L'export del grano ucraino: tra tensioni geopolitiche e risvolti commerciali

  Focus - Allegati
  21 December 2023
  14 minutes, 49 seconds

Abstract

La presente ricerca indaga le tensioni geopolitiche e le implicazioni commerciali derivanti dalla controversia sul grano ucraino. Partendo dalle dichiarazioni di Zelensky all'Assemblea delle Nazioni Unite e riavvolgendo il filo fino all'inizio della Guerra d'Ucraina, la crisi del grano viene affrontata dal punto di vista politico, militare e soprattutto economico. Verranno esaminati i tratti rilevanti dell'Iniziativa sui cereali del Mar Nero, ponendo l'attenzione circa le motivazioni del ritiro unilaterale russo. Infine, il lettore viene invitato a una riflessione riguardo le limitazioni strumentali dell'Unione Europea, non-soggetto geopolitico che ancora una volta si dimostra incapace di far valere la propria voce in campo internazionale.

  1. Introduzione
  2. La fine del supporto militare a Kiev?
  3. L’iniziativa sui cereali del Mar Nero
  4. Le motivazioni del Cremlino
  5. Gli effetti sui prezzi dei beni agricoli
  6. Le tensioni e la distensione: la vittoria del fronte dell’Est

Alle porte del rigido inverno sarmatico, con l’offensiva ucraina che non ha generato i risultati sperati e le elezioni americane ed ucraine all’orizzonte, si mostrano sempre più evidenti le crepe esistenti tra i sostenitori di Kiev e i limiti ad una solidarietà perpetua, da parte occidentale, nei confronti del popolo ucraino. A riprova di ciò, avevano creato un discreto scalpore le dichiarazioni di Zelensky in occasione della 78esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il presidente ucraino, nella sua classica tenuta verde militare, aveva espresso il suo disappunto nei confronti di alcuni alleati europei, arrivando ad affermare che: «É allarmante vedere come alcuni in Europa, alcuni dei nostri amici in Europa, recitano la solidarietà in un teatro politico, creando un thriller del grano (Il domani d’Italia, 2023)». Allusioni che sono piaciute gran poco alla classe dirigente polacca, dall’inizio dell’invasione in prima linea nella fornitura di armi (soprattutto carri armati di origine sovietica, circa 300), che nella persona di Andrej Duda ha affermato come: «Una persona che sta annegando è estremamente pericolosa, si aggrappa a qualsiasi cosa ed è capace di trascinare negli abissi anche il suo soccorritore (Financial Times, 2023)». Il presidente polacco ha poi rincarato la dose riaffermando il diritto della Polonia a difendersi dai danni che gli vengono arrecati. Ma di quali danni stiamo parlando? E come è possibile che l’alleato più oltranzista nel sostegno incondizionato a Kiev sia arrivato ad attaccare il governo Zelensky?

La questione è molto più profonda di quello che potrebbe sembrare ed abbraccia aspetti puramente politici – ci si stava avvicinando alle elezioni parlamentari polacche –, militari e commerciali. Dal punto di vista militare, a fare eco alle parole di Duda ci ha pensato il primo ministro polacco Morawiecki, apparentemente asserendo come la Polonia avrebbe smesso di inviare armi all’Ucraina per dare priorità alla propria difesa (Il domani d’Italia, 2023). Ora, per ragioni di sintesi non entreremo nel merito della complessa questione dell’approvvigionamento bellico di Kiev. Per comprendere le dichiarazioni di Morawiecki è tuttavia necessario precisare come, dallo scoppio delle ostilità, tutti i paesi – tra cui la Polonia – che si sono affrettati a fornire a titolo gratuito armi e mezzi di origine sovietica all’Ucraina, l’hanno fatto certamente in ottica anti-russa per impedire l’avanzata di Mosca nel cuore dell’Europa, ma anche per sbarazzarsi di mezzi obsoleti inadatti alle tattiche della guerra moderna (sostituendoli con mezzi più sofisticati ed adoperabili all’interno delle dottrine NATO).

Insomma, i proclami di cui sopra si inseriscono pienamente in una strategia di ammodernamento del dispositivo bellico polacco. Nonostante le dichiarazioni, e sebbene Varsavia non abbia pensato nemmeno per un secondo di rifornire l’esercito ucraino con i mezzi di recente acquisizione – tra cui spiccano i K2 coreani, gli M1 Abrams o i caccia F-35 –, il sostegno militare verso Kiev non sarebbe stato messo in discussione. Al contrario di quanto sostenuto dai media nostrani, che per giorni hanno propugnato la rottura delle relazioni tra Polonia e Ucraina, il sostegno polacco alla causa ucraina si sarebbe semplicemente riassestato verso un apporto in termini di munizioni, armi leggere ed addestramento presso l’hub logistico di Rzeswow (Zasada, 2023).

Il pomo della discordia delle diatribe commerciali che hanno coinvolto i paesi dell’est europeo e l Kiev, come anticipato dalle parole di Zelensky a cui si è accennato nelle prime righe, risiede nella spinosa questione dell’export del grano. Le frustrazioni del presidente ucraino nei confronti di Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria originavano infatti dalle pressioni, operate dai governi dei paesi sopracitati, nei confronti di Bruxelles affinché gli fosse concesso di continuare a vietare la vendita, sul proprio territorio nazionale, di una serie di prodotti cerealicoli provenienti dall’Ucraina.

La controversia del grano germoglia dalle prime fasi della Guerra d’Ucraina. L’offensiva lanciata da Mosca il 24 Febbraio 2022 ha avuto come conseguenza la chiusura dei principali porti del Mar Nero (Chornomorsk, Yuzhny/Pivdennyi e Odessa) e, con essi, le rotte marittime passanti per gli stretti turchi. È bene sapere che prima dello scoppio del conflitto Russia e Ucraina da sole soddisfacevano il 70% della domanda mondiale di cereali (Unione Europea, 2023). Da quel momento e per circa quattro mesi la flotta da guerra russa ha impedito la libera navigazione delle navi mercantili nel Mar Nero, colpendo la cuore le vitali esportazioni cerealicole ucraine e creando i presupposti per una crisi umanitaria globale.

Su iniziativa mediatrice turca all’interno del quadro istituzionale delle Nazioni Unite, Mosca e Kiev hanno raggiunto un accordo nel luglio 2022 – l’iniziativa sui cereali del Mar Nero, rimasta in essere per 12 mesi – tramite il quale la Russia avrebbe concesso le esportazioni di grano attraverso un corridoio umanitario marittimo. L’intesa tra le parti ha garantito per un anno uno “scudo di sicurezza” sia per i cargo mercantili ucraini che alle navi da guerra russa stanziate nella base navale di Sebastopoli, in Crimea.

Nel luglio 2023 Mosca ha tuttavia deciso di ritirarsi unilateralmente dall’accordo. Il corridoio securitario nel Mar Nero occidentale, che durante la sua attuazione ha garantito il passaggio di oltre mille navi cariche di beni alimentari (cerealicoli in percentuale maggioritaria) verso paesi a basso reddito – che proprio da queste esportazioni dipendevano per la propria sicurezza alimentare – cessava dunque di esistere. Con esso, terminavano le garanzie di sicurezza per la navigazione commerciale e militare, nonché le attività del Centro di coordinamento congiunto a Istanbul, istituito per vigilare sull’ottemperanza degli accordi.

Tra le motivazioni che hanno spinto Mosca a porre fine all’Iniziativa del Mar Nero, che nel frattempo era tornato ad essere una zona di guerra in piena regola, vi era la volontà da parte russa di rinegoziare delle condizioni migliori. L’accordo iniziale prevedeva, oltre che i salvacondotti per le navi da guerra russe (martoriate nei primi mesi da guerra dalla missilistica ucraina), la possibilità di esportare beni alimentari e fertilizzanti senza che questi entrassero nel regime sanzionatorio previsto da Unione Europea e anglosfera. Evidentemente non soddisfatta dal compromesso raggiunto, la Russia ha iniziato a pretendere l’esclusione dell’ammoniaca dalle sanzioni occidentali e, soprattutto, la reintegrazione della sua banca agricola, la Rosselkhzobanck, al sistema di pagamenti internazionali SWIFT.

Inoltre, nel corso dell’attuazione dell’iniziativa il 65% circa delle esportazioni cerealicole avrebbero raggiunto i paesi in via di sviluppo, di cui sette con seri problemi di sicurezza alimentare, come Bangladesh, Egitto, Indonesia, Kenya, Etiopia, Yemen e Tunisia (Unione Europea, 2023). All’interno del regime securitario previsto dagli accordi, anche il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite ha aumentato notevolmente il suo approvvigionamento di grano ucraino, destinando circa 725.000 tonnellate – oltre che ai paesi sopracitati – verso Afghanistan, Sudan, Somalia e Gibuti (United Nations, 2023). Risulta evidente come la destabilizzazione che sarebbe derivata dalla mancanza di approvvigionamenti alimentari su scala globale fosse, per Mosca, un’importante carta da giocare al tavolo delle trattative. Non solo, tra le accuse – infondate – che la Russia ha rivolto all’Occidente prima di abbandonare definitivamente l’accordo, vi era quella secondo cui le esportazioni cerealicole non venissero destinate ai paesi del fu Terzo Mondo – oggi comunemente riconosciuti come “paesi in via di sviluppo” – bensì rimanessero sul suolo europeo.

Sul piano narrativo, Mosca ha utilizzato la paventata crisi alimentare di mezzo mondo per ottenere una revisione delle condizioni dell’Iniziativa del Mar Nero, dipingendo l’Occidente come inottemperante agli accordi ed ergendo la Russia a paladina di quel Sud globale da anni sempre più inviso al mondo occidentale a trazione americana, colpevole secondo questa retorica di non voler accordarsi con Mosca riguardo l’export dei cereali e responsabile quindi di affamare i paesi più poveri. Col fine ultimo di rimpolpare le file di quel fronte anti-occidentale capitanato proprio da Russia e Cina che ha come scopo dichiarato la transizione multipolare e la de-dollarizzazione del mondo.

Non esattamente la prima volta che l’élite dirigenziale russa utilizza la vita di milioni di persone per ottenere i suoi scopi strategici – l’Holodomor riecheggia ancora nella memoria collettiva ucraina –, ciò che risulta dirimente questa ricerca è che, a partire dal 18 luglio 2023, circa 33 milioni di tonnellate di prodotti agricoli, non potendo più essere esportati via mare, avrebbero dovuto essere trasportati via terra in maniera più lenta e decisamente più onerosa (Unione Europea, 2023).

Il generale aumento dei prezzi cerealicoli a cui abbiamo assistito in questi mesi ha condizionato la sicurezza alimentare dei paesi a basso reddito come le economie più sviluppate, visto che nel solo 2022 circa 2,1 milioni di tonnellate di prodotti agricoli ucraina sono arrivati proprio in Italia (dei quali, 21% grano). Secondo un’indagine di Coldiretti basata su dati ISTAT, solo nel primo bimestre del 2023 le importazioni di grano proveniente dall’Ucraina in Italia sono aumentate del 318%, per un quantitativo pari a 90mila tonnellate (Coldiretti, 2023). Ma l’Italia non è l’unica grande economia di trasformazione colpita dalla mancata proroga dell’accordo sul grano, con Spagna (2,3 milioni di tonnellate di grano importate annualmente) e Turchia (1,5 milioni di tonnellate) pesantemente danneggiate sul piano dell’approvvigionamento agricolo (Unione Europea, 2023). A partire da luglio 2023 dunque le difficoltà incontrate dagli importatori europei nel rifornirsi dei cereali ucraini hanno causato inizialmente un nuovo aumento dei prezzi dei beni agricoli, solo parzialmente attenuato dall’istituzione di corridoi di solidarietà comunitari.

Infatti, se l’iniziativa sui cereali del Mar Nero aveva in qualche modo controbilanciato la spinta inflativa dei prodotti alimentari sui mercati mondiali in seguito al lancio dell’Operazione Speciale, il mancato raggiungimento di un nuovo accordo ha portato a un nuovo aumento dei prezzi, in particolare dei cereali e suoi derivati. Ma cosa si intende con ritracciamento delle rotte commerciali e cosa sono i corridoi di solidarietà istituiti dall’Unione Europea?

Ebbene, la chiusura mercantile del Mar Nero ha eletto i paesi dell’Europa orientale a snodi di transito fondamentali per i prodotti ucraini. Non solo, per compensare l’aumento improvviso dei prezzi, in via preferenziale Bruxelles avrebbe concesso all’Ucraina di esportare il grano senza che vi fossero imposti i dazi previsti dalla Politica Agricola Comune. Infine, con l’obiettivo di salvaguardare il settore primario dei paesi di transito – a rischio collasso visto l’enorme afflusso prodotti ucraini più economici (non solo grano, anche mais, colza e semi di girasole) sul territorio nazionale –, la Commissione Europea ha attuato delle restrizioni specifiche per cinque paesi considerati di transito, ovvero Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Slovacchia. Queste misure assicuravano il passaggio dei prodotti agricoli ucraini sul territorio nazionale, senza che ne fosse concessa la vendita, in modo da proteggere gli agricoltori autoctoni già fortemente danneggiati dall’aumento dei prezzi dei fertilizzanti.

Il casus belli della controversia risale al mese di settembre 2023, quando Bruxelles ha annunciato il termine della risoluzione in quanto «le distorsioni del mercato nei cinque stati membri confinanti con l’Ucraina sono scomparse (Ispi, 2023)», suscitando la ferma opposizione di Polonia, Ungheria e Slovacchia – denunciate tra l’altro formalmente dall’Ucraina nel consesso internazionale del WTO – e generando una spirale di tensione che ha portato alle scottanti dichiarazioni di Duda e Morawiecky, in risposta a Zelensky, alle quali si accennava nell’incipit del paper.

Le richieste dei governi dei paesi di transito appaiono tuttavia legittime, trattandosi in primo luogo di una proroga delle misure eccezionali concesse finora almeno fino alla fine del 2023, come anche dell’apertura dell’elenco dei prodotti interessati a restrizioni che avesse potuto includere anche merci diverse dai cereali e dai semi oleosi. Infine, un sostegno economico e finanziario più deciso da parte dell’Unione. Ciò nondimeno, in mancanza di un accordo formale, Polonia, Ungheria e Slovacchia si sono mosse unilateralmente continuando a impedire la vendita del grano ucraino sul territorio nazionale, non conformandosi dunque alle direttive di Bruxelles. Nonostante non si trattasse della prima volta in cui Varsavia si mostra sofferente nel seguire i dettami comunitari, importanti segnali di distensione sono arrivati praticamente nell’immediato, delineando un’importante vittoria diplomatica per quella New Europe sempre più oggetto di interesse strategico da parte del patron d’Oltreoceano.

Dopo neanche una settimana di negoziati, il 24 Settembre Varsavia ha annunciato di aver preparato i corridoi di transito attraverso i quali l’Ucraina – in cambio del ritiro della denuncia al WTO – avrebbe potuto continuare ad esportare i suoi cereali verso i paesi dell’Europa occidentale, mantenendo tuttavia il divieto di vendita sul mercato domestico (Ansa, 2023). Anche la Slovacchia ha subito ottenuto delle condizioni simili, istituendo un sistema di licenze che avrebbe dovuto garantire la vendita di quattro prodotti ucraini (Liboreiro, 2023). Tralasciando i dettagli dei singoli accordi, il chiaro segnale di disunità lanciato dall’Unione Europea è eclatante e lascia spazio ad importanti considerazioni.

Conclusioni

L’analisi delle recenti tensioni commerciali, politiche e militari tra i paesi del Gruppo di Visegrad e l’Ucraina evidenzia una profonda disomogeneità di interessi all’interno dell’Unione Europea in materia di gestione delle questioni cosiddette strategiche. L’incapacità d’agire nell’anarchica arena delle relazioni internazionali, nonché l’impalpabilità diplomatica in questioni cruciali come la gestione delle crisi – leggasi tema dell’immigrazione, approvvigionamento comunitario del gas e, naturalmente sostegno militare a Kiev – si presentano come drammatica conseguenza della struttura istituzionale stessa dell’Unione, trattandosi di un sistema confederale di stati sovrani, ognuno con un proprio diritto di veto.

È inevitabile, infatti, che sui tre macro-temi strategici di cui sopra gli interessi, le paure e i desideri di, ad esempio, portoghesi e lituani siano diversi e a volte persino contrastanti. La stessa percezione di un evento potrebbe variare molto tra Lisbona e Vilnius, e ciò si traduce in scelte strategiche precise ponderate sulla base dell’interesse nazionale, non comunitario. Tuttavia, le limitazioni imposte dalla struttura attuale non possono essere considerate superabili mediante normali accordi stipulati tra stati. Per sua stessa definizione, un soggetto geopolitico nasce quando una collettività con una forte idea di sé prende l’avvento su di un’altra e la assimila, cioè la rende niente di diverso da sé stessa, omogeneizzandone la cultura, lo stile di vita, la visione del mondo e gli interessi strategici.

La storia ci insegna che gli stati nascono dalla violenza. Il consolidamento dell’identità ucraina e la consegna del popolo di Kiev al novero delle collettività con una precisa e diffusa idea di sé dopo il lancio dell’invasione russa ne sono la testimonianza odierna. È chiaro, dunque, come non sia sufficiente che gli stati comunitari si riuniscano e allegramente “cedano” un po’ della loro sovranità per un fine comune più alto. Il fallimento della Comunità Europea di Difesa del 1954, nonché le divergenze stesse tra le correnti federaliste – hamiltoniana e integralista – europee della prima metà del Novecento testimoniano come la questione della forma istituzionale dell’odierna Unione Europea sia presente fin dalle sue origini. Le intenzioni discordanti tra gli stessi stati fondatori della prima Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio riguardo il grado di integrazione tra gli stati membri hanno contribuito a forgiare un’Unione Europea che, al momento, manca di una visione chiara e condivisa nei momenti critici della sua esistenza.

Nel Manifesto di Ventotene Altiero Spinelli sottolineava come nel nuovo contesto storico di crisi dello stato-nazione, occorso in seguito al suicidio geopolitico europeo della Seconda Guerra Mondiale, vi erano le condizioni per la realizzazione di una Federazione Europea unita contro le forze reazionarie degli stati nazionali. Oggi, in un mondo molto diverso rispetto a quello di Spinelli, l’imperitura necessità di un’autonomia strategica europea resta la stessa, pena il rimanere schiacciati tra le sfere di influenza dei due poli che vanno formandosi nella nuova Guerra Fredda del XXI secolo, ovvero Washington e Pechino, con Mosca come ago della bilancia della contesa. Solo attraverso una Federazione Europea, in cui l’autorità centrale prevalga sul diritto di veto dei singoli stati membri, potrebbe emergere un soggetto geopolitico con la coesione necessaria per affrontare le sfide globali con relativa autonomia strategica.

Gli Stati Uniti per fare la federazione ci hanno combattuto quattro anni di guerra fratricida. Speriamo per le future generazioni di non dover seguire lo stesso percorso evolutivo, per far sì che nel continente da dove le guerre sono sempre partite, non si combattano più guerre.

Bibliografia

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