L’utilizzo del soft power nella politica estera del Qatar

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  15 June 2023
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L’utilizzo del soft power nella politica estera del Qatar

Introduzione

Incastonato in una regione fortemente instabile e accerchiato da due grandi potenze regionali come Iran e Arabia Saudita, il Qatar ha dovuto concentrare le sue grandi risorse economiche in una valida strategia di politica estera per garantire la propria sopravvivenza e guadagnare influenza. Vista la sua piccola popolazione e la sua scarsa capacità industriale, i leader qatarioti hanno accumulato potere tramite l’attività diplomatica, tramite ingenti investimenti commerciali e industriali e tramite altre attività tipiche del soft power. Kamrava, per descrivere la politica estera del Qatar, ha coniato il termine subtle power, il quale identifica la combinazione di sicurezza militare offerta dagli Stati Uniti, la grande ricchezza economica che permette di generare ingenti investimenti e la percezione del Qatar come Stato dinamico e amico di tutti (Kamrava, 2013).

A cura di Cristiano Greco, Senior Researcher, Area Difesa&Sicurezza G.E.O.

Per comprendere le scelte politiche del Qatar è necessario analizzare quali sono gli obiettivi che vuole raggiungere. Sicuramente, il piccolo emirato ha intenzione di creare un’economia forte e resiliente attraverso investimenti in infrastrutture ed educazione e attraverso la creazione di un ambiente sostenibile. Queste strategie dovrebbero far diventare il Qatar una destinazione popolare per il turismo internazionale e per l’economia mondiale in modo da sopravvivere anche all’inevitabile esaurimento delle riserve di gas e petrolio che gli hanno permesso di ottenere rilevanza sullo scenario globale. Allo stesso tempo, queste hanno già reso l’emirato un attore di grande importanza nell’ambito delle relazioni internazionali, contraddicendo le teorie tipiche della scuola realista secondo cui i piccoli Stati non avrebbero la possibilità e la forza di giocare un ruolo chiave sulla scena mondiale.

Cos’è il soft power?

Il concetto di soft power è stato coniato dal professore statunitense Joseph Nye nel 1990 all’interno del libro Bound to lead: the changing nature of American power. L’introduzione di questo concetto all’interno del campo delle relazioni internazionali ha dato vita a diversi cambiamenti nei discorsi accademici sul potere. Il soft power va necessariamente differenziato dall’hard power, il quale utilizza le capacità economiche e militari di un Paese per controllare e influenzare i comportamenti di altri Stati sulla scena internazionale. Nye sostiene che, dal momento in cui il mondo è caratterizzato da una crescente interdipendenza, gli Stati sono obbligati ad adattarsi alle limitazioni del potere militare e non possono sottovalutare l’importanza del soft power. A tal proposito, secondo l’accademico, fattori come la geografia e la popolazione stanno diventando sempre meno centrali nella valutazione del potere di una nazione a discapito di altri elementi come la cultura, le istituzioni, l’educazione, lo sport e l’ideologia (Nye, 1990).

Tra il 1990 e il 2004, la descrizione di soft power dell’autore ha subito lievi cambiamenti, giacché nel libro Soft power: the means to success in world politics, l’autore lo descrive come un potere indiretto che permette di plasmare le preferenze degli altri, di ottenere i risultati desiderati e di aumentare l’appetibilità di uno Stato. Si tratta, essenzialmente, della capacità di ottenere ciò che si desidera tramite l’attrazione piuttosto che la coercizione (Nye, 2004).

Nye, inoltre, conia anche un ulteriore concetto, ossia quello di smart power, per indicare l’abilità di combinare strategie di hard power e soft power.

Lo Stato che decide di utilizzare il soft power sfrutta strumenti come la diplomazia pubblica, la diplomazia multilaterale e le strategie di nation branding per soddisfare i propri interessi e ottenere obiettivi. Attraverso la diplomazia pubblica si intende esercitare influenza creando legami resilienti e positivi, che le altre parti considerano di valore e quindi attrattive (Brannagan e Giulianotti, 2018). Può anche essere definita come uno strumento di comunicazione diretta con cittadini stranieri finalizzato ad influenzare le loro opinioni e, infine, quelle dei loro governi su materie molto rilevanti (Al-Muftah, 2019). Per quanto riguarda il nation branding¸ Fan lo descrive come l’applicazione di strategie di marketing per promuovere l’immagine di uno Stato (Fan, 2006).

Allo stesso tempo, Nye identifica tre risorse necessarie per aumentare l’attrattività del Paese, ossia i valori, la cultura e la politica estera (Nye, 2004).

Mostrare al mondo che si possiedono valori positivi tramite azioni reali, quali il supporto della pace e il rispetto dei diritti umani, causerà probabilmente un maggior livello di appetibilità a livello internazionale.

