, ricoperto da immense distese di foresta pluviale tropicale o da savana. Il Paese è attraversato da grandi fiumi navigabili, come il Congo e l’Ubangi, le cui sponde sono delimitate da altipiani che possono raggiungere i mille metri. Benché si tratti, in larga misura, di territorio vergine, se adeguatamente dotato di moderne infrastrutture, esso presenta grandi potenzialità economiche e di sfruttamento. Il sottosuolo è assai ricco di risorse e di materie prime, tra cui diamanti, rame e uranio, molto richieste e particolarmente redditizie. Attualmente, Kinshasa è uno dei maggiori esportatori al mondo di cobalto (60% della produzione mondiale), tantalo (42% della produzione mondiale), e diamanti (12% della produzione mondiale) (Yager, 2019). Seppurlimitato alla sola foce del fiume Congo, Kinshasa possiede anche uno sbocco sull’Oceano Atlantico, in grado di garantire al Paese le comunicazioni marittime. È quindi possibile sostenere che, eccezion fatta per alcuni fattori, la geografia del Congo presenti caratteristiche potenzialmente molto favorevoli allo sviluppo.

Malgrado l’influenza europea, frutto di oltre mezzo secolo di dominio coloniale, la cultura indigena è ancora molto diffusa in Congo. La divisione tribale in gruppi distinti e gli usi e costumi tradizionali, così come le antiche gerarchie sociali e familiari, sono tuttora molto vivi tra la popolazione congolese. Soltanto nei grandi centri urbani lo stile di vita e l’impianto valoriale è mutato, accostandosi agli standard internazionali. Ciò ha, inevitabilmente, determinato una difficile integrazione del Paese all’interno di un contesto economico moderno e occidentalizzato. Infatti, la presenza di società tanto composite ed eterogenee rispetto ai modelli di riferimento del sistema economico riducono l’efficienza e la compatibilità dell’intero Paese nei confronti di attori esterni. Inoltre, il Congo presenta un sistema educativo fortemente arretrato e poco capillare, causa di uno dei tassi di analfabetismo più alti del mondo, superiore al 20%. La mancanza d’istruzione costituisce un ulteriore elemento di svantaggio per la crescita e lo sviluppo del Paese.

Infine, nel corso della sua storia, il Congo non ha mai avuto una considerevole importanza geopolitica. Aldilà dell’ottocentesca contesa per il controllo del bacino del Congo tra le varie Potenze coloniali, il Paese non è mai stato al centro di consistenti scontri tra i vari attori globali. Dopo il raggiungimento dell’indipendenza, Kinshasa è rientrata nella sfera d’influenza occidentale e, in ossequio alle logiche della Guerra Fredda, gli Stati Uniti ne hanno sostenuto il regime. Tuttavia, essi non hanno mai attribuito allo Zaire un’importanza tale da indurli a contribuire e adoperarsi per garantire lo sviluppo e il progresso economico del Paese. Washington ha scelto di mantenere un sostanziale status quo, consapevole che ciò sarebbe stato sufficiente a conservare il controllo sull’area, ottenendo poi i relativi vantaggi politici e materiali. Gli Stati Uniti non hanno mai mirato alla promozione del modello americano né alla sua implementazione, ritenendo un simile progetto una spesa superflua. Di conseguenza, il Congo non ha mai tratto sostanziali vantaggi dalla sua posizione internazionale.

Conclusioni

Questi due casi studio, Corea del Sud e Repubblica Democratica del Congo, dimostrano che, nonostante lo svantaggio di un territorio privo di risorse, un paese può uscire dall’arretratezza. Esso non è destinato al fallimento, ma al tempo stesso la ricchezza, intesa come la presenza di risorse materiali nel paese, non garantisce necessariamente il successo della società nel suo complesso. La discriminante si trova nella dimensione delle istituzioni politiche, come sostengono Daron Acemoğlu e James A. Robinson. Il decollo di Seoul è stato possibile grazie alla democratizzazione della vita politica del paese e alla nascita di istituzioni politiche inclusive, sostenuta anche dal valore strategico che il paese ricopre nello scacchiere asiatico per gli USA. Invece, il fallimento del Congo è ascrivibile all’esistenza di istituzioni politiche estrattive, che impediscono alla società nel suo complesso di svilupparsi. Questa differenza è determinante affinchè le energie sociali e le risorse di una nazione possano incrementare e diffondere il benessere.

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FONTI

Daron Acemoglu e James A. Robinson, Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity and Poverty, New York, Crown Business, 2012, B-2

IMF, https://www.imf.org/en/Publications/WEO/weo-database/2022/Octobe/ , A-1

UNIDO, https://stat.unido.org/content/publications/competitive-industrial-performance-index-2020%253a-country-profiles?_ga=2.266031947.537106796.1672594573-1185054899.1672594573, A-1

OEC, https://oec.world/en/profile/country/kor?yearlyTradeFlowSelector=flow0, B-2

Montesquieu, De l'esprit des lois, 1748, C-3

Sachs Jeffrey B. “La fine della povertà. Come i paesi ricchi potrebbero eliminare definitivamente la miseria dal pianeta”, Mondadori, Milano, 2005 B-2

Khanna Parag, “Connectography: Mapping the Future of Global Civilization”, New York: Random House, 2016 B-2

Lamperti Lorenzo, “Vietnam, la nuova terra di unicorni e Big Tech ”, https://startupitalia.eu/188096-20221222-vinfast-il-primo-vero-colosso-globale-del-vietnam-alla-conquista-delloccidente C-2

EIA, https://www.eia.gov/international/overview/country/KOR B-1

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KOSIS, https://kosis.kr/statHtml/statHtml.do?orgId=101&tblId=DT_1ET0021&vw_cd=MT_ETITLE&list_id=K1_19&scrId=&language=en&seqNo=&lang_mode=en&obj_var_id=&itm_id=&conn_path=MT_ETITLE&path=%252Feng%252FstatisticsList%252FstatisticsListIndex.do A-1

Jaewon chung, “2017–2018 Minerals Yearbook, The Mineral Industry of Congo (Kinshasa)”, USGS B-2

Yager, Thomas R., “2017–2018 Minerals Yearbook, The Mineral Industry of Congo (Kinshasa)”, USGS B-2

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