Gli effetti geopolitici Elezioni 2024: USA

  Focus - Allegati
  04 April 2024
  12 minutes, 58 seconds

Abstract

Questa pubblicazione fa parte del ciclo di analisi che esplora le implicazioni geopolitiche delle elezioni che si terranno nei prossimi mesi del 2024. Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti rappresentano uno degli appuntamenti politici più importanti di quest’anno. La riconferma del Presidente Biden o il ritorno di Donald Trump segnerà un punto di svolta per il Paese e, soprattutto, per le sue relazioni estere. In un mondo lacerato da numerosi conflitti, la cui fine appare ancora lontana, la posizione di Washington potrebbe mutare radicalmente se il Tycoon ritornasse alla Casa Bianca inaugurando una stagione neo isolazionista e decidendo di rivedere le alleanze in funzione al contingente interesse nazionale del Paese. I partner europei sarebbero i primi a dover fronteggiare eventuali conseguenze adottando nuove strategie.

Autori

Michele Gioculano - Head Researcher, Mondo Internazionale G.E.O. - Politica

Jaohara Hatabi - Senior Researcher, Mondo Internazionale G.E.O. - Politica

Introduzione

Il prossimo 5 novembre si terranno le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, che vedranno sfidarsi l'attuale Presidente Joe Biden, candidato del Partito Democratico, e l’ex Presidente Donald Trump, candidato del Partito Repubblicano. Al pari delle ultime due tornate, la corsa alla Casa Bianca sta assumendo, mano a mano che ci si avvicina al giorno del voto, un’importanza cruciale per il futuro di Washington e, di conseguenza, anche per il resto del mondo. Gran parte del clamore ruota intorno alla possibilità che Trump, malgrado le numerose accuse e i processi in corso, possa tornare al 1600 di Pennsylvania Avenue e mettere in pratica le sue proposte politiche radicali che, molto probabilmente, inciderebbero non solo sugli affari interni degli Stati Uniti ma anche sulle loro relazioni con le altre Potenze. Fautore di una dottrina rigidamente isolazionista e di relazioni bilaterali piuttosto che di accordi multilaterali, il Tycoon, attualmente considerato il candidato favorito, punterebbe a ribaltare la politica estera promossa dall’Amministrazione in carica, perseguendo, indiscriminatamente, gli obiettivi a breve termine del Dipartimento di Stato senza curarsi delle loro ricadute sul lungo periodo. Particolarmente importanti, potrebbero risultare le conseguenze per i partner europei, legati a Washington, oltre che da importanti relazioni politiche ed economiche, soprattutto da un'alleanza militare nel quadro della NATO. Questo paper si propone di analizzare l’impatto che le prossime elezioni americane potrebbero avere sull’Europa.

Le ricadute sulla politica estera

Da molti anni ormai, gli Stati Uniti, constatata la loro incapacità di presidiare ogni quadrante del pianeta e ivi intervenire in prima persona, hanno iniziato una fase di lento ma costante disimpegno, intenzionati a rivedere le loro priorità strategiche e a dislocare in modo conseguente le loro risorse. Si tratta di una strategia, iniziata sotto la Presidenza Obama, volta ad arrestare l’apparentemente inesorabile declino di Washington mirando ad ottimizzare gli impegni, riducendo il distacco dalle Potenze concorrenti ma cercando di conservare un vantaggio. In quest’ottica, l’Amministrazione Trump ha cercato di accelerare i tempi di questo processo adottando scelte più radicali, esercitando pressione sugli alleati oltre che sugli avversari e non facendosi scrupoli di ricorrere al ricatto o all’intimidazione, se necessario. Non confidando nell’internazionalismo e nel multilateralismo, il Tycoon ha rinunciato a perseguire politiche di ampio respiro e di lunga incubazione attraverso organizzazioni o accordi allargati, prediligendo confronti con singoli interlocutori al fine di trattare da una evidente posizione di forza, riuscendo ad imporsi, semplicemente, sfruttando un notevole peso specifico.

Senza dubbio, come già accaduto durante il suo primo mandato, gli alleati europei sarebbero i primi ad essere investiti dai rivolgimenti dottrinari propugnati da Trump. L’ex Presidente non ha mai fatto mistero di vedere nell’Unione Europea un Attore concorrente, sia dal punto di vista economico e commerciale che, potenzialmente, da quello politico. Di conseguenza, considerandola un soggetto debole e farraginoso, il Tycoon ha tentato di aggirarla e di minarne le basi, intessendo relazioni con singoli Paesi e minacciando di sottrarsi ai suoi impegni a tutela della sicurezza del Continente. Una tattica che, in base alle dichiarazioni più recenti, punta a replicare facendo leva sul clima di timore diffusosi con lo scoppio della Guerra russo-ucraina. Un conflitto che attualmente impegna in modo significativo gli Stati Uniti ma che Trump non reputa degno di tante attenzioni, non identificando nella Russia il principale avversario di Washington. Pertanto, pur di liberarsi degli oneri, egli sembrerebbe disposto a raggiungere un accordo con il Cremlino pur di chiudere il fronte ucraino e rivolgersi verso il quadrante Indo-Pacifico. Una scelta radicale che vedrebbe Kiev abbandonata al suo destino così come il resto dell’Europa, senza più la garanzia della protezione americana e alla merce di una Russia vincitrice e sempre più tracotante. Ciò potrebbe spingere i Membri dell’Unione Europea a rafforzare i legami con gli Stati Uniti, accettando di pagare anche dei costi più alti pur di vedersi garantito il supporto del Dipartimento di Stato, oppure, con molte meno probabilità, a compattare il fronte dell’Unione Europea dando vita ad un polo multinazionale completamente indipendente e, volendo, alternativo a quello di Washington.

Un discorso a sé merita il Regno Unito, oramai definitivamente fuoriuscito dall’Unione Europea e sempre più legato al senior partner d’oltreoceano. All’indomani della Brexit, al fine di sfuggire ad un generale isolamento, Londra si è vista costretta a rilanciare la relazione speciale che la lega agli Stati Uniti, sebbene in un ruolo decisamente ridimensionato rispetto al passato e con un potere contrattuale sensibilmente più ridotto. Infatti, la progressiva marginalizzazione del Regno Unito ha provocato anche un riallineamento dei maggiorenti del Commonwealth al fianco di Washington, ritenuta in grado di offrire maggiori garanzie. Tuttavia, se, da un lato, l’elezione di Trump segnerebbe, di certo, un rafforzamento delle relazioni bilaterali con la Corte di San Giacomo, dall’altro, una sua eventuale decisione di porre fine al braccio di ferro con Putin spiazzerebbe la politica estera britannica, ad oggi strenua sostenitrice dell’Ucraina contro la Russia. Eventualità che imporrebbe un ricollocamento su uno scacchiere europeo, verosimilmente, ostile. Stessa sorte toccherebbe ad altri Paesi, Membri della NATO ma non dell’Unione Europea, come la Norvegia. Più incerti potrebbero, invece, essere i risvolti riguardanti la Turchia, legata agli Stati Uniti, parte del Patto Atlantico, ma da tempo impegnata in un ruolo da “battitore libero”, decisa a trarre tutti i vantaggi possibili da una posizione terza e a ritagliarsi una sua area d’influenza. Inoltre, la stretta autoritaria promossa dal Presidente Erdogan nel corso degli ultimi anni ha, sempre più, alienato le simpatia e alimentato le polemiche nei confronti di Ankara. Tuttavia, è assai probabile che la Turchia, in virtù della sua particolare collocazione geografica e della sua importanza strategica, non sarà interessata da particolari rivolgimenti promossi dal Tycoon.

Ad ogni modo, benché Trump sia, al momento, il candidato favorito, è bene valutare anche la possibilità che venga riconfermata l’attuale Amministrazione. Certamente, il permanere di Biden alla Casa Bianca orienterebbe il Dipartimento di Stato alla continuità, tanto nel rapporto con l’Unione Europea quanto nel supporto all’Ucraina contro Mosca. La condotta di Washington rispetto al Vecchio Continente sarebbe certamente più dialogante e maggiormente disponibile alla ricerca di un compromesso dinanzi al sorgere di problemi. Difficilmente il Pentagono ipotizzerebbe il ricollocamento delle forze di stanza in Europa, così come, malgrado le molte difficoltà già incontrate in Congresso, è improbabile ritiri completamente il supporto all’Ucraina. In altre parole, uno scenario diametralmente opposto, accomunato solo dal fatto che, in entrambi i casi, la politica estera della più grande Potenza del mondo sarebbe affidata nelle mani di due ottuagenari, con tutti i limiti che ne conseguono.

Le ricadute sulla difesa

La prospettiva di una seconda presidenza di Donald Trump solleva molte domande circa le possibili conseguenze sulle politiche di difesa americane e sulla continuità rispetto all’amministrazione Biden. Negli Stati Uniti, la politica di difesa è uno dei temi centrali per la stabilità del paese e la sicurezza nazionale. Nonostante Trump sia noto per la sua imprevedibilità, ha sempre dimostrato convinzioni forti sulle questioni relative all’ambito della difesa, facendo quindi presumere una certa continuità con il suo primo mandato. In particolare, alcuni dei punti fermi della politica estera “America First” riguardano l’importanza di: mantenere una forte potenza militare, far prevalere la sovranità nazionale a fronte di una riduzione dell’impegno americano all’estero e una rinegoziazione di alcuni accordi internazionali, a differenza del rivale democratico Biden, fortemente impegnato nel rafforzare la cooperazione a livello multilaterale.

Andando ad analizzare la National Security Strategy (NSS) del 2017, il terzo pilastro, denominato “Preserve Peace Through Strength”, mette in evidenza come l’ex presidente avesse già individuato Russia e Cina come i principali nemici della sicurezza statunitense e del proprio sistema di alleanze. In risposta alla minaccia rappresentata da questi due attori (ma non solo) Trump sottolinea la necessità di mantenere la superiorità militare attraverso l’innovazione e la modernizzazione degli armamenti e ripristinando la prontezza delle proprie forze per una guerra su larga scala. Proprio qui si inserisce il fatto che durante il suo primo mandato, incrementa la spesa per la difesa, portandola da 606 a 723 miliardi di dollari. Data l’evoluzione del contesto internazionale e dei conflitti scoppiati in questi ultimi anni, qualora dovesse vincere le prossime elezioni, è probabile che questa tendenza continui.

Nello stesso paragrafo viene fatto un chiaro riferimento al concetto di deterrenza, volta a dissuadere potenziali nemici dall’uso della forza o altre forme di aggressione nei confronti degli Stati Uniti. È interessante notare come già nel 2017 ci si riferisse alla deterrenza come necessaria anche oltre i canonici domini - o più correttamente, ambienti - di terra, aria e mare, andando ad includere anche lo spazio cibernetico, ma soprattutto gli armamenti nucleari. Infatti, le dichiarazioni del tycoon sul controllo degli armamenti ricalcano la linea del primo mandato isolazionista, durante il quale si è ritirato dal trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces). A questo proposito, alcune dichiarazioni aggiuntive stanno facendo preoccupare gli alleati europei: durante un raduno in South Carolina, Trump avrebbe detto “se non pagano, non li proteggiamo” riferendosi agli alleati europei e al fatto che debbano contribuire maggiormente al budget dell’Alleanza Atlantica. Successivamente ha dichiarato che avrebbe “incoraggiato” la Russia ad attaccare qualsiasi alleato NATO che a suo avviso non rispetti i propri obblighi finanziari, scatenando una serie di risposte dall’attuale presidente Biden al Segretario Generale Stoltenberg, che hanno entrambi rimarcato l’importanza di mantenere compatta l’Alleanza per garantire la sicurezza dei cittadini e dei soldati.

È utile sottolineare che dichiarazioni simili, ma non altrettanto sfrontate, sono state fatte anche durante amministrazioni precedenti e da entrambi gli schieramenti politici. Il fatto che la spesa per la difesa dei partner NATO abbia subito un aumento, sebbene non in maniera equa in tutte le nazioni, porta ad affermare che, soprattutto nel Vecchio Continente, si stia sviluppando l’idea di non poter fare affidamento esclusivo sugli Stati Uniti, e che si debba essere in grado di lavorare insieme senza di essi. Infatti, queste ultime critiche da parte del Tycoon hanno fatto tornare alla ribalta il dibattito circa la necessità di un sistema di difesa comune all’interno dell’Unione Europea a integrazione del dispositivo NATO.

Un altro fattore da tenere in considerazione in caso di una seconda presidenza Trump sono le conseguenze per la guerra in Ucraina. La sua storia non suggerisce un forte sostegno all’opposizione all’invasione russa, e i finanziamenti cruciali per la difesa militare di Kiev potrebbero essere a rischio. Pare che sia in corso un acceso dibattito politico negli Stati Uniti riguardo agli aiuti all’Ucraina, e che ci sia un certo grado di disaccordo tra i Repubblicani. Recentemente, un pacchetto di aiuti di 60 miliardi di dollari in aiuti all’Ucraina è stato bloccato al Congresso proprio a causa dell’opposizione repubblicana. Secondo il premier ungherese Orbán, Trump avrebbe addirittura un piano dettagliato su come terminare la guerra in corso, ma durante il loro incontro non avrebbe elaborato la sua idea.

Conclusioni

In definitiva, si può dire che le elezioni presidenziali imminenti negli Stati Uniti rappresentino un crocevia per il futuro delle relazioni transatlantiche. La prospettiva di un secondo mandato per Donald Trump solleva interrogativi significativi riguardo alle politiche di difesa e agli equilibri geopolitici, considerando il suo approccio "America First" e il suo stile di leadership improntato sull’isolazionismo e sulla ricerca di vantaggi immediati. In tale scenario, il rischio di una riduzione dell'impegno degli Stati Uniti in diversi quadranti geostrategici e una rivalutazione delle loro priorità, così come un possibile indebolimento delle alleanze tradizionali, potrebbe comportare conseguenze rilevanti per gli alleati europei e per la coesione della NATO. D'altro canto, una rielezione di Joe Biden potrebbe garantire una continuità nella politica estera americana, con un maggior impegno per il multilateralismo e il rafforzamento delle alleanze internazionali. In tale contesto, gli Stati Uniti potrebbero continuare a svolgere un ruolo chiave nella gestione delle crisi globali e nel mantenimento dell'ordine internazionale basato su regole comunemente accettate. Tuttavia, indipendentemente dall'esito delle elezioni, è evidente che il mondo stia affrontando sfide complesse e interconnesse che richiedono un impegno collettivo e una leadership responsabile da parte di tutti gli attori internazionali.

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