Poi si passa alla cultura, intesa come l’insieme di tradizioni, costumi e idee che caratterizzano una società. Questa può risultare attraente quando si apre al mondo tramite scambi commerciali, il turismo o l’educazione internazionale. Nel caso del Qatar, è importante mostrare una cultura più liberalizzata ed evitare che sulla scena globale perista la classica percezione di uno Stato arabo conservatore e poco interessato al rispetto dei diritti delle donne e dei diritti umani.

Anche la politica estera sostenuta da uno Stato e, di conseguenza, le relazioni che questo riesce a instaurare con gli altri Paesi risultano indispensabili per aumentarne l’attrattività. Infatti, se tali politiche concordano con gli standard e le norme della comunità internazionale, lo Stato verrà percepito come affidabile e non verrà escluso dalle attività multilaterali.

La strategia di politica estera del Qatar

Nonostante la collocazione geografica sfavorevole e la sua piccola popolazione, il Qatar risulta essere uno dei Paesi più stabili al mondo, soprattutto grazie al suo sapiente utilizzo del soft power. Questa stabilità deriva anche dalla forte alleanza militare con gli Stati Uniti e dall’ efficiente redistribuzione della ricchezza all’interno della popolazione che ha permesso al Paese di uscire indenne dalle rivoluzioni che hanno caratterizzato le Primavere Arabe. Questi elementi, che già costituiscono fonte di attrazione per i cittadini stranieri, sono accompagnati da alcune scelte di politica estera che hanno reso un Paese, non di certo democratico, molto appetibile gli occhi della comunità internazionale (Antwi-Boateng, 2014).

Il Qatar, consapevole di giocare un ruolo importante nella regione, ha prodotto, nel 2008, la Qatar National Vision 2030, ossia un programma finalizzato alla creazione di uno Stato avanzato capace di autosostenere il proprio sviluppo e capace di garantire alla propria popolazione un’alta qualità della vita (Qatar Vision 2030).

Tra gli obiettivi specifici di questo programma troviamo lo sviluppo delle infrastrutture del Paese così da rendere il Qatar una meta appetibile per turisti e investitori stranieri, la creazione di un sistema educativo e sanitario di alto livello accessibile a tutta la popolazione, la creazione di un ambiente sano dove tutti i cittadini, anche quelli più svantaggiati, possano avere opportunità e giocare un ruolo attivo nello sviluppo del Paese, l’aumento della partecipazione dei cittadini qatarioti alla forza lavoro e la difesa della cultura nazionale tramite la promozione dei valori islamici di giustizia, solidarietà e coesione sociale (Karatas, 2020).

L’architetto principale del rinnovamento qatariota è stato l’Emiro Hamad bin Khalifa Al Thani, il quale, salito al potere nel 1995, ha modernizzato il Paese rendendolo famoso e infuente in tutto il mondo (Al-Obaidan, 2022). L’Emiro ha messo in campo una nuova politica estera meno dipendente dall’Arabia Saudita e più attiva e dinamica a livello regionale e internazionale (Naier, 2021). Attraverso questa nuova politica estera incentrata sulla neutralità, sulla protezione della pace e su un maggior utilizzo degli strumenti del soft power, il Qatar intendeva mantenere buone relazioni con gli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo e costruire alleanze con grandi e medie potenze. Con la salita al potere di Tamim bin Hamad Al-Thani nel 2013, la politica estera del Qatar subisce un cambio di marcia. Si punta a creare forti alleanze coi gruppi islamici affiliati alla Fratellanza Musulmana e si comincia a giocare un ruolo sempre più attivo e meno neutrale nelle dispute regionali, soprattutto grazie all’evoluzione del ruolo di Al-Jazeera durante le Primavere Arabe.

La strategia del Qatar si basa su alcuni pilastri, enunciati tra l’altro nell’Articolo 7 della Costituzione, tra cui il principio di non interferenza negli affari interni degli altri Stati, l’adesione alle norme internazionali, l’utilizzo di una diplomazia pragmatica priva di ogni ideologia e l’intenzione di non utilizzare strumenti di coercizione (Costituzione del Qatar, 2003).

L’elemento principale del soft power qatariota è il network di Al-Jazeera (Al-Tamimi, 2023). Al-Jazeera è stata creata nel 1996 e ha dato al Paese la possibilità di affacciarsi sulla scena globale e di acquistare un’importante influenza politica. Al-Jazeera è riuscita a fornire una prospettiva diversa sulle questioni globali più scottanti, allontanandosi dalla narrativa occidentale e ribaltando completamente il concetto di media nel mondo arabo, offrendo ampio spazio sia ai rappresentanti governativi della regione, ma anche ai gruppi di opposizione e alle voci più critiche all’interno di ogni singolo Paese (Antwi-Boateng, 2014). Chiari esempi di questa modalità di azione sono i primi momenti delle Primavere Arabe, quando il canale condivise con insistenza le emergenti voci di protesta in Egitto e Tunisia, ma mobilitò anche il supporto arabo per l’intervento NATO in Libia e per l’isolamento internazionale del regime siriano di Assad (Ulrichsen, 2014).

La rete di canali Al-Jazeera non è unicamente collegata alle news internazionali, ma punta a coprire anche altri settori come lo sport, i documentari, le news locali e i programmi per bambini, rendendola un qualcosa di unico nel mondo dei media arabi (Naier, 2021). Non è, pertanto, un semplice network televisivo del mondo arabo, ma un network di stampo internazionale che si occupa dei temi più disparati. Al-Jazeera risulta essere un elemento fondamentale per la strategia di nation branding dell’emirato ed è uno strumento di supporto necessario per la sua diplomazia pubblica (Karatas, 2020). Il network di Al-Jazeera ha, infatti, permesso di diffondere la narrativa del Qatar in tutto il mondo arabo e di instaurare relazioni dirette e indirette con individui e organizzazioni in tutto il mondo. Al-Jazeera è anche di fondamentale importanza per la difesa del Paese perché, se un tempo gli Stati più grandi avrebbero potuto minare la sovranità del Qatar, ad oggi, grazie a questo network che diffonde immagini e notizie in tutto il globo in tempo reale, questo risulterebbe impossibile.

Il secondo strumento di soft power più utilizzato dal Qatar è la mediazione all’interno dei conflitti regionali (Alvarez-Ossorio, 2021). Il Qatar ha ottenuto, a tal proposito, risultati strabilianti in Libano, in Palestina, riuscendo a creare un diaologo tra le fazioni palestinesi, in Sudan, per sedare il conflitto nel Darfur, in Somalia e in Yemen (Naier, 2021). La capitale Doha ha, inoltre, assunto il ruolo di sede per colloqui di pace e negoziazioni. Basti pensare ai continui colloqui tra Talebani, governo afghano e Stati Uniti che si sono tenuti in Qatar negli anni precedenti il recente ritiro delle truppe occidentali dallo Stato asiatico (Al-Obaidan, 2022). Secondo gli studiosi, il Qatar ha la possibilità di giocare questo ruolo perché cerca di mantenere buoni rapporti con tutti gli attori, sia a livello regionale che internazionale, perché ha una forte economia e perché, in seguito all’apertura di Al-Jazeera, suscita un’immagine positiva agli occhi del mondo arabo.

Oltre al ruolo di mediazione, il piccolo emirato è anche impegnato nella fornitura di aiuti umanitari e nella promozione della cultura, dell’educazione e dello sport (Al-Obaidan, 2022). La cosiddetta diplomazia umanitaria permette al piccolo emirato di assicurarsi una certa influenza sugli Stati interessati da questi aiuti, ma anche di conquistare la fiducia degli alleati e alleggerire le posizioni dei Paesi più ostili (Al-Tamimi, 2023). Esistono diversi esempi di questa strategia, tra cui gli aiuti finanziari offerti dal Qatar agli abitanti della Striscia di Gaza in seguito alla guerra del 2008, l’assistenza offerta al Libano per ricostruzione dei villaggi delle regioni meridionali in seguito all’aggressione israeliana del 2006, ma anche l’assistenza logistica offerta al Consiglio Nazionale di Transizione in Libia nel 2011.

A proposito di aiuti umanitari e per lo sviluppo, il Qatar Fund for Development, il principale ente impegnato in questa attività, pubblica annualmente un report per elencare tutti i progetti in cui è impegnato. Il risultato è strabiliante dal momento in cui il Paese, secondo l’ultimo report del 2021, ha impegnato più di 550 milioni di dollari in 47 Paesi per sostenere progetti incentrati sullo sviluppo di infrastrutture, sullo sviluppo economico, sulla sanità e l’educazione (Qatar Fund for Development, 2021).

Altra attività importante per la promozione e lo sviluppo dello Stato qatariota è il supporto alle organizzazioni della società civile. L’attenzione per il rispetto dei diritti umani ha portato alla creazione di diverse istituzioni e dipartimenti all’interno dei ministeri dell’emirato, tra cui l’Ufficio dei Diritti Umani all’interno del Ministero degli Affari Esteri o il Dipartimento per i Diritti Umani all’interno del Ministero dell’Interno (Naier, 2021). A livello non governativo sono state create istituzioni come la Commissione Nazionale per i Diritti Umani e il Centro Internazionale per il Dialogo Interreligioso finalizzato alla promozione del dialogo e della coesistenza pacifica tra le religioni.

L’istituzione culturale più attiva in Qatar è, però, la Qatar Foundation. Fondata nel 1995 dalla seconda moglie dell’Emiro Hamad, Moza bint Nasser Al-Missