Il Franco CFA, storia e prospettive

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  14 March 2024
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Abstract

Questo articolo si pone l’obiettivo di analizzare il Franco CFA e capire la struttura che è costruita attorno a questa valuta africana, in modo da far luce sugli argomenti più controversi che la caratterizzano. La prima parte si focalizzerà sugli aspetti più tecnici e puramente economici, la seconda sulla storia e infine si cercherà di capire quali siano le prospettive della Zone Franc.

Introduzione

Il Franco CFA è una delle valute più interessanti del continente Africano visti gli attori coinvolti e anche le strutture economiche che sostengono questa unione monetaria. Comprendente la maggior parte delle ex-colonie francesi, la cosiddetta Zone Franc, la sua stessa esistenza rappresenta un argomento molto acceso di dibattito sia all’interno dei Paesi membri che in Francia, venendo citata anche dalla attuale Premier Giorgia Meloni come una delle cause principali dei fenomeni migratori che interessano il Mar Mediterraneo. Questo articolo vuole offrire una panoramica sulla struttura, sulla storia e sulle prospettive future della Zone Franc, cercando di fare chiarezza nel dibattito che esiste attorno a quest’ultima per capire se questa effettivamente rappresenti una forza positiva per lo sviluppo economico dei paesi membri o se, come sostiene Meloni, rappresenti invece un giogo.

La Zone Franc e la sua struttura

La Zone Franc è costituita da due unioni monetarie ed economiche, rispettivamente la CEMAC (Communauté économique et Monetaire de l’Afrique Centrale) e l’UEMOA (Union économique et Monetaire Ouest Africaine) composte da 14 paesi in totale. La prima è composta da Camerun, la Repubblica Centrafricana, Ciad, Guinea Equatoriale, Gabon and la Repubblica del Congo; la seconda da Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo. Le banche centrali che governano queste due unioni sono rispettivamente la BEAC (Banque des états de l’Afrique Centrale) e la BCEAO (Banque Centrale des états de l’Afrique de l’Ouest). La particolarità di queste due banche sta nella presenza di consiglieri francesi nei consigli di amministrazione, i quali sono coinvolti nelle politiche e mantengono de facto un diritto di veto nelle decisioni riguardo modifiche agli statuti delle due banche, visto che queste procedure richiedono una votazione unanime.

Uno dei successi della Zone Franc sta nei bassi tassi di inflazione che questa ha registrato dalla sua nascita, creando sicurezza negli investitori. Infatti, tra il 2005 e il 2017 i tassi di inflazione non hanno mai superato il 3%. Lo strumento fondamentale per questi sviluppi è il Tesoro Francese, che riesce a mantenere lo status quo grazie alla garanzia di convertibilità internazionale illimitata e creando supporto politico a sostegno della valuta. Nonostante questi dati, paragonandoli con i tassi d’inflazione degli altri stati africani, siano all’apparenza molto buoni, si è creato un dibattito tra gli economisti sulla questione. Infatti, una scuola di pensiero sostiene che le politiche deflazionarie della Zone Franc hanno rallentato il processo di crescita, come illustrato dalla curva di Phillips, rispetto agli altri Stati del continente. Un’altra scuola, invece, ritiene che la valuta in sé non sia responsabile per la differenza tra i tassi di crescita, quanto degli shock interni ed esterni, concludendo che i benefici della stabilità monetaria siano maggiori del costo che questa implica. Le argomentazioni a sostegno di queste affermazioni sono le conseguenze destabilizzanti che un alto tasso di inflazione ha sui tassi di interesse, rendendo la distribuzione delle risorse inefficienti. La stabilità monetaria crea le condizioni per una più efficiente riduzione della povertà, creando le condizioni per una crescita più inclusiva. Tuttavia, questa capacità è stata limitata fino ad adesso per ragioni strutturali, come guerre, carestie e siccità che caratterizzano questa regione, e che ne eliminano i benefici quando i tassi di crescita non sono sufficienti.

