La strategia A2/AD nel concetto strategico cinese

  Focus - Allegati
  02 November 2023
  18 minutes, 36 seconds

Alberto Salvi, Junior Researcher, MI GEO

Introduzione

In un contesto geopolitico costantemente in evoluzione, si può affermare che i meccanismi della competizione internazionale assumono connotati sempre più irregolare e differenziati. Tra i tanti scenari di sfida sullo scacchiere globale, riscuote sempre più popolarità la strategia difensiva “Anti Access/Area Denial” (A2/AD), la quale è già ampiamente applicata da coloro che aspirano a sfidare e a mettere in discussione – sia a livello regionale, che globale – il primato americano. Paesi come Russia e Cina, infatti, possono trarre vantaggio dalla creazione di vere e proprie “bolle” geografiche di superiorità militare, con le quali si cerca di negare l’accesso – o di renderlo quantomeno dispendioso – alle forze nemiche che tentano di penetrare nelle sezioni più interne del territorio.

Questi concetti erano già presenti in forme embrionali nel passato: la realizzazione della Linea Maginot per mano della Francia oppure l’”Atlantikwall”, realizzato dalla Germania Nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, possono essere due esempi validi. Tuttavia, il fallimento di queste due opere di deterrenza ha costretto ad un ripensamento della strategia, sia dal punto di vista del difensore, ma anche dell’attaccante.

Ed è proprio in questa cornice di riflessione che la teorizzazione della strategia A2/AD, figlia di osservazioni empiriche e di ripensamenti strategici, ha condotto a due definizioni principali: Anti Access (A2) fa riferimento alle azioni, possibilità o attività – normalmente a lungo raggio – pianificate per prevenire l’accesso nell’area operativa da parte di una forza nemica; Area Denial (AD) fa riferimento a quelle azioni, possibilità e capacità – normalmente a breve raggio – atte a limitare la libertà d’azione di una forza nemica all’interno dell’area operativa (DoD Dictionary, 2021).

Logicamente, la creazione delle cosiddette bolle difensive, non ha lo scopo ultimo di impedire totalmente la capacità di manovra nemica, bensì di massimizzare il numero di perdite dell’attaccante e rallentare il più possibile l’impeto dell’avanzata nemica. Infatti, come osservato anche da Tangredi, la scelta di questa strategia risponde ad una percezione di capacità inferiore a quelle di un attaccante che si presuppone sia strategicamente superiore (Tangredi, 2019). Affinché tale strategia si trasformi in un successo è tuttavia necessario schierare un’ampia gamma di contromisure tali per cui il difensore possa essere non solo costantemente aggiornato sui movimenti del nemico – quindi attraverso l’utilizzo di risorse Geoint e Sigint -, ma soprattutto impedire tali movimenti anche tramite missili balistici.

Il Joint Operational Access Concept (JOAC) aggiunge – oltre all’utilizzo di satelliti e armamenti – : armi antisatellite cinetiche e non; forze sottomarine e attacchi cibernetici per inibire i sistemi di comando e di comunicazione nemici; forze in grado di condurre azioni di guerra non convenzionale (DoD, 2012). Allo stesso modo, il JOAC delinea altre componenti chiave per quanto riguarda l’Area Denial: sistemi di difesa aerea fissi o mobili per negare la superiorità nello spazio aereo; armamenti per colpire le imbarcazioni nemiche o sottomarini; artiglieria, missili, mortai progettati per colpire bersagli di superfice; utilizzo di armi chimiche, radiologiche, batteriologiche o nucleari; strumenti di guerra elettronica atti a sabotare le comunicazione e il coordinamento delle truppe nemiche; sistemi a guida autonoma, come ad esempio UAVs, per colpire bersagli o raccogliere informazioni (DoD,2012).

L’impetuoso sviluppo delle tecnologie militari nella Repubblica Popolare Cinese e le sue ambizioni geopolitiche hanno quindi costretto gli Stati Uniti a riflettere con urgenza su efficaci modalità di risposta alla poliedrica strategia di A2/AD messa in campo da Pechino, la quale vuole sfruttare la riduzione del gap in termini di potere relativo con Washington: in questa senso, la Cina sta sperimentando nuove frontiere di conflitto asimmetrico per cercare di mettere definitivamente in discussione il primato americano, non solo a livello regionale, ma anche globalmente.

In questo paper si andrà ad analizzare il ruolo della strategia A2AD con specifico riferimento alla Cina. Si procederà ad una disamina dettagliata della strategia A2AD cinese, analizzando i sistemi d’arma principali e il loro raggio d’azione; seguirà poi il contesto geopolitico di riferimento, con un focus sul Mar Cinese Meridionale; infine, si tratterà il tema della territorializzazione del mare.

1 - L’A2/AD nel concetto strategico cinese

Per comprendere in maniera ottimale come si inserisce la strategia A2/AD nel concetto strategico cinese, occorre prima definire quali sono i fini ultimi della politica estera di Pechino. Xi Jinping non ha mai nascosto l’ambizione di restituire alla Cina il suo ruolo di egemone, non solo a livello regionale, ma soprattutto a livello globale. Il primo ostacolo alla realizzazione di tale obbiettivo è proprio la forte presenza statunitense nell’Indo-Pacifico e il suo ruolo da “vigilante” in quei territori. Per riconquistare il ruolo egemonico la Cina si muove in maniera multidimensionale: economicamente, sfruttando la sua impetuosa crescita economica per assicurarsi alleanze e influenza; culturalmente, cercando di ristabilire il primato della “chinese rule” nei territori Hong Kong, Macao e Taiwan; militarmente, attraverso una costante e profonda modernizzazione dei propri apparati militari e dei servizi di sicurezza.

In questo contesto, l’applicazione di un esteso e stratificato sistema A2/AD nel mar meridionale cinese permetterebbe alla Cina di rimodellare quest’area per reclamarne il controllo (Jamison, 2020). Potenzialmente, quindi, si potrebbe sostenere che, sebbene questa strategia abbia un impronta inizialmente difensiva, ossia limitare l’influenza e la capacità di azione/risposta americana nella regione, essa potrebbe tramutarsi in offensiva: ad esempio, potrebbe facilitare il reintegro forzato della “provincia” Taiwan. In questo senso, l’approccio da parte di Pechino viene definito come “pacificamente coercitivo”: infatti si cerca di alterare lo status quo attuale attraverso azioni e misure che non generino immediatamente risposte di tipo militare da parte degli attori locali e degli stessi Stati Uniti (McDevitt, 2014).

La pianificazione geografica della strategia prevede una suddivisione in zone del mar cinese meridionale e delle isole ivi presenti: come suggerito dalla cartina, è possibile individuare uno schema di linee di demarcazione delle diverse zone. Il tema geografico verrà approfondito successivamente nel paper, ma per comprendere le basi del concetto strategico, occorre individuare le tre “Island Chains” di cui viene fatto riferimento: la prima – quella più interna – si articola dall’estremità meridionale del Giappone, includendovi Taiwan e il nord delle Filippine, per poi concludersi in Vietnam; la seconda si origina sempre dall’arcipelago giapponese, ma include Guam, le Filippine e la Nuova Guinea occidentale; infine, si annovera anche una terza “Island Chain” che include il Giappone nella sua interezza e le Hawaii fino alla Nuova Zelanda.


Allo stesso modo, le forze statunitensi potrebbero essere obbligate ad adottare la propria posizione A2/AD, centrata sulle prime due catene insulari, per mantenere la sicurezza della sua rete di alleanze nel Pacifico Occidentale. In altre parole, gli Stati Uniti dovranno spostare la loro strategia di dissuasione e di combattimento dalla rottura del muro anti-access alla creazione di una propria barriera per limitare la proiezione di potere della Cina all'interno delle catene insulari (Tangredi, 2019).

Secondo questa disposizione, i sistemi A2/AD cinesi saranno più concentrati e aggressivi nella prima zona, essendo l’ultima linea di difesa e quindi una zona critica; nella seconda ci si può aspettare una minore aggressività in quanto più distanti dalla linea costiera, ove sono concentrate le principali difese e quindi vi è maggiore esposizione ad un contrattacco nemico, volto principalmente a impedire che le difese cinesi limitino la capacità di manovra dell’attaccante; la terza linea non è ancora particolarmente sviluppata, ma verrà ulteriormente approfondita nei futuri piani strategici di Pechino.

1.1 - Equipaggiamento e Armamenti

Nell’applicazione del proprio concetto strategico, la Cina ha adottato un approccio fortemente integrato tra tutti i reparti delle People’s Liberation Army attraverso una combinazione di missili balistici antinave, missili cruise antinave, missili terra aria (SAM) e sottomarini, aerei da combattimento, imbarcazioni di superficie e bombardieri è possibile creare un sistema di difesa altamente efficace e pericoloso. Nello specifico, il compito di gestione e mantenimento dei missili cinesi è affidato al People’s Liberation Army Rocket Force (PLARF): essa, infatti, non solo gioca un ruolo centrale nel mantenimento della deterrenza cinese, ma soprattutto si occupa di sviluppare nuove metodologie per eludere le contromisure contro i missili balistici e di aggiornare i sistemi missilistici più datati (DIA, 2019).

Qui di seguito verrà proposta un breve, ma esaustivo riepilogo dei principali sistemi d’arma impiegati:

