La criminalità organizzata minorile in Italia

  Focus - Allegati
  10 April 2024
  27 minutes

La criminalità organizzata minorile in Italia

A cura di Fabio Naca, Senior Policy Analyst e Consigliere

Immagine di copertina: AgenPress.it

Abstract

Nell’ottobre 2023, un’indagine della Polizia Criminale ha portato alla luce numerosi elementi inerenti al fenomeno della criminalità minorile. Il dato più preoccupante da qui carpibile riguarda il generale aumento dei fenomeni criminali a carico di minorenni in Italia, in un trend crescente che caratterizza gli anni successivi alla pandemia da Covid-19. Al netto dei reati più frequenti, particolare peso ha assunto nell’immaginario pubblico la presenza delle cosiddette baby gang, gruppi di ragazzi e ragazze che agiscono seguendo un modus operandi particolarmente violento e all’apparenza inutilmente motivato poiché presumibilmente dettato da futili ragioni. Se da una parte le baby gang rimangono sotto la lente d’ingrandimento, poco spazio hanno trovato altri raggruppamenti giovanili di criminali altrettanto contraddistinti da alti numeri di frequenza, come ad esempio le nuove leve dei tradizionali gruppi di malavita italiani. L’obiettivo di questa pubblicazione consiste pertanto nell’analisi delle attuali formazioni criminali cui aderiscono i giovani in Italia, in coda alla quale si proverà a redigere una serie di possibili soluzioni nel medio-lungo termine per far fronte a quella che, stando ai numeri della Polizia di Stato, sta assumendo le tipiche caratteristiche di una situazione emergenziale.

Parole chiave: Criminalità minorile; Italia; Crimine organizzato; Socializzazione.

INDICE

1. La criminalità dei giovani italiani: Numeri e motivazioni

1.1. Rapporti statistici e tipologie di gruppi criminali

1.2. I gruppi criminali dei giovani oltre il confine mediatico delle baby gang

1.3. I giovani e l’eziologia della devianza

2. Metodi per arginare la criminalità organizzata giovanile

2.1. Approccio coercitivo: La mano forte dello Stato

2.2. Approccio rieducativo: Integrazione nella società

2.3. Approccio negoziale: Centralità del rapporto tra giovani e adulti

3. Soluzioni alla criminalità organizzata giovanile in Italia

3.1. L’approccio coercitivo tra il decreto “Caivano” e l’art. 416 c.p.

3.2. Gli approcci rieducativo e negoziale tra USSM e scuole

4. Conclusione

1. La criminalità dei giovani italiani: Numeri e motivazioni

1.1. Rapporti statistici e tipologie di gruppi criminali

La tematica della criminalità giovanile ha occupato negli ultimi anni uno spazio sempre crescente tanto a livello ministeriale, quanto dal punto di vista della sua trattazione mediatica, specialmente per quanto riguarda il fenomeno delle baby gang. Un’elaborazione grafico-numerica degli articoli di quotidiano contenenti le perifrasi “gang giovanile” o “baby gang”, pubblicata su uno studio di Savona et al. (2022), fa emergere come nel 2017 le trattazioni giornalistiche di questo tipo ammontassero a circa 600, cifra destinata a salire costantemente - eccezion fatta per il biennio 2020-2021, a causa della pandemia Covid-19 - fino alle quasi 2000 pubblicazioni a questo riguardo del 2022.

A livello giuridico-amministrativo, il totale delle segnalazioni che hanno visto coinvolti minorenni nel periodo 2010-2022 è stato oggetto di indagine dell’ultimo report tematico pubblicato dal Ministero dell’Interno nel novembre 2023. Nell’intervallo considerato, emerge la presenza di un andamento crescente tra il 2010 e il 2015, quindi una fase di sostanziale decelerazione fino al 2020, e in seguito una netta ripresa fino al 2022, anno in cui le denunce effettuate hanno riguardato ben 32.522 casi, appena 44 in meno rispetto all’anno record del 2015 (Ministero dell’Interno, 2023). Nel documento, un ulteriore approfondimento ha portato alla luce la comparazione tra le casistiche coinvolgenti giovani con cittadinanza italiana e minorenni stranieri. Se i delitti a carico degli adolescenti italiani hanno subito un decremento costante dalle 19.616 denunce dal 2016 a una media di 15.317 nel periodo 2018-2022, lo stesso non può dirsi dei rapporti concernenti giovani stranieri, le quali hanno subìto un aumento dalle 11.145 denunce del 2020 alle 17.032 del 2022 (Ministero dell’Interno, 2023).

Al centro dell’indagine perorata per mezzo della presente ricerca, risulta appropriato discutere più approfonditamente anche delle rilevazioni inerenti ai raggruppamenti di giovani - indipendentemente dal numero, dalle motivazioni e dalla composizione sociale, etnica e culturale. Dall’analisi di Savona et al. (2022) emerge un quadro sostanzialmente omogeneo a livello nazionale, poiché la maggior parte dei comandi provinciali dei carabinieri e delle questure sollecitate ha confermato la presenza di tali raggruppamenti sul proprio territorio. Inoltre, stando sempre alle informazioni fornite dall’Arma dei carabinieri e dalla Polizia di Stato, i territori che hanno segnalato un incremento della presenza di associazioni criminali tra minori sono risultati in numero maggiore rispetto alle aree dove è andata invece determinandosi una decrescita (48 nel primo caso e 13 nel secondo; Savona et al., 2022).

Nella maggior parte dei casi, tuttavia, è abituale entrare a contatto con una narrativa mediatica erronea, poiché quasi automaticamente tutti i gruppi di giovani dediti ad attività criminali con una certa frequenza vengono segnalati come baby gang. Il lavoro sviluppato da Savona et al. (2022) si è quindi focalizzato principalmente sulla presentazione di una più approfondita ricerca a tal proposito, portando alla determinazione di quattro tipologie:

  • Gruppi senza struttura definita dediti ad attività violente o devianti;
  • Gruppi che si ispirano alle o che hanno legami con le organizzazioni criminali italiane;
  • Gruppi che si ispirano a organizzazioni criminali estere;
  • Gruppi con una struttura definita e dediti ad attività criminali specifiche.

1.2. I gruppi criminali dei giovani oltre il confine mediatico delle baby gang

I gruppi definiti da Savona et al. (2022) come “senza struttura definita dediti ad attività violente o devianti” sono quelli numericamente più presenti sul suolo italiano, e le loro caratteristiche corrispondono a quelle normalmente affibbiate alle baby gang. Le principali attività cui si dedicano gli appartenenti a tali associazioni confluisce in una moltitudine di reati contro la persona (risse, percosse, lesioni, violenze sessuali), reati contro il patrimonio (furti e rapine in pubblica via) e atti di bullismo, mentre rari sono i casi concernenti la presenza di stupefacenti o le intrusioni nelle abitazioni private.

Per quanto riguarda le associazioni criminali di giovani che traggono ispirazione dalle tradizionali organizzazioni criminali autoctone, o che addirittura si sostentano alle loro spalle, in Savona et al. (2022) se ne parla specialmente in territori localizzati nel Meridione, a differenza dei gruppi di cui sopra più omogeneamente distribuiti, pur prendendo atto di sporadici rilievi dei primi anche in province del Nord e del Centro Italia. Alcuni dei tratti identitari di queste fazioni riguardano anche la loro composizione, poiché la maggior parte dei minorenni aderenti a tali formazioni ha origini italiane e si dedica alla commissione di reati più sofisticati rispetto a quelli solitamente commessi dalle baby gang, come ad esempio spaccio di stupefacenti ed estorsioni, nonché una generale tendenza a imporsi come punto di riferimento di potere all’interno del proprio territorio.

Così come già visibile da alcuni decenni nei gruppi di criminalità organizzata cui aderiscono gli adulti, negli ultimi anni sono aumentate numericamente le affiliazioni a vere e proprie gang, composte perlopiù da ragazzi con un background migratorio alle spalle o - generalmente - un percorso di integrazione sociale e culturale difficile. Seguendo alcune linee identitarie e comportamentali più tipiche dei gruppi malavitosi non italiani - come ad esempio l’uso di simboli riconoscitivi come i tatuaggi -, i raggruppamenti come gli “MS13” e i “Barrio Banlieue” operanti a Milano risultano spesso coinvolti in azioni di disturbo della quiete pubblica e di reati contro la persona, mentre solo in un caso su tre sono oggetto di segnalazione sui rapporti di casi concernenti attività di spaccio di stupefacenti, estorsione e azioni dove sono tipicamente attive le baby gang (Savona et al., 2022).

Infine, i gruppi con “struttura definita e dediti ad attività criminali specifiche” (Savona et al., 2022) palesano tratti tipici dei tre raggruppamenti sin qui enunciati, costituendo pertanto una categoria a sé. Dal punto di vista della loro distribuzione territoriale, queste associazioni sono rinvenibili - come le baby gang - in tutta Italia, dimostrando in tutti i casi un certo livello di organizzazione gerarchica, pur non rifacendosi idealmente né coordinandosi direttamente con altri gruppi criminali principali. A questa categoria fanno anche riferimento alcune baby gang, nello specifico quelle dedite ad attività più sofisticate come lo spaccio - o addirittura la produzione - di stupefacenti, i furti contro il patrimonio a danno di esercizi commerciali, e in alcuni casi più marginali anche attività di estorsione e di possesso di esplosivi.

1.3. I giovani e l’eziologia della devianza

Avendo enunciato le principali statistiche e i raggruppamenti che saranno quindi oggetto di analisi, la presentazione del problema necessita ancora di un approfondimento contenutistico di primo livello, che nello specifico concerne le motivazioni agenti sulla mente dei giovani abbandonantisi ad azioni criminali e, nello specifico, facenti riferimento a dinamiche di gruppo che contribuiscono non solo all’elevazione dell’individualità - poiché, nel compiere azioni approvate dal gruppo di fronte a un pubblico sostenitore, viene instaurandosi un vero e proprio circolo vizioso -, bensì anche alla deresponsabilizzazione delle proprie azioni, visibile ad esempio nei momenti seguenti a denunce o arresti, circostanze in cui diviene frequente nascondere le proprie colpe dietro al muro del gruppo senza volto.

A conferma di quanto sostenuto in quest’ultimo paragrafo, lo stesso resoconto proposto in Savona et al. (2022) presenta come principale fattore d’ingresso in dinamiche criminali un difficoltoso relazionamento con il proprio status individuale, o quantomeno con una deficitaria visione del medesimo nelle dinamiche di gruppo. Procedendo da qui - e in maniera simile alle discrasie già evidenziate a livello delle attività delittuose compiute -, vanno definendosi diverse ramificazioni a seconda delle tipologie di gruppo. Seguendo il sentiero tracciato da Savona et al. (2022), la maggior parte delle baby gang è composta di membri che vengono raggruppandosi in risposta al proprio isolamento sociale, che nel caso delle baby gang del quarto gruppo è ulteriormente rafforzato dal desiderio di guadagno e dall’attrazione per il denaro, saziata per l’appunto dalla commissione di reati come lo spaccio o la galassia di delitti contro il patrimonio. Nel caso delle associazioni affiliate ai gruppi criminali autoctoni, il problema dello status si declina nell’intenzione di ergersi a capo di una certa gerarchia sociale, trascinandosi quindi al proprio interno una costellazione di gravi mancanze a livello probabilmente economico - e sicuramente sociale - gravanti sulla propria famiglia di origine. Infine, come affermato in precedenza, alla base dell’affiliazione alle gang di ispirazione esterofila è possibile rintracciare problematiche inerenti a un difficile contesto post-migratorio.

Nel tentativo di identificare ulteriori traiettorie accomunanti il desiderio di prender parte alle attività criminali di un gruppo di giovani pari età, una pubblicazione di Omboto et al. (2013) ha elencato una serie di fattori scatenanti, tra i quali si può ritrovare un difficoltoso passato familiare, che in alcuni casi - specialmente di dipendenza da sostanze psicoattive - può essere anche foriero di un certo grado di sopportazione di o quantomeno abitudine all’esposizione a comportamenti socialmente devianti.

In uno studio focalizzato sulla fattispecie territoriale australiana, Richards (2011) ha esposto una serie di caratteristiche sociali solitamente affibbiate a giovani criminali per mezzo di una comparazione con i medesimi tratti posseduti da delinquenti adulti, addentrandosi più nello specifico dei meandri della psicologia individuale e sociale dei soggetti trattati. Secondo questa analisi, due sono le caratteristiche della fascia di età adolescenziale foriere di stati psicologici particolarmente adatti ad abbracciare l’ingresso in contesti criminali, ossia:

  • Il periodo di pubertà, che comporta una frequente alterazione degli stati di eccitazione e motivazione, cui fa seguito una non sempre adeguata capacità di comprendere appieno i rischi né tantomeno di regolare le proprie emozioni; e
  • Il sentimento di invincibilità ivi discendente, difficilmente rintracciabile in soggetti adulti, che tuttavia non corrisponde sempre ad una deficitaria capacità di comprendere i rischi, in quanto può essere facilmente sospinta dal desiderio di integrazione sociale, che si erge nei contesti giovanili a vero e proprio sostituto di maturità e responsabilità per le motivazioni precedentemente evidenziate.

Secondo altri autori - come Biancardo (2019) -, le motivazioni riconducibili a contesti di disagio socio-economico e psicologico non sono in grado di racchiudere del tutto al proprio interno l’intera eziologia legata alla criminalità minorile. A tal proposito, nella suddetta pubblicazione si disquisisce anche della possibilità antipodale, ossia della presenza all’interno di questi gruppi - in verità tutt’altro che marginale - di ragazzi che godono di un pieno sostegno familiare, tanto da un punto di vista meramente materiale quanto secondo una chiave di supporto emotivo. In questi contesti, sarebbe proprio l’iperprotettività e l’abitudine all’accondiscendenza da parte dei genitori a costituire un potenziale punto di partenza per la messa in atto di comportamenti socialmente devianti, poiché in siffatte circostanze il ragazzo “non avverte il disvalore sociale di quanto ha commesso e viene deresponsabilizzato dalla propria famiglia, pronta a giustificargli qualsiasi condotta, anche la più abominevole e abietta” (Biancardo, 2019: 9).

Sempre Biancardo (2019) ha quindi riflettuto sulle dinamiche alla base della spontaneità che - come visto nella tipologizzazione di Savona et al. (2022) - è propria della maggior parte dei gruppi criminali composti da minorenni e, nello specifico, delle baby gang. A tal proposito, si afferma infatti come l’unione di fattori psico-sociali legati all’età - non ultima la volontà di distaccarsi da una percepita onnipresenza di infantilità nella ripetitività delle azioni quotidiane, da cui la brama di entrare al più presto nelle dinamiche dell’età adulta -, alla volontà di vedersi riconoscere una certa quantità di potere dai propri parigrado, e quindi di accrescere il proprio status, sono i principali fattori definenti le fondamenta della spontaneità di un gruppo. Queste formazioni appaiono pertanto socialmente omogenee, soprattutto in virtù della tendenza ad accentrare il potere nelle mani di un capo legittimato e riconosciuto unanimemente dal gruppo intero in virtù delle proprie doti carismatiche, e non già seguendo dettami gerarchici come nel caso dei gruppi criminali affiliati ad organizzazioni preesistenti (Biancardo, 2019).

2. Metodi per arginare la criminalità organizzata giovanile

Esattamente come nel contesto del contrasto ai contesti criminali coinvolgenti adulti, anche nel caso delle reti delinquenziali giovanili è possibile - mutatis mudandis - procedere con diverse tipologie di approccio per deterrere l’affiliazione a tali raggruppamenti. Seguendo la linea delineata da White (1997), si possono identificare sostanzialmente tre diverse linee di intervento, ossia (i) quella coercitiva (coercive approaches); (ii) quella rieducativa (developmental approaches); e (iii) quella accomodante o negoziale (accommodating approaches). Seguendo dunque la siffatta tripartizione, si procederà di seguito con l'elencazione di una serie di possibili soluzioni - adottate in Italia e all’estero, a livello pubblico e privato - per contrastare direttamente e arginare i fenomeni di criminalità giovanile.

2.1. Approccio coercitivo: La mano forte dello Stato

Nell’esporre la propria definizione della tipologia di approcci coercitivi, lo stesso White (1997) parte con l’affermare come tali soluzioni siano intrinsecamente problematiche a causa del forte detrimento che un sistema puramente punitivo può - con molta probabilità - causare sullo sviluppo dei giovani. Ciò detto, l’autore non intende sminuire l’apporto alla causa del contrasto alla criminalità che un siffatto orientamento indubbiamente possiede, considerando che in taluni contesti particolarmente problematici la presenza coatta dello Stato rappresenta l’unica possibilità per sedimentare un ripristino dell’ordine generale, sul quale quindi agire con ulteriori interventi con diverso contenuto.

In Italia, la questione della criminalità giovanile - come visto nella porzione introduttiva - si configura come una delle problematiche principali a livello sociale, non tanto nei numeri odiernamente visibili, quanto piuttosto per la tendenza alla loro crescita, emergente tanto dal trend statistico quanto dalla situazione socio-economica del Paese. In questo senso, l’intervento dello Stato si è palesato nel Decreto-Legge del 15 settembre 2023, n. 123 recante “Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”, quindi convertito in Legge da voto parlamentare il 15 novembre scorso, e altresì meglio noto come decreto “Caivano” in virtù dello spirito animantelo, sorto dalla forte indignazione pubblica successiva alla violenza sessuale esercitata da alcuni giovanissimi a danno di due ragazzine nel comune di Caivano durante l’estate 2023.

Buona parte delle misure principali comprese all’interno del decreto “Caivano” si muovono proprio nella direzione che White (1997) ha indicato come coercitiva, poiché lo Stato ha deciso di affrontare di petto la questione della criminalità giovanile, scegliendo di inasprire le conseguenze giuridiche per alcune categorie di reato che solitamente vedono coinvolti la maggior parte dei raggruppamenti precedentemente evidenziati. Ad esempio, tra le misure più ricordate si trova il cosiddetto “daspo urbano”, ossia il divieto di accedere ad alcune aree pubbliche in conseguenza della commissione di certe categorie di reato, tra cui lo spaccio di stupefacenti (art. 13(1) e art. 13(7) del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14) e “reati commessi in occasione di gravi disordini avvenuti in pubblici esercizi o in locali di pubblico intrattenimento ovvero nelle immediate vicinanze degli stessi” (art. 13-bis del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14).

Come visibile da tali contenuti - e come ricordato sempre da White (1997) -, l’obiettivo principale di tali misure consiste nella repressione dell’attività criminale se ipsa, senza alcuna prospettiva di considerazione del retroterra da cui essa è sorta, e ugualmente avulsa dall’intenzione di avvalersi di strumenti che possano prevenirne una riemergenza nel futuro. Il focus rimane quindi sul presente, con la speranza che l’azione dello Stato - che evidentemente si considera come soggetto troppo passivo in precedenza di un’azione coatta - possa servire a smuovere la coscienza pubblica nel segno simbolico che esercita la legge, che in questo senso agirebbe da deterrente. Infatti, la coercizione da essa incarnata potrebbe essere percepita dalla maggior parte della popolazione come uno strumento abbastanza vigoroso da impedire la commissione di qualsivoglia azione che differisca dalle sue disposizioni, quali che siano i suoi contenuti morali.

2.2. Approccio rieducativo: Integrazione nella società

Con modalità diametralmente opposte si presenta il cosiddetto approccio rieducativo, descritto da White (1997) come il tentativo di aumentare le opportunità per i giovani di divergere dalle dinamiche criminali tramite l’attuazione di una vasta gamma di attività, nelle quali i ragazzi possono sfogare i propri bisogni e interessi. In questo modo, questo orientamento agisce in maniera decisamente più lieve sull’hic et nunc rispetto alle manovre coercitive, poiché il suo obiettivo precipuo consiste piuttosto nell’affrontare i problemi trascinantisi dal passato e convogliare le nuove prospettive in un futuro più prosperoso. Anche in tale contesto è lo Stato ad essere protagonista, seppur tramite uno spettro istituzionale diverso rispetto al precedente, in quanto a farsi carico dell’approccio rieducativo sono le scuole, le autorità socio-sanitarie e le municipalità.

All’interno di una loro pubblicazione, Manuel & Jørgensen (2013) hanno identificato una serie di approcci più o meno efficaci a prevenire comportamenti criminali nei giovani tra 12 e 17 anni, tutti cionondimeno accomunati dall’intento di agire sulla socialità dei ragazzi per mezzo delle istituzioni sopracitate. Uno dei programmi ivi elencati e descritti come maggiormente positivi corrisponde al progetto JobFit Training descritto da Koglin et al. (2010), fondato sul tentativo di migliorare le competenze sociali di ragazze e ragazzi a scuola in preparazione dell’età lavorativa, intervenendo così sulle possibili spie solitamente denotanti comportamenti aggressivi e antisociali. Tramite un piano d’azione incentrato sulle tematiche emotivo-relazionali, in grado di dare il giusto peso agli e la corretta interpretazione degli stati d’animo facilmente associabili all’adolescenza (empatia, comunicazione, gestione delle responsabilità, equilibrio in famiglia), il progetto ha portato in dote una significativa riduzione di problemi legati alla condotta dei giovani in soli sei mesi.

Altrettanto percorribile potrebbe essere il sentiero tracciato in Borduin et al. (1995) nel segno della terapia multisistemica (MST, dall’inglese Multisystemic Therapy). Alla base di questo approccio si manifesta il ricorso a tecniche direttamente orientate ad affrontare problemi di tipo interpersonale (legati quindi a deficit cognitivi) e sistemico (piuttosto incentrati su dinamiche di socializzazione primaria e secondaria), ossia i punti da cui solitamente hanno origine i comportamenti criminali o comunque socialmente devianti. Nel caso qui discusso, il percorso MST è stato somministrato a livello individuale su una moltitudine di ragazzi incarcerati a seguito di sentenze di colpevolezza per reati gravi. In seguito a queste sessioni di terapia individuale - incentrate sul rapporto diretto tra ragazzo e psicologo, nel tentativo di venire a capo dei problemi relazionali sussistenti tra quello e diverse figure di socializzazione primaria (famiglia) e secondaria (tanto amicizie quanto relazioni con soggetti di pari età) -, l’effetto del MST è stato celebrato positivamente dai ricercatori non solo in virtù dei visibili miglioramenti nel rapporto tra l’adolescente e la sua cerchia sociale, bensì anche considerando l’inferiore probabilità di essere arrestato nei successivi quattro anni rispetto a chi non ha potuto intraprendere tale percorso.

2.3. Approccio negoziale: Centralità del rapporto tra giovani e adulti

Il terzo tipo di approccio presentato da White (1997) è detto “negoziale” (lett. accommodating), poiché non tanto focalizzato sull’annullamento o sulla deterrenza dalle dinamiche criminali e criminogene, quanto piuttosto imperniato sulla volontà di risolvere le problematiche psicologiche dei giovani in quanto tali, affrontando in questo modo il tema della criminalità senza però interfacciarsi ad esso direttamente. Fondamentale è qui l’approccio del mondo adulto a quello adolescenziale, poiché il riconoscimento da parte del primo dei bisogni intrinseci del secondo permette lo sviluppo nei ragazzi di una mentalità socialmente aperta e partecipativa. Le istituzioni qui coinvolte non afferiscono unicamente alla sfera statale, poiché gli spazi pubblici all’interno dei quali i giovani vanno inclusi appartengono anche a numerosi attori privati, come ad esempio reti di associazionismo locale o esercizi commerciali.

Nel contesto dei cosiddetti accommodating approaches, è necessario includere anche tutte le fattispecie traumatiche che, a causa del loro impatto sullo sviluppo psicologico dei ragazzi tra età infantile e adolescenziale, possono essere indubbiamente foriere di comportamenti antisociali, devianti o - nel peggiore dei casi - criminali. Tra questi traumi, si possono annoverare fattispecie come la perdita precoce di un genitore e la conseguente spirale di responsabilizzazione a fronte di una naturale immaturità, violenze fisiche e/o psicologiche, abuso - durante lo stato di gravidanza o in fasi postnatali - da parte dei genitori di sostanze stupefacenti e psicoattive (White, 1997). In tal senso, come notato da Ferrer (2016), pur tenendo presente che gli adolescenti tendono di per sé a presentare diverse lacune nella formazione di un giudizio decisionale adeguato, appare evidente che i ragazzi con un passato traumatico alle proprie spalle possano amplificare a dismisura tali problematiche per colpe non imputabili ad essi, quanto piuttosto al loro ambiente di sviluppo. Per tale motivo, le strategie negoziali appaiono più indicate rispetto a quelle coercitive e a quelle rieducative anche nei casi di giovani criminali con un simile retroterra, poiché “così come è giusto riservare un trattamento di favore sulla base dell’età, è altrettanto corretto fare lo stesso con i traumi” (Ferrer, 2016: 573).

Un esempio sottolineante l’importanza sociale dell’approccio negoziale è rinvenibile in uno studio di Miller e Toivonen (2010), incentrato sul ruolo del progetto avviato negli anni Novanta dal K2 di Yokohama. Nel 1989, il K2 venne fondato come ala educativa presso una compagnia privata nel ramo della navigazione - la Pacific Marine Project Co. -, con l’intento di arruolare alcuni ragazzi che avevano abbandonato i loro studi per alcune traversate in oceano per diverse settimane. Una volta terminata l’estate, un impiegato addetto alla supervisione del progetto - Kanamori Katsuo - decise di continuare a perseguire tale ideale, ricostituendo la K2 nel 1991 come organizzazione volontaria dedita alla riabilitazione di ragazzi tra 13 e 34 anni che, per un motivo o per un altro, mostrano tratti problematici nelle relazioni sociali (ad esempio: i futōkō, ossia i ragazzi che abbandonano la scuola; gli hikikomori, ossia gli adolescenti che tendono a ritirarsi progressivamente dalla sfera sociale fino all’isolamento completo; e i NEET). Lo spirito animante l’attività del K2 è basato sull’idea che, attraverso un lavoro di collaborazione intenso e quotidiano, tutti i ragazzi toccati da questo progetto sono in grado di relazionarsi in maniera adeguata con il mondo esterno.

3. Soluzioni alla criminalità organizzata giovanile in Italia

Indubbiamente, le soluzioni presentate nel capitolo 2 costituiscono i petali di un rigoglioso fiore dal quale attingere per approntare soluzioni di diverso tipo, a seconda delle necessità socio-economiche e temporali a disposizione. Detto ciò, è necessario ricordare come le risposte a un problema sociale in un determinato contesto possano avere un effetto totalmente diverso - ove non addirittura antipodale - rispetto alla loro applicazione in un altro Paese, semplicemente a causa delle diverse sensibilità culturali a certi tipi di risposta. Per quanto riguarda il caso italiano, appare infatti certo constatare come - nel caso dei gruppi individuati da Savona et al. (2022) come ispirantisi dalle attività malavitose di formazioni autoctone o straniere - tutte le possibili tattiche e strategie paventate antecedentemente sarebbero poco efficaci ove non del tutto risultanti in uno scialacquamento di denaro pubblico. Infatti, è ben noto come l’attività mafiosa sul territorio italiano non corrisponda sotto molti aspetti alle esperienze di altri Paesi, se non altro a causa della loro longevità e del conseguente radicamento nel tessuto socio-culturale di numerose aree della Penisola. Per questo motivo, l’azione dello Stato potrebbe essere percepita se ipsa come negativa da diversi soggetti interessati - e considerando proprio tale avversità come esistente nella mentalità della popolazione adulta, è lecito attendersi che la medesima risposta sarebbe rinvenibile anche nella loro prole in età giovanile, che si distingue per l’attività criminale nei gruppi con i loro pari età.

3.1. L’approccio coercitivo tra il decreto “Caivano” e l’art. 416 c.p.

Prescindendo quindi dalle considerazioni sistemiche inerenti al Paese Italia - da sempre percosso da enormi difficoltà nello sradicamento delle attività malavitose -, rimane comunque fondamentale prevedere una progettualità di medio-lungo termine per far fronte all’emergenza della criminalità organizzata dei giovani. Se da una parte il braccio forte dello Stato appare essere già in azione su larga parte del territorio per mezzo del decreto “Caivano”, in virtù delle cui misure una crescente moltitudine ragazzi dediti ad attività ritenute criminali sono stati sottoposti a misure cautelari (anche negli IPM), è d’altra parte necessario prevedere azioni.

In tal senso, per far fronte all’espansione del fenomeno qui trattato - che difficilmente troverà una fine con il solo ricorso alla carcerazione -, potrebbe costituire uno spunto di riflessione prevedere una revisione parziale dell’articolo 416 del codice penale, sanzionante l’associazione per delinquere. Infatti, come sottolineato da Savona et al. (2022), solo nel 5% dei casi i carabinieri e la polizia sono stati in grado almeno di contestare in fase di processo tale reato, nonostante anche nel restante 95% delle fattispecie vi fosse una evidente correità dettata dalla compartecipazione a un’attività criminale. Se da un lato è vero che nel testo dell’articolo si esplicita la necessità che tale associazione nasca con l’intento di commettere più delitti - e ciò non è di per sé vero nel caso delle baby gang, che possono essere viste tuttalpiù come gruppi di ragazzi che si abbandonano ad attività criminali, ma certo non le perseguono nella maggior parte dei casi come scopo identitario -, risulta altrettanto necessario prevedere una formulazione che tenga conto di siffatte circostanze, se non altro per garantire una pena adeguata ai comportamenti in stile “branco”.

3.2. Gli approcci rieducativo e negoziale tra USSM e scuole

Come sottolineato in Savona et al. (2022), centrale nel percorso rieducativo durante il periodo di detenzione per i minorenni è il ruolo ricoperto dagli uffici di servizio sociale per i minorenni (USSM), ossia gli enti preposti al supporto dei minorenni durante tutte le fasi del loro processo sin dal momento del loro ingresso nel circuito penale. Oltre al loro necessario intervento a livello individuale, gli USSM sono anche intervenuti nel tentativo di formare i giovani in gruppo, provando a impartire lezioni tematiche in diversi istituti penitenziari per favorire una coscienza collettiva delle problematiche più diffuse. Ad esempio, tra i progetti citati in Savona et al. (2022), si annoverano: (i) a Milano, progetti sulla giustizia riparativa e sul contrasto al cyberbullismo; (ii) a Trieste, percorsi di empowerment individuale, di inclusione sociale e di opposizione alla violenza online; (iii) a Messina, strategie per la prevenzione della violenza di genere e per l’accrescimento emotivo; e (iv) a Palermo, formazione educativa sulla realtà malavitosa e i suoi corollari.

Tra gli altri approcci fondamentali per garantire un adeguato supporto ad un reinserimento sociale per i giovani criminali, è necessario ricordare il ruolo di cui dovrebbero essere investite le scuole non solo per far fronte alle necessità dei ragazzi prima che intraprendano percorsi di devianza sociale o mentre questi sono già dediti a siffatti comportamenti, bensì anche per aiutare e supportare le famiglie nello sviluppo di una rete di socializzazione quotidiana in grado di sostenere e rispettare i bisogni degli adolescenti, allungando la mano secondo necessità anche alle comprensibili mancanze che qualsiasi genitore può dover affrontare (criticità socio-economiche, malattie o decessi, complesse circostanze familiari, violenza di genere in casa). Oltre alla centralità che può assumere la scuola come istituzione, appare altrettanto positivo intravedere la scuola in quanto edificio come luogo di aggregazione sociale, tanto per un percorso rieducativo quanto per uno di tipo negoziale. Infatti, in virtù del bias cognitivo solitamente favorevole che permea l’ambiente scolastico - quasi universalmente ritenuto luogo di aggregazione -, si potrebbe pensare di sfruttare proprio queste mura per intraprendere percorsi di sensibilizzazione anche delle attività private e del terzo settore, al fine di provare a istituire una rete di connessioni umane in grado di rimbalzarsi la responsabilità educativa dei ragazzi senza dover rinunciare al proprio sviluppo né ai propri legittimi interessi privati.

4. Conclusione

All’interno della presente pubblicazione, si è tentato di fare chiarezza sul mondo della criminalità organizzata giovanile in Italia, portando alla luce tanto le dinamiche delinquenziali quanto il retroterra criminogeno. Nell’analizzare i molteplici “perché?” che costellano la galassia di possibili ragioni con il potenziale di condurre sul viatico errato gli adolescenti, si è quindi cercato non solo di comprendere da subito le possibili soluzioni da adottare, bensì anche di far emergere il carattere intrinsecamente comunicativo che la criminalità giovanile porta in sé, poiché - a maggior ragione nel caso dei ragazzi - la devianza sociale corrisponde a uno sfogo dettato dall’incapacità di relazionarsi adeguatamente con la società circostante. Come più volte sottolineato all’interno del testo, riconoscere il bisogno di affermare i propri spazi identitari, espresso da molti adolescenti per mezzo di comportamenti criminali, non corrisponde né a una loro giustificazione, né tantomeno a un’apologia dei suddetti. Piuttosto, serve da punto di partenza per improntare le migliori tattiche di breve periodo e strategie ad ampio respiro in grado di garantire una fuoriuscita tanto rapida quanto efficace dal turbinio di atti delinquenziali e arresti di minorenni che attanagliano l’Italia da molti anni, senza una chiara destinazione positiva in vista.

Altrettanto centrale è ribadire come i possibili approcci presentati - coercitivo, rieducativo e negoziale - non possono né devono essere considerati come sufficienti in solitaria, poiché solo una loro combinazione può realmente favorire il giusto dialogo tra le varie parti coinvolte. L’ascolto dei bisogni identitari di ogni individuo è prerogativa fondamentale dello Stato, motivo per il quale la criminalità dei giovani non può essere semplicemente derubricata a situazione momentanea né tantomeno a fenomeno gestibile attraverso una mano severa. Solo i giusti investimenti nelle corrette aree tematico-disciplinari possono garantire una prospettiva di miglioramento, di per sé non già certificante una situazione non-criminale, ma quantomeno foriera di un futuro diverso per una generazione angustiata dall’incertezza e dalla frenesia.

Bibliografia/Sitografia

Biancardo, A. (2019). Criminalità minorile e baby gang. Analisi giuridica e criminologica del fenomeno della delinquenza minorile organizzata. Cammino Diritto.

Borduin, C.M. et al. (1995). Multisystemic Treatment of Serious Juvenile Offenders: Long-Term Prevention of Criminality and Violence. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 63(4), 569-578.

Decreto-Legge 20 febbraio 2017, n. 14 - Convertito con modificazioni dalla L. 18 aprile 2017, n. 48. Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città.

Ferrer, E.R. (2016). Transformation through accommodation: Reforming juvenile justice by recognizing and responding to trauma. American Criminal Law Review, 53, 549-593.

Koglin, U. et al. (2010). Längerfristige Effekte des JobFit-Trainings für Jugendliche. Zeitschrift für Psychiatrie, Psychologie und Psychotherapie, 58(3), 235-241.

Manuel, C., & Jørgensen, A.-M. K. (2013). Systematic review of youth crime prevention interventions. SFI - Det nationale forskningscenter for velfærd.

Miller, A.L., & Toivonen, T. (2010). To discipline or accommodate? On the rehabilitation of Japanese “problem youth”. The Asia-Pacific Journal: Japan Focus, 7(20), 22-26.

Ministero dell’Interno (2023). Criminalità minorile in Italia 2010-2022. Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Servizio Analisi Criminale.

Omboto, J.O. et al. (2013). Factors influencing youth crime and juvenile delinquency. International Journal of Research in Social Sciences, 1(2), 18-21.

Richards, K. (2011). What makes juvenile offenders different from adult offenders? Trends and Issues in Crime and Criminal Justice, 409, 1-8.

Savona, E.U. et al. (2022). Le Gang Giovanili in Italia. Transcrime Research in Brief - Serie Italia n.3.

White, R. (1997). Public space and youth crime prevention: Institutions & strategies. Paper presented at Australian Institute of Criminology Conference - Juvenile Crime and Juvenile Justice: Toward 2000 and Beyond. Adelaide.

® Riproduzione Riservata

Share the post