La Francia è vista come il principale promotore di crescita e stabilità nella regione grazie al conto di operazioni e il movimento libero di capitale riesce a garantire un’effettiva attività economica nella regione. La presenza francese, benché minima, è inoltre giustificata dal conto di operazioni, visto che qualsiasi politica che le banche decidano di perseguire potrebbe avere un impatto sul debito e chiamare in causa la Francia come garante.

Un ulteriore aspetto problematico riguarda il fatto che la Zone Franc non sia una Optimal Currency Area (OCA), ma su questo vi è un dibattito aperto. Se un’unione monetaria non rispetta i criteri standard per essere una OCA, i costi di far parte di un’unione monetaria sono maggiori dei benefici. I vantaggi principali sono un minor costo per commercio interregionale ed evitare l’entrata di capitale in valuta straniera. I dati attuali sembrerebbero mostrare una situazione con bassi livelli di commercio interregionale, che si approssimano al 10% nell’UEMOA e che sarebbero ancor più bassi nella CEMAC, rendendo quindi i vantaggi di un’unione monetaria trascurabili. Le ragioni principali dietro a questi dati stanno nella scarsa diversificazione delle economie della Zone Franc dato che producono principalmente materie prime, quindi non potendo di conseguenza scambiare beni di valore. Inoltre, queste caratteristiche rendono questi Paesi più vulnerabili a shock simmetrici dato che uno shock economico in uno Stato non può essere ammortizzato dal trasferimento della domanda ad un altro paese. Tuttavia, secondo altri analisti la difficile posizione delle economie della Zone Franc non è dovuta all’unione monetaria né alla cooperazione monetaria con la Francia, quanto alla possibilità di shock simmetrici, e la garanzia di convertibilità illimitata diminuisce l’impatto di potenziali shock, visto che la Francia è in grado di assistere un Paese che vive un periodo di shock transitorio negativo. L’esistenza di un’unione monetaria potrebbe aumentare l’apertura e il commercio con la diminuzione dei costi di trasporto e un tasso di cambio più stabile. Inoltre, l’ipotesi di specializzazione di Krugman suggerisce che più i Paesi si integrano più si specializzano nella produzione di beni per i quali hanno un vantaggio comparato, creando rapporti di lungo termine che possono portare a forme di integrazione politica. Ciononostante, non vi è nessuna evidenza scientifica o empirica di uno Stato che si sviluppa economicamente all’interno di un’unione monetaria.

Le istituzioni della Zone Franc sono viste perlopiù come indipendenti, visto che la loro architettura istituzionale è tale da proteggerle dalle pressioni statali e delle lobby nell’ambito monetario ed assicurano una sorveglianza più forte delle politiche messe in atto.

Nonostante questi dati e queste argomentazioni siano perlopiù positivi, ci sono certi aspetti critici che espongono queste due unioni economiche e monetarie a determinate difficoltà. Il primo aspetto da considerare è l’ancoraggio del Franco CFA alla valuta francese, prima il Franco e oggi l’Euro. Secondo molti analisti il tasso di interesse fissato sul Franco CFA è troppo alto, rendendo i beni prodotti nella Zone Franc meno competitivi rispetto ad altri prodotti nel resto dell’Africa, mettendoli in una posizione di svantaggio comparato, bloccando possibilità concrete per lo sviluppo industriale. Questo rende le economie dei paesi membri della Zone Franc estremamente dipendenti dalle esportazioni di materie prime (petrolio, uranio, terre rare etc.), le quali abbondano ma hanno prezzi fluttuanti, fissati da mercati internazionali e dal tasso di cambio del Dollaro e dell’Euro. L’ancoraggio di una valuta ed il libero movimento di capitali hanno ulteriori ripercussioni sullo sviluppo economico, visto che ancorare una valuta ad un’altra comporta una perdita di libertà nel condurre politiche monetarie, visto che questa deve concentrare le sue risorse per mantenere la parità, come illustrato dal triangolo di incompatibilità di Mundell. Di conseguenza, i paesi membri della Zone Franc non possono promuovere politiche monetarie che possano incentivare lo sviluppo, a differenza, per esempio, delle “tigri asiatiche” che hanno usato la politica monetaria per sviluppare le loro economie con una crescita guidata dalle esportazioni.

Anche il sistema bancario della Zone Franc è stato oggetto di critiche visto che è molto restrittivo per via della natura dell’unione economica e monetaria e l’ancoraggio della valuta. È anche dominato da banche straniere, con le banche francesi che posseggono il 14% del mercato bancario e le banche marocchine e panafricane che seguono non troppo distanti. Inoltre, queste banche non contribuiscono molto al finanziamento dello sviluppo dell’economia locale visto che i crediti investiti nell’economia come porzione del PIL erano del 22% nella UEMOA e 16.5% nella CEMAC. Nonostante i tassi di interesse siano bassi nella Zone Franc data la bassa inflazione, i margini di interesse, ovvero la differenza tra il tasso al quale una banca garantisce del credito e il tasso al quale questa si rifinanzia, sono tra i più alti al mondo, con una media del 9% nella UEMOA, che è più alto della media africana dell’8% e significativamente più alto delle banche francesi. Questo è il risultato di un paradosso, vista la presenza di un eccesso di liquidità bancaria, una situazione nella quale le riserve che le banche commerciali tengono nella banca centrale sono maggiori delle riserve necessarie, significando che non solo non c’è una creazione di denaro ma che i risparmi disponibili non sono mobilitati per facilitare l’accesso al credito da parte di agenti economici. Questi fattori rendono l’accesso a capitali da parte di famiglie e imprese estremamente difficile.

Il conto di operazioni è stato oggetto di ulteriori critiche; in primis, questo riduce le opportunità commerciali della Zone Franc, visto che il Franco CFA può essere solo convertito in Euro, complicando dunque i rapporti commerciali con paesi al di fuori dell’Eurozona. Le critiche più importanti, tuttavia, riguardano la garanzia di convertibilità illimitata che il Tesoro Francese dovrebbe applicare quando necessario. Sebbene alcuni economisti abbiano definito questa garanzia un mero atto simbolico, la Francia non ha adempiuto alle responsabilità definite da questo ruolo in passato, fatto che verrà approfondito nella sezione storica. Inoltre, il conto di operazioni è gestito interamente dal Tesoro Francese senza alcuna supervisione e senza notificare i governi della Zone Franc su come le loro riserve di valuta straniera vengano utilizzate.

Storia

La storia di questa valuta è altrettanto interessante e necessaria per capire l’attuale situazione e il rapporto stretto che i paesi della Zone Franc hanno con la Francia.

Dopo il crollo della borsa di Wall Street del 1929, la Francia ha decise di seguire l’esempio della Gran Bretagna nell’estensione del Franco per le proprie colonie, in modo tale da proteggere la propria valuta e promuovere il commercio con il suo Impero coloniale. A seguito della Seconda Guerra Mondiale, la Francia aveva la necessità di ricostruire la Francia e riasserire il controllo sulle proprie colonie, le quali durante la guerra si erano create uno spazio di autonomia. Per rispondere a queste due esigenze, la Francia creò il Franco CFA (che all’epoca stava per Colonies Françaises d’Afrique) e lo ancorò al Franco. Con l’ondata di decolonizzazione e la fallimentare guerra decennale in Algeria, Parigi realizzò la necessità di adottare una strategia differente per mantenere la propria influenza nel continente africano. A differenza delle altre controparti europee, la Francia perseguì volontariamente il mantenimento di stretti legami politici ed economici con le proprie colonie; così, i Paesi in questione guadagnarono la propria indipendenza, e i moderni Franchi CFA furono creati nel 1960. Il sistema dell’epoca presentava qualche differenza con quello illustrato precedentemente: le banche centrali si trovavano a Parigi, erano composte per la maggior parte da ufficiali francesi e dovevano depositare tutte le riserve di valuta straniera nel conto di operazioni.

Nonostante l’intenzione di molti Paesi africani di far parte di questo sistema nella speranza di migliorare le proprie condizioni economiche, tre leader si rifiutarono: Sékou Touré, il presidente della Guinea; Modibo Keita, presidente del Mali; e Sylvanus Olympio, il presidente del Togo. Questa opposizione venne combattuta da De Gaulle e Jacques Foccart, principale intermediario tra la Francia e l’Africa, in diversi modi: nel caso della Guinea, il mercato guineano fu inondato di Franchi Guineani falsi nella famosa operazione PERSIL, che danneggiò gravemente l’economia fino ai nostri giorni; il Mali venne isolato commercialmente con effetti disastrosi, tant’è che rientrò nella Zone Franc nel 1984; infine Olympio venne ucciso in un colpo di stato e rimpiazzato con un leader più orientato verso i francesi.

La struttura istituzionale della Zone Franc cominciò a cambiare nella seconda metà del Novecento. Negli anni ’70 un processo di africanizzazione prese piede nelle istituzioni dell’unione monetaria, con il trasferimento delle banche centrali a Dakar e Yaoundé e la riduzione del personale francese ai membri del CDA. Inoltre, le riserve di valuta che dovevano essere depositate nel conto di operazioni furono ridotte e le banche centrali potevano condurre delle politiche di “sviluppo finanziario”, prestando ai governi il 20% del gettito fiscale. La riserve obbligatorie da mantenere nel conto di operazioni furone ridotte ulteriormente al 50% nel 2005 e al 40% nel 2014.

L’altro episodio fondamentale per comprendere la storia di questa valuta è la sua svalutazione del 1994, che tuttora è un episodio controverso e discusso. Il Franco fu svalutato del 50%, alterando la parità per la prima volta in quarantasei anni, a causa della politica del Franc fort, voluta dal governo Mitterrand negli anni ’80 per rendere le esportazioni francesi più competitive sui mercati Europei. A questa situazione si sommò la svalutazione delle valute dei vicini africani, che risultò in un debito massiccio per i paesi della Zone Franc. La risposta del Fondo Monetario Internazionale (FMI) di fronte a questa vicenda fu la richiesta di un aggiustamento reale dell’economia, quindi una riduzione delle importazioni e della spesa pubblica, combinata con un aggiustamento monetario, ovvero con una svalutazione del Franco CFA. Inizialmente la Francia non voleva alterare il valore del Franco CFA, ma non sostenne i Paesi membri tramite il conto d’operazione. Tuttavia, poco dopo la Francia adottò la dottrina Balladur, svalutando il Franco CFA e sottoponendo i paesi della Zone Franc agli aggiustamenti strutturali del FMI. Dopo questo punto, ci sono due narrazioni discordanti sulle vicende: alcuni sostengono che la svalutazione fosse presa di comune accordo tra la Francia e i paesi della Zone Franc, rendendo così i prodotti di quest’ultima più competitivi sui mercati internazionali creando dei circoli virtuosi di crescita; altri invece sostengono che la dottrina Balladur sia stata imposta sui paesi della Zone Franc con minacce di ricatto da parte della Francia, la quale si svincolò dai suoi obblighi facendo intervenire il FMI.

L’entrata della Francia nell’Euro nel 2002 ebbe anche un impatto non indifferente sulla Zone Franc. Nonostante le contestazioni da parte di altri Paesi europei perché la sovranità sul Franco CFA venisse ceduta alla Banca Centrale Europea, la Francia riuscì a mantenere il proprio ruolo nel sistema CFA. Questo generò un’ulteriore complicazione per la Zone Franc, visto che questa si trovò a competere con un’altra unione monetaria molto più sviluppata e contenente alcune delle economie più potenti del mondo.

La situazione della Zone Franc è rimasta pressoché invariata sino ad oggi e nella prossima sezione si affronteranno le prospettive future di questa valuta. Il percorso storico di questa unione monetaria è uno complesso e non poco controverso, rendendo il dibattito riguardo ad esso molto acceso. La prossima sezione cercherà di esplorare quale futuro ci si può aspettare da questa valuta e soprattutto se ci sia la volontà politica di continuare questa collaborazione.

Prospettive e conclusioni

Il primo punto da prendere in considerazione, che fino ad ora non è stato menzionato, è la percezione africana del Franco CFA. La maggior parte dei cittadini della Zone Franc ormai mal sopporta questa istituzione e la presenza francese: la Zone Franc non ha saputo portare uno sviluppo economico concreto e un benessere diffuso nei Paesi membri, mentre la presenza francese viene vista come un’ingerenza neocoloniale. Questa prospettiva è entrata anche nella cultura pop, tanto che svariati artisti di diversi paesi della Zone Franc hanno anche creato una canzone di protesta. Tuttavia, queste proteste provengono perlopiù dalla società civile e non dalla classe dirigente, la quale difende il sistema come un’importante prospettiva di sviluppo.

Tuttavia, anche questa prospettiva sta cambiando visti i recenti colpi di stato nel Sahel, che si sono dichiarati anti-Francesi e antioccidentali, e tentativi di decoupling strategico a favore di partner che possano offrire condizioni più vantaggiose, come la Cina.

Anche la Francia fatica a giustificare la sua posizione vista la situazione geopolitica, ma ci sono anche ragioni economiche che rendono complicato il coinvolgimento francese. Infatti, le regole fiscali dell’eurozona e la complessità sempre maggiore dei settori bancari e finanziari della Zone Franc rendono la garanzia di convertibilità internazionale illimitata sempre più difficile da mantenere. Inoltre, è mancata una volontà politica concreta e coesa di sostenere la Zone Franc, che mette la regione a rischio di una fuga di capitale. Lo stesso accordo fondante non garantisce un perenne coinvolgimento francese, infatti quando le condizioni economiche saranno propizie la Francia potrà uscire dal sistema CFA. Questo mancato sostegno politico può essere inquadrato nel fenomeno più ampio del ritiro francese dall’Africa. Infatti, da diversi anni a questa parte, la Francia sta riducendo sempre di più la sua presenza militare e strategica in Africa, cercando una cooperazione con i suoi partner per alleggerire un carico strategico che sta diventando troppo pesante per l’Eliseo.

La situazione attuale rende un’uscita della Francia dal sistema CFA pressoché impossibile visto che ciò implicherebbe l’esposizione del Franco CFA ai prezzi fluttuanti delle materie prime all’interno dell’economia globale, creando una situazione di instabilità sociale. Le prospettive peggiorano quando si osserva che gli stati membri della Zone Franc non sono integrati politicamente, il che renderebbe l’amministrazione della valuta ancora più difficile. Perciò, le condizioni per un’uscita francese dal sistema CFA non sussistono attualmente e la presenza francese offre una certa sicurezza ai paesi membri.

In ultima istanza, le uniche prospettive certe riguardano la volontà da parte di entrambe le parti di cambiare il sistema viste le controversie interne ed esterne. In una visita ufficiale in Costa d’Avorio nel 2019, il Presidente Macron e la sua controparte ivoriana, Alassane Ouattara, hanno annunciato l’intenzione di sostituire il Franco CFA con una nuova valuta, l’ECO. L’ECO sarebbe sempre ancorato all’Euro, ma il grande cambiamento è rappresentato dall’esclusione dei rappresentanti Francesi nei CDA e dalla cessazione dell’obbligo di mantenere la metà delle riserve estere nel Tesoro Francese. Tuttavia, il progetto venne rimandato a causa della pandemia e per l’evoluzione geopolitica del Sahel degli ultimi anni a questa parte.

Per concludere, il Franco CFA e le economie della Zone Franc hanno un futuro incerto, però non possiamo aspettarci dei cambiamenti nel prossimo futuro visto che il dossier ha perso importanza. Tuttavia, questi rimarranno oggetto di dibattito sia in Africa che in Europa negli anni a venire e questo potrebbe diventare uno dei fattori determinanti nelle relazioni politiche ed economiche dei due continenti.

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