  • Missili Balistici: tra le funzioni principali sviluppate nei programmi di aggiornamento risultano il Multiple Independently-targeted Reentry Vehicles (MIRV) e il Maneuverable Reentry Vehicles (MaRV): il primo consente ai missili balistici di trasportare più testate che possono essere puntate su obbiettivi diversi all’interno della stessa area, mentre il secondo è in grado di garantire una migliore manovra durante il rientro, aumentando la precisione contro obbiettivi statici e permettendo inoltre di evitare l’intercettazione da parte dei sistemi di difesa (MDAA, 2023). Essi possono trasportare testate convenzionali e/o nucleari: il Dongfeng 15 (DF-15), DF-11, DF-16 e il DF-21D possono avere un raggio di impatto che va dai 300 ai 1800 km e in particolare, il DF-21D offre al PLA la capacità di condurre attacchi di precisione a lungo raggio contro le navi, comprese le portaerei, nel Pacifico occidentale dalla Cina continentale (DoD, 2023); il DF-26 può trasportare entrambe le tipologie di testate e potrebbe colpire le posizioni statunitensi a Guam (raggio di 4000 km) (ODIN,2023). Da segnalare inoltre la presenza del DF-17, DH-10, DF-100 (DoD,2023).
  • Missili Cruise: secondo l’ultimo rapporto del US Congressional Research Service, la capacità e produzione cinese di missili cruise si è notevolmente espansa: nello specifico i modelli YJ-12 e YJ-18 possiedono un raggio d’azione fino agli 800 km e presentano all’avversario numerose difficoltà nell’intercettazione, data la loro velocità di crociera (Mach 3); sono inoltre lanciabili da diverse piattaforme, da postazioni terrestri, aeree (bombardiere H-6) e navali (DoD,2023). A destare particolare preoccupazione, come riportato nel report, sono i YJ-18: le postazioni di lancio di quest’ultimi, infatti, possono essere posizionate all’interno di container di navi commerciali (CRS,2023).
  • Sistemi SAM (Surface to Air Missiles): il sistema di difesa aerea integrato (IADS – Integrated Air Defense System) cinese è tra i più avanzati al mondo: esso include sistemi d’arma ed “Early Warning” e di tracciamento (Sophie, 2014). Per proteggere il proprio spazio aereo, vengono impiegati una serie di modelli di SAM come l’HQ-17A, HQ-12, e HQ-22. Questi sistemi variano a seconda della gittata (breve, medio o lunga) e sono progettati per: proteggere risorse fisse come aeroporti, ponti, postazioni di comando ed altri potenziali bersagli di alto valore (HQ-17A); abbattere arei nemici ed elicotteri in qualsiasi condizione atmosferica (HQ-12); oltre a ingaggiare ed abbattere caccia da combattimento di quarta generazione, missili cruise e droni, esso è progettato per resistere a contromisure elettroniche e ad operare in scenari con ampie e numerose interferenze (HQ-22) (CRS,2023). Per potenziare ulteriormente le proprie difese aeree a lungo raggio, la Cina ha importato i SAM russi SA-20 (S-300) e SA-21 (S-400) (DoD,2023).
  • Aeronautica (PLAAF – People’s Liberation Army Air Force): modelli di quarta generazione di caccia da combattimento come il J-10B/C, J-11B e J-16 sono presenti in grande numero, si stima intorno alle 600 unità. Questi modelli sono caratterizzati da un avionica avanzata di guerra elettronica, che include un sistema di disturbo digitale, radar con ricevitori di avvertimento e contromisure adattive; equipaggiano missili aria-aria a lungo raggio (AAM) e “Precision-Guided Munitions” (PGMs) (DoD,2023). Suscita particolare interesse l’uso e l’applicazione degli “Airborne Early Warning and Control Aircraft” (AEW&C): questa categoria di velivoli, come ad esempio il KJ-500 (DoD,2023), sono stati sviluppati con l’obbiettivo di possedere tre caratteristiche fondamentali, ossia buone capacità di individuazione (detection capabilities), ottime capacità di identificazione dei bersagli o delle minacce, e infine una “quick responsiveness” in caso di minaccia. Il KJ-500 è progettato per trasportare tre radar AESA per una copertura a 360 gradi e viene impiegato come forza centrale del sistema di combattimento informatizzato, poiché la sua tecnologia attrezzata presenta quattro caratteristiche principali: il networking, multifunzionalità, alta integrazione e peso leggero. Per i caccia di quinta generazione, il PLAAF ha schierato il nuovo caccia stealth J-20: gli aggiornamenti per il J-20, che possono includere l'aumento possono includere l'aumento dei missili aria-aria (AAM) trasportabili in configurazione "low-observable".
  • Marina militare (PLAN – People’s Liberation Army Navy): con molta probabilità, il vero fattore chiave nella strategia di difesa cinese è rappresentato dall’utilizzo di sottomarini e altre tipologie di battelli di superficie. Un utilizzo sapientemente combinato tra la componente area e una maggiore produzione di unità navali militari potrebbe mettere in seria difficoltà la flotta statunitense presente nella regione: seppure attualmente qualitativamente superiore, i rapporti di forza potrebbero evolversi e andare a vantaggio di Pechino. Attualmente, vengono impiegate tre tipologie di sottomarini: il sottomarino nucleare d'attacco Type 093 (Classe Shang), il sottomarino nucleare missilistico balistico Type 094 (Classe Jin) e una grande flotta di sottomarini d'attacco diesel Type 039 (Classe Song). Inoltre, il cacciatorpediniere lanciamissili Type 055 (Classe Renhai) viene integrato nel sistema strategico A2/AD come piattaforma di lancio per missili cruise: la realizzazione di queste unità prevede una combinazione di armamenti e sensori, suggerendo un ruolo primario nella difesa antiaerea ed antimissile d'area, con capacità di guerra antisommergibile. È previsto, inoltre, che il Type 055 svolga anche operazioni in alto mare come unità singola o parte della scorta dei gruppi portaerei cinesi (DoD, 2023).

Questo enorme dispiegamento di forze e l’elevato potenziale offensivo-difensivo cinese, tuttavia, deve affrontare alcune spinose questioni: in primis, esso ha come principale rivale nella regione gli Stati Uniti, che, per quanto possano aver vacillato in termini di potere relativo, restano comunque saldi nel ruolo di egemone internazionale. Ne segue che, per quanto gli sforzi della Cina siano intensi e mirati a riprendere il controllo nel mar cinese meridionale, Pechino deve sapientemente bilanciare le proprie ambizioni territoriali per evitare uno scontro diretto, per il quale, allo stato attuale, rischierebbe di vanificare, o di compromettere irrimediabilmente, i risultati raggiunti fino ad ora. In secundis, occorre fare una riflessione logistica sull’organizzazione e sull’efficienza dei sistemi d’arma: affinché la pianificazione di strategia preventiva cinese possa rilevarsi efficace anche nelle “Island Chains” più distanti dal proprio territorio, è necessario per Pechino avere a disposizione delle basi, o comunque dei supporti territoriali, in zone più distanti dalla prima linea di difesa. Questo spinge ulteriormente la Cina a reclamare numerose isole del Mar Cinese Meridionale affinché possano essere creati degli avamposti con i quali si possano fornire non solo punti d’appoggio per la flotta aerea e navale, ma anche centri di intelligence che possano portare ad un identificazione sempre più precisa riguardo il posizionamento della flotta statunitense.

2 – TERRITORIALIZZAZIONE DEL MARE CINESE MERIDIONALE

Come già in parte accennato precedentemente, il Mar Cinese Meridionale rappresenta la principale frontiera marittima e luogo di competizione strategica-commerciale tra Pechino, attori locali di minore peso politico internazionale e gli Stati Uniti. Secondo il Politburo e osservando attentamente i discorsi del leader Xi Jinping, la securitizzazione delle isole e dell’intero Mar Cinese Meridionale è tra i “core interests” della politica estera di Pechino. I principali interessi cinesi da tutelare nella regione sono quattro (CNA, 2014):

  • La protezione del proprio territorio e del suo centro economico di gravità da attacchi marittimi.
  • Si vuole garantire che, quando le sue materie prime marittime si avvicinano ai suoi porti dal sud o dalla regione dell'Oceano Indiano, non possano essere interdette.
  • Le sue esportazioni marittime possano passare indisturbate attraverso il Mar Cinese Meridionale verso l'Asia Meridionale, l'Africa e l'Europa.
  • La Cina è attratta dalla scintillante prospettiva economico-strategica di ridurre notevolmente la sua dipendenza dal petrolio e dal gas naturale che deve attraversare due strozzature problematiche (Stretti di Hormuz e Malacca) rivendicando e sfruttando le risorse di idrocarburi (reale e potenziali) del Mar Cinese Meridionale.

Questo corollario di obbiettivi porta, inevitabilmente, Pechino a tanti “bracci di ferro” territoriali con le potenze regionali. La “Nine-Dash Line” è una delle tante controverse rivendicazioni territoriali cinesi: fa riferimento a una linea per identificare le isole nel Mar Cinese Meridionale dove Pechino esercita sovranità territoriale; le zone marittime governate dalla United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS) (ad esempio, zone economiche esclusive); le acque dove la Cina pretende di esercitare dei diritti storici esclusivi (Caruana, 2023).

Tra i principali atolli contesti, si annoverano scontri e tensioni circa le Paracel Islands nel mar cinese meridionale tra la Cina e il Vietnam, ma anche riguardo le Spartly Islands reclamate e occupate da Cina, Taiwan, Vietnam, Malesia e Filippine (Rosales, 2019). Sebbene la Cina risulti firmataria della United Convention on Law of the Sea (UNCLOS), Pechino non ha mai mostrato alcuna volontà di applicare e/o rispettare le norme della convenzione, preferendo perseguire i propri diritti di sovranità nel Mar cinese meridionale, orientandosi sulla base delle proprie storiche richieste e necessità strategiche.

2.1 – L’Approccio Integrato della Strategia A2/AD con il Contesto Geografico Locale

La territorializzazione del mare e il lento, ma costante tentativo di erosione di sovranità da parte delle autorità cinesi nella regione, sono fattori che non possono essere interpretati distintamente. L’approccio, in questo contesto, porta inevitabilmente Pechino a muoversi su più livelli di competizione (economico, militare, politico e diplomatico), con un grado di flessibilità molto alto: in questo senso, è possibile osservare un trend che mostra come la Cina sia disposta ad assumersi un grado di ostilità persistente con gli altri attori regionali locali al fine di perseguire i propri obbiettivi chiave strategici, volti a rafforzare ulteriormente la sua posizione globale.

L’aspetto che probabilmente colpisce maggiormente del concetto strategico cinese è la costruzione di isole artificiali, sulle quali sviluppare e insediare installazioni militari e/o di raccolta informazioni. A partire dal dicembre 2013, la Cina ha iniziato a dragare sabbia e ghiaia nelle isole Paracel e Spratly, alterando significativamente la conformazione del territorio: infatti, sebbene non sia la prima volta che si assiste a questo genere di fenomeno, ciò che impressiona maggiormente è la portata di queste operazioni, che permette di fatto la realizzazione di piste di atterraggio in grado di ospitare grandi velivoli da trasporto, così come le principali installazioni militari funzionali al progetto A2/AD (Sacks, 2022). Nelle isole Spratly, la Cina occupa sette siti, ma il focus è stato rivolto a tre luoghi in particolare – Fiery Cross Reef, Subi Reef e Mischief Reef – i quali sono caratterizzati da lunghe piste di atterraggio e un’elevata presenza di strutture ed edifici, presumibilmente di tipo militare (CRS,2023). La seguente cartina fornisce una panoramica delle installazioni nelle varie isole artificiali e non sotto il controllo cinese: si noti, come la copertura dello spazio aereo e marittimo del Mar Cinese Meridionale sia pressoché totale.

CONCLUSIONI

Alla luce di quanto analizzato, si può affermare che il concetto strategico A2/AD nel caso cinese rappresenti probabilmente una delle sfide più grandi poste all’attuale egemone internazionale, gli Stati Uniti. Nonostante Washington conservi ancora un vantaggio nei confronti della Cina, l’immensa crescita economica e militare di quest’ultima potrebbero andare a ridefinire in maniera radicale gli equilibri di forza non solo nel Mar Cinese Meridionale, ma anche a livello globale. La posta in gioco è altissima. Da una parte, la Cina non può permettersi uno scontro diretto, per due ragioni principali: ancora è conscia della superiorità militare americana nella regione e pertanto i sistemi d’arma cinesi necessitano ancora di ulteriori stadi di sviluppo, per accorciare il più possibile il gap; dall’altra, un ipotetico scontro, che esso si concluda con una vittoria o con una sconfitta, metterebbe seriamente a repentaglio la sua immagine a livello internazionale e genererebbe un rallentamento nella realizzazione dei propri progetti economico-diplomatici a livello globale.

La crescente sofisticazione delle capacità A2/AD, evidenziata da una combinazione di tecnologie avanzate, strategie e costanti investimenti richiede una risposta ponderata e multidimensionale da parte della comunità internazionale, al fine di evitare che la situazione presenti si inasprisca nel futuro prossimo. È essenziale, tuttavia, notare che oltre agli investimenti militari, per contrastare efficacemente questa strategia, è di vitale importanza rafforzare le alleanze e i rapporti strategici nella regione, promuovendo comunque il dialogo e la trasparenza: lo scontro non è un destino inevitabile.

Per queste ragioni, allo stato attuale, la strategia A2/AD è un ottimo deterrente nei confronti degli Stati Uniti e un banco di prova importante, dove Pechino può testare le proprie abilità nell’ottica di una riconquista definitiva di quelle regioni, da tempo reclamate come proprie, attraverso uno scontro diretto oppure esercitando una sempre maggiore pressione.

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