"LA MANCANZA DI UNA POLITICA COMUNE E SICUREZZA INTERNAZIONALE EFFETTIVA: UN'ANALISI CRITICA DELL'UNIONE EUROPEA"

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  09 January 2024
  21 minutes, 12 seconds

La Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) è un elemento fondamentale della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PECS) dell’Unione Europea ( UE). La PSDC costituisce il principale quadro politico attraverso il quale gli stati membri possono sviluppare una cultura strategica europea della sicurezza e della difesa. Il suo obiettivo è affrontare congiuntamente conflitti e crisi, proteggere l’Unione e i suoi cittadini, nonché rafforzare la pace e la sicurezza a livello internazionale. (Consiglio Europeo,2023)

Negli ultimi dieci anni, la PSDC ha subito significativi cambiamenti a causa del contesto geopolitico caratterizzato da tensioni. La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, a partire dal 24 febbraio 2022, ha segnato un nuovo inizio geopolitico per l’Europa. Questo evento ha anche fornito un ulteriore impulso verso l’obiettivo di creare un’Unione della difesa nell’UE.

Cronache di insuccessi: Dal 1948 ad oggi, i fallimenti di una mancanza di politica comune e di difesa internazionale.

L’Unione Europea nasce come tentativo di creare un sistema ordinato che eviti la guerra e conflitti sanguinosi. Alla base c’è l’idea di garantire la pace e la stabilità nei rapporti tra gli stati. Nel 1648 la Pace di Vestfalia mise fine ad una lunga serie di guerre di religione combattute in Europa dal 1618 al 1648 e che ha visto coinvolti tutti i paesi europei in un sistema di alleanze, portando alla distruzione di tutto il territorio europeo, soprattutto dell’area centrale : Germania, Repubblica Ceca, parte della Francia e Italia.

Fin dal 1600 grandi teorici della politica iniziano a ragionare su come creare un sistema ordinato che non sia più dominato dall’anarchia. Nel 1700 si inizia a parlare di questa idea di Europa, tutti ragionano sulla creazione di un meccanismo che eviti l’avvento di scontri violenti ma che invece garantisca la convivenza civile ed equilibrata tra gli stati. Nel corso della seconda metà del XVIII secolo, Immanuel Kant delineò la sua visione per una “Pace Perpetua”, concependo l’idea di un’Europa che potesse instaurare un sistema organizzato di stati europei, garantendo la pace in modo duraturo.

Kant suggerì che, dato il carattere anarchico del sistema internazionale, la creazione di una confederazione di stati europei potesse evitare conflitti futuri. L’autonomia degli stati avrebbe inevitabilmente portato a conflitti, mentre una struttura sovranazionale avrebbe invece legato gli stati europei, prevenendo così la guerra reciproca.

L’Europa, sin dai tempi post- bellici della Seconda Guerra Mondiale, è stata connessa all’obiettivo di costruire un ordine europeo. La decisione di istituire la Comunità Europea fu guidata dalla volontà di creare un sistema ordinato e di prevenire la guerra attraverso l’intergrazione tra gli stati europei.

Dal 1945, i principali paesi europei evitarono di entrare in conflitto aperto tra di loro.

Il Manifesto di Ventotene del 1941, redatto da antifascisti al confino, promuove l’idea di una comunità europea basata sul rifiuto di nazionalismo e dittature, in particolare nazismo e fascismo. Gli autori, tra cui Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, si ispirano al liberal socialismo. Il manifesto identifica gli stati nazione come avversari dell’integrazione europea, in quanto esacerbano/inaspriscono il nazionalismo. L’obiettivo dell’Unione Europea è prevenire guerre e conflitti sanguinosi attraverso la creazione degli Stati Uniti d’Europa, un modello federale in cui gli stati membri cedono parte della sovranità per un esercito comune europeo. Tuttavia, la realizzazione pratica di queste idee si è dimostrata complessa. Gli Stati non erano tutti disposti a cedere la propria sovranità, e la mancanza di fiducia reciproca tra le nazioni europee, appena uscite dalla guerra, ostacolava la creazione di una federazione immediata. La fiducia reciproca era fondamentale, ma difficile da raggiungere dopo anni di conflitti. Pertanto, il percorso verso l’integrazione dove gli stati cedono gradualmente la sovranità è stato considerato il modello più realistico per avanzare. Ancora oggi, l’UE procede per gradi, cedendo sovranità gradualmente, secondo l’idea inziale del Manifesto di Ventotene.

Il processo di integrazione europea è stato caratterizzato da una successione di iniziative, ciascuna volta più ambiziosa, che hanno trasformato l’Europa da una regione di conflitto a una di cooperazione e integrazione. Ogni fase ha contribuito a rafforzare le fondamenta dell’UE e a creare un’entità politica ed economica più unità. ( Giuliana Laschi, “Storia dell’integrazione europea, 2016)

L’UNIONE EUROPEA PUÒ VANTARE DI POSSEDERE UNA POLITICA E UNA SICUREZZA INTERNAZIONALE COMUNI E SOLIDI ?

In materia di politica comune e difesa, alla fine della Seconda guerra mondiale, si riproponevano in Europa due problemi dalla cui soluzione dipendeva il ristabilimento di un equilibrio europeo e mondiale: la questione tedesca e quella della sicurezza della Francia. Nel 1948 fu firmato il Trattato di Bruxelles che prevedeva una coalizone di stati europei che si unirono per garantire la reciproca difesa in caso di aggressione esterna. L’obiettivo principale era quello di creare una solida alleanza militare tra i suoi membri, con l’idea di rispondere congiuntamente a minacce alla sicurezza e alla stabilità della regione. Si trattò di un impegno di mutua assistenza in caso di attacco armato contro uno degli Stati firmatari. Questo trattato fu il precursore dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), fondata nel 1949. La NATO estese e sviluppò ulteriormente gli impegni di difesa reciproca, coinvolgendo anche gli Stati Uniti e il Canada nella garanzia di sicurezza per i paesi membri. La NATO è fondata sul principio di difesa collettiva, sancito nell’articolo 5 del suo Trattato. Questo articolo afferma che un attacco contro uno o più membri viene considerato un attacco contro tutti, impegnando gli stati membri a rispondere con forza militare collettiva. Gli stati membri si impegnano a condurre consultazioni regolari sulla politica di sicurezza e gli sviluppi internazionali. Ciò promuove la condivisione di informazioni e la formulazione di una risposta coordinata alle sfide globali. Essa ha condotto diverse operazioni militari, sia all’interno del suo territorio che al di fuori, al fine di preservare la pace e la stabilità. (Parlamento Europeo, 2023)

In seguito al Trattato di Parigi del 1952 è stata proposta e firmata, da 6 paesi fondatori della CECA, la creazione della CED ovvero della Comunità Europea di Difesa. La CED aveva l’obiettivo di integrare le forze armate dei paesi membri per formare una difesa comune europea. L’idea era di superare la concezione di sicurezza basata su alleanze nazionali e creare una struttura di difesa europea unificata. La CED avrebbe dovuto garantire la sicurezza collettiva, prevenire conflitti tra i paesi membri e contribuire a stabilizzare la situazione geopolitica dell’Europa occidentale. Dopo la devastazione della Seconda Guerra Mondiale, gli stati europei cercavano modi innovativi per prevenire futuri conflitti e garantire la pace. La Comunità Europea di Difesa avrebbe coinvolto la Germania occidentale nel sistema di sicurezza europeo, consentendo agli altri paesi di avere un certo controllo sulle forze armate e prevenendo il riemergere di una Germania militarizzata. La CED era considerata un elemento chiave nella creazione di una forza militare europea integrata che avrebbe contribuito alla NATO, l’organizzazione di protezione atlantica. La CED rappresentò il primo esempio fallimentare di un progetto in materia di politica e difesa comune in quanto, rappresentava un tentativo ambizioso di creare una tutela comune tra i paesi membri della Comunità Europea. Tuttavia, il progetto si scontrò con diverse difficoltà e, alla fine, non fu ratificato. Alcune tra le ragioni che fecero fallire la CED furono l’opposizone nazionale soprattutto in Francia dove si temeva che la CED avrebbe minato la sovranità nazionale, trasferendo il controllo delle forze armate a un’autorità sovranazionale europea. A questo si aggiunse una forte diffidenza nei confronti della Germania e una notevole preoccupazione all’idea di integrare le forze armate tedesche in una struttura di difesa comune. La proposta di creare una difesa comune sollevò domande cruciali sulla sovranità nazionale. I paesi membri erano riluttanti a cedere il controllo totale delle loro forze armate a un’autorità centrale europea, evidenziando le difficoltà nel bilanciare l’integrazione con il mantenimento della sovranità. A causa di tutta una serie di sfide, la ratifica della CED si rivelò impossibile, con il Parlamento francese che respinse il Trattato nel 1954. Il fallimento della CED non fermò l’integrazione europea, ma indicò che il cammino verso una difesa comune sarebbe stato complesso e richiedeva una più ampia accettazione e fiducia tra i paesi membri.

Inserita sotto il titolo V del Trattato di Maastricht del 1992 come il “secondo pilastro” dell’Unione Europea, la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) è attualmente regolamentata dagli articoli 23-41, in seguito alle disposizioni generali sull’azione esterna dell’UE presenti negli articoli 21 e 22, dopo la revisione operata dal Trattato di Lisbona del 2007.

Secondo l’articolo 23, la PESC condivide gli stessi principi e può perseguire gli stessi obiettivi generali dell’azione esterna dell’Unione Europea, che riguarda, come indicato dall’Articolo 24, “ tutti i settori della politica estera e tutte le questioni relative alla sicurezza dell’Unione, compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune.” Quest’ultima potrebbe portare a una difesa comune dell’UE, conosciuta come la Politica di Sicurezza e Difesa Comune dell’Unione Europea. (Parlamento Europeo,2023)

Le decisioni relative agli interventi nell’ambito della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) sono vincolanti per gli Stati membri dell’Unione Europea, i quali sono altresì tenuti ad allineare le proprie politiche nazionali alle posizioni adottate dall’Unione. Gli Stati membri devono condurre consultazioni all’interno del Consiglio europeo e del Consiglio dell’Unione su tutte le questioni di politica estera e sicurezza di interesse generale. In particolare, prima di assumere qualsiasi impegno internazionale che possa pregiudicare gli interessi dell’UE, devono consultarsi, come indicato nell’articolo 32.

Gli Stati membri coordinano le proprie azioni nelle organizzazioni internazionali e durante conferenze diplomatiche, difendendo le posizioni dell’UE. Questo coordinamento si estende anche agli Stati membri dell’UE che fanno parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Tuttavia, è importante notare che tali azioni devono essere conformi alle responsabilità degli Stati membri previste dalla Carta delle Nazioni Unite, come specificato nell’articolo 34.

La politica di sicurezza e difesa dell’Unione Europea è influenzata sia dalla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) che dalla Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC), oltre a essere supportata da diverse strategie e strumenti complementari. Tra questi figurano:

  1. Diplomazia che svolge un ruolo centrale nella definizione e nella gestione delle relazioni internazionali, contribuendo a promuovere la pace e la stabilità;
  2. Aiuti umanitari in quanto fornire assistenza umanitaria è un elemento chiave della politica di sicurezza e difesa, affrontando crisi umanitarie e contribuendo alla stabilità nelle regioni colpite.
  3. La cooperazione allo sviluppo : è un mezzo per affrontare le radici dei conflitti. Promovendo lo sviluppo sostenibile e la crescita economica.
  4. Azione per il clima
  5. Diritti umani : la promozione e la difesa dei diritti umani sono parte integrante della politica di sicurezza e difesa, riflettendo l’impegno per valori fondamentali e il rispetto della dignità umana
  6. Sostegno economico
  7. Politica commerciale considerata come un mezzo per promuovere la stabilità economica, la cooperazione e il progresso nelle relazioni internazionali.

L’integrazione di queste diverse dimensioni e strumenti riflette l’approccio olistico dell’UE alla sicurezza e alla difesa, mirando ad affrontare le sfide in modo completo e multidimensionale.

Tra gli anni ’90 e 2000 si verificarono una serie di episodi che evidenziano la mancanza di una politica e sicurezza comune e dove invece vennero fuori le differenze nazionali dovute alle visioni internazionali di ogni paese e alle loro dinamiche interne. Occorre ricordare il bombardamento della Serbia e l’intervento in Kosovo e il lungo e tortuoso processo di digregazione della Jugoslavia.

In entrambi i casi sono sempre gli Stati Uniti a dettare la linea di intervento e gli europei che si trovavano a dover scegliere se andare dalla loro parte o seguire i propri interessi nazionali. In Kosovo gli europei non riuscirono a trovare un’opzione alternativa all’intervento degli Stati Uniti e quindi decidono di sostenerli. L’intervento americano non avvenne sotto la bandiera ONU perché la Russia pose il veto ma il bombardamento della Serbia avvenne per mano della NATO. Questo dimostra quanto gli Stati Uniti hanno il controllo totale sulla politica internazionale.

Per quanto riguarda la dissoluzione della Jugoslavia, inizialmente i paesi europei erano d’accordo sull’evitare la dissoluzione e cercare di mantenere unita la Jusoglavia ma in poco tempo ciascun paese europeo seguì i propri interessi nazionali, in particolar modo, l’Italia continuò a sostenere la Jugoslavia unita in quanto voleva mantenere il rapporto economico privilegiato che aveva instaurato negli anni, mentre la Germania era favorevole alla dissoluzione siccome le avrebbe permesso di addentrarsi nel Balcani. Anche questo episodio culminò con l’intervento degli Stati Uniti che nel 1995 con gli accordi di Dayton decretarono la dissoluzione definitiva della Jugoslavia e la nascita di nuovi stati indipedenti.

Con gli attentati dell’11 settembre 2001 l’Unione Europea va a ruota degli Stati Uniti, ma in questo caso la visione era condivisa e non ci sono forme di contestazione. Anche Russia e Cina offrono il loro supporto agli americani. Gran parte degli europei, esclusa la Gran Bretagna, si pongono come portatori di una cultura di pace. Appoggiano l’attacco ma non partecipano. Gli europei iniziano a sviluppare una politica estera diversa da quella degli Stati Uniti, non vogliono esportare la democrazia con le armi ma l’Unione Europea è una potenza pacifica e culturale e si ritaglia l’immagine di potenza alternativa agli USA senza l’uso delle armi.

La rottura definitiva nel campo della politica estera europea è avvenuto con l’attacco all’Iraq nel 2003 : l’Iraq di Saddam Hussein era una delle potenze che gli americani avevano elencato nella “lista del male” e dove volevano intervenire per eliminare il regime autoritario al governo e introdurne uno democratico. Questo attacco però provocò una rottura netta dentro l’Europa e dentro la NATO in quanto il ministro degli esteri francese dichiara che la Francia è totalmente contraria all’intervento e minaccia di porre un veto all’ONU e la Germania segue la Francia. Siccome però gli Stati Uniti rappresentano una potenza unipolare e hanno alcuni paesi che li seguono, l’attacco all’Iraq avviene lo stesso. (ISPI,2023)

In conclusione si può affermare che tra gli anni ‘90 e gli anni 2000 la forte debolezza politica dell’UE in politica estera è evidente, l’integrazione europea non si è avverata e i motivi sono tutti gli insuccessi registrati negli ultimi anni. Con la dichiarazione di Laeken del 2001 si arriva alla realizzazione della “costituzione europea” che voleva essere un passaggio verso l’integrazione politica ma viene bocciata da Olanda e Francia.

Nel novembre 2016 venne adottata dal Consiglio dell’UE la strategia globale dell’Unione Europea in materia di politica estera e di sicurezza che mira a migliorare l’efficacia in questo settore, anche attraverso la cooperazione rafforzata tra le forze armate degli Stati membri e una migliore gestione delle crisi. La strategia si concentra sullo sviluppo della resilienza, sull’adozione di un approccio integrato ai conflitti e alle crisi e sul rafforzamento dell’autonomia strategica. È integrata dal piano di attuazione in materia di sicurezza e difesa approvato dal Consiglio europeo nel dicembre 2016 e che si concentra su 3 priorità strategiche: la reazione alle crisi e ai conflitti esterni, lo sviluppo delle capacità dei partner e la protezione dell’UE e dei suoi cittadini. Tra le azioni concrete per conseguire questi obiettivi figurano la revisione coordinata annuale sulla difesa (CARD), la cooperazione strutturata permanente (PESCO), una capacità militare di pianificazione e condotta (MPCC) e gli strumenti di risposta rapida dell’UE. (Parlamento Europeo, 2023)

La mancanza di una politica comune e di sicurezza internazionale europea si riflette in modo evidente nei conflitti in Ucraina e Israele, dove le divergenze tra gli Stati membri dell'Unione Europea (UE) hanno complicato la risposta e hanno reso difficile la costruzione di una posizione comune.

Il conflitto tra Russia e Ucraina rappresenta una complessa situazione geopolitica, con profonde implicazioni sulla politica comune e la sicurezza internazionale. Il conflitto ha evidenziato delle sfide nella creazione di una politica e sicurezza internazionale comune tra i paesi europei. Gli stati membri dell’Unione Europea e di altre organizzazioni internazionali spesso hanno interessi geopolitici divergenti o priorità di politica estera che rendono difficile la formulazione di una posizione comune. Alcuni paesi possono avere relazioni bilaterali più complesse con la Russia, mentre altri possono avere un maggiore interesse nell’appoggiare l’Ucraina.

Le organizzazioni internazionali spesso richiedono l’unanimità tra i loro membri per adottare posizioni o azioni significative. Questo può diventare un ostacolo quando alcuni membri sono riluttanti o non sono disposti a condannare o affrontare la Russia in modo deciso. La Russia, come membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha il potere di veto su risoluzioni che potrebbero condannare o imporre sanzioni contro di essa. Ciò ha impedito l’adozione di misure significative a livello globale.

Il conflitto russo-ucraino è complesso, coinvolgendo questioni di sovranità, etnicità e geopolitica. Inoltre, l’Ucraina si trova in una regione di particolare importanza strategica per la Russia, che ha portato ad approcci più cauti da parte di alcuni attori internazionali. Sebbene siano state imposte alcune sanzioni economiche contro la Russia, queste misure spesso non sono riuscite a produrre cambiamenti significativi nel comportamento russo. Inoltre, alcuni paesi hanno mantenuto relazioni economiche importanti con la Russia, riducendo l’efficacia delle sanzioni. L’UE non ha una forza militare comune, e gli stati membri possono decidere autonomamente il loro coinvolgimento. Ciò ha impedito una risposta militare coesa all’aggressione russa in Ucraina. L’UE non ha una posizione comune sulla soluzione del conflitto, il che rende difficile per essa agire come mediatore efficace. (Save the Children, 2023)

Il conflitto inizia nel 2014 con l’annessione della Crimea da parte della Russia e il sostegno a gruppi separatisti nell’est dell’Ucraina. Queste azioni sono state considerate violazioni della sovranità nazionale ucraina e hanno sollevato domande sulla sicurezza delle frontiere europee, portando a una reazione variegata nella comunità internazionale. In risposta all’annessione della Crimea e al sostegno ai ribelli, molti paesi, guidati dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, hanno adottato sanzioni economiche contro la Russia. Queste misure hanno rafforzato l’importanza della politica comune europea nei confronti della sicurezza e hanno evidenziato le divergenze di opinione all’interno dell’UE.

Organizzazioni come l’ONU e l’OSCE hanno cercato di mediare e monitorare la situazione. Tuttavia, la mancanza di consenso internazionale ha impedito l’adozione di misure più decise, e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha visto il veto russo su varie iniziative.

Il conflitto ha rafforzato le tensioni tra la Russia e altri paesi dell’Europa orientale, spingendo alcuni di essi a cercare una maggiore cooperazione e protezione attraverso alleanze come la NATO. Ciò ha avuto un impatto sulla percezione della sicurezza nella regione e ha alimentato la necessità di una politica comune. La dipendenza dell’Europa da fonti energetiche russe ha complicato la risposta dell’UE al conflitto. La politica energetica e la sicurezza sono fortemente intrecciate, e la diversificazione delle fonti energetiche è diventata parte della discussione sulla sicurezza.

Nonostante le sfide, ci sono stati sforzi di mediazione e dialogo, con incontri e trattative a vari livelli. Tuttavia, la mancanza di progressi significativi ha sollevato domande sulla capacità della comunità internazionale di influenzare positivamente la situazione.

Riassumendo, il conflitto russo-ucraino ha dimostrato le complessità e le sfide nel cercare una politica comune e una sicurezza internazionale efficace. La diversità di interessi, i vincoli economici e le tensioni regionali hanno ostacolato la creazione di un approccio unificato alla risoluzione del conflitto e ha reso difficile per la comunità internazionale adottare una risposta unificata e incisiva.

In ultima analisi per quanto riguarda il conflitto tra Israele e Palestina, si tratta si una disputa storica e politica centrata sul controllo del territorio. Le radici risalgono alla creazione di Israele nel 1948, che ha portato alla perdita di territori arabi e allo spostamento di popolazioni. Oggi, la tensione persiste a causa di questioni irrisolte come i confini, lo status di Gerusalemme, i diritti dei rifugiati palestinesi e la sicurezza di Israele. Ciclici episodi di violenza e la mancanza di un accordo di pace perpetuano il conflitto. Dal punto di vista della politica comune e della sicurezza internazionale, presenta molteplici sfide che rendono difficile un approccio unificato a livello globale. La comunità internazionale, inclusa l’Unione Europea, le Nazioni Unite e altri attori globali, ha mostrato una mancanza di coesione nell’affrontare il conflitto. Mentre alcuni paesi hanno sostenuto fermamente Israele, altri hanno condannato le azioni israeliane e sostenuto la causa palestinese. Queste divergenze impediscono la creazione di una politica comune. (Geopop, 2023)

Gli Stati Uniti sono un alleato chiave di Israele e spesso hanno adottato una posizione di sostegno nei confronti dello Stato ebraico. Questa posizione ha influito sulla politica internazionale e ha ostacolato gli sforzi di creare una posizione comune globale. Gli Stati Uniti, infatti, hanno utilizzato il loro diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per bloccare risoluzioni critiche nei confronti di Israele.

Gli sforzi per negoziare una soluzione pacifica al conflitto, come il processo di pace di Oslo, hanno spesso subito interruzioni e non hanno portato a una soluzione definitiva. L’assenza di progressi tangibili ha reso difficile per la comunità internazionale sostenere un approccio unificato. Gli episodi di violenza nel conflitto, specialmente quelli che coinvolgono la striscia di Gaza, hanno sollevato gravi preoccupazioni per le violazioni dei diritti umani e le sfide umanitarie. Questi problemi hanno portato a richieste di intervento internazionale, ma le divergenze di opinioni hanno ostacolato una risposta unitaria.

Alcune organizzazioni regionali, come la Lega Araba, hanno svolto un ruolo nei tentativi di risolvere il conflitto. Tuttavia, anche in questo caso, gli interessi divergenti e le priorità degli Stati membri hanno limitato l’efficacia di un approccio comune.

In sintesi, il conflitto tra Israele e Palestina continua a essere caratterizzato dalla mancanza di una politica comune e di sicurezza internazionale, principalmente a causa delle divergenze di opinione, degli interessi nazionali e delle difficoltà nell’implementare e mantenere soluzioni pacifiche e sostenibili. (Corriere della Sera, 2023)

La mancata politica comune e di sicurezza internazionale nel conflitto Israele e Palestina è il risultato di una serie di fattori complessi e intricati. La comunità internazionale, inclusi gli attori chiave come gli Stati Uniti, l’Unione Europea e le Nazioni Unite, non ha raggiunto un consenso su quale dovrebbe essere la soluzione del conflitto. Diverse proposte, come la soluzione a due stati, una Palestina indipendente accanto a Israele, hanno incontrato resistenze e disaccordi. Il conflitto ha un impatto su una regione con dinamiche geopolitiche complesse. Gli attori regionali, ciascuno con i propri interessi, spesso svolgono un ruolo nel complicare gli sforzi per una politica comune. Ad esempio, l’Iran sostiene i gruppi palestinesi, mentre alcuni stati arabi possono avere relazioni più calde o fredde con Israele.

Gli Stati Uniti hanno tradizionalmente avuto una posizione di forte sostegno ad Israele, compresi sostegni militari e diplomatici. Questo ha influenzato la capacità della comunità internazionale di adottare una politica comune e ha causato percezioni di parzialità.

Le preoccupazioni legate alla sicurezza sono cruciali per entrambe le parti. Gli attacchi terroristici, le minacce alla sicurezza di Israele e le azioni militari a Gaza hanno portato ad approcci divergenti sulla gestione della sicurezza, complicando gli sforzi per una politica comune. Gli sforzi per la pace sono stati costantemente ostacolati da interruzioni delle trattative, attacchi terroristici, nuove colonie e altri eventi che hanno minacciato la fiducia tra le parti. Questa mancanza di progressi ha reso difficile per la comunità internazionale sostenere una politica comune. La complessità religiosa e culturale del conflitto aggiunge un ulteriore livello di difficoltà. Gerusalemme, ad esempio, è un luogo sacro per ebrei, cristiani e musulmani, creando tensioni aggiuntive e suscitando preoccupazioni internazionali.

In definitiva, la mancata politica comune e di sicurezza internazionale riflette la complessità del conflitto Israele- Palestina, con interessi divergenti, approcci strategici differenti e la mancanza di un consenso su soluzioni praticabili.

In conclusione, la carenza di una difesa comune e di sicurezza internazionale efficace nell’Unione Europea emerge come una sfida critica che richede un’attenzione immediata. Il contesto geopolitico instabile sottolinea l’urgenza di un rafforzamento delle capacità di difesa collettiva dell’UE. Gli Stati membri dell’UE devono aumentare gli investimenti nelle capacità di difesa e sicurezza, al fine di sviluppare una forza congiunta in grado di rispondere alle sfide emergenti.

È opportuno rafforzare la coordinazione tra gli stati membri per garantire una risposta uniforme e armonizzata in situazioni di crisi. Questo include la standardizzazione delle procedure operative e la condivisione delle risorse militari. Al tempo stesso potenziare la PSDC per renderla un quadro più efficace e operativo, facilitando la pianificazione strategica e l’implementazione di missioni di sicurezza comuni; intesificare la cooperazione con organizzazioni internazionali come la NATO e le Nazioni Unite per affrontare le minacce globali in modo sinergico. Inoltre, investire in tecnologie avanzate, inclusa la sicurezza cibernatica e l’intelligenza artificiale per migliorare la preparazione e la capacità di risposta alle minacce emergenti e per ultimo coinvolgere attivamente i cittadini europei nell’importanza della difesa comune e della sicurezza internazionale, promuovendo una consapevolezza pubblica che sostenga gli sforzi per rafforzare queste capacità.

Solo attraverso un impegno congiunto e una cooperazione più stretta sarà possibile affrontare le sfide più attuali e quelle future. Un’Unione Europea sicura e resiliente necessita di un approccio integrato e di investimenti sostenuti per garantire la pace, la sicurezza e la stabiltà nel continente.

Bibliografia:

- Giuliana Laschi, " Storia dell'integrazione europea", Le Monnier Università, 2021

- Sito online del Parlamento Europeo, del Consiglio Europeo, Camera dei Deputati

- "Il conflitto russo ucraino", Save the Children, 2023

- Siti online dell'ISPI e Nova Lectio

- Erminio Fonzio, "Le ragioni storiche del conflitto israeliano-palestinese", Geopop, 2023

- Antonio Carioti, "La guerra tra Hamas e Israele", Corriere della Sera, 2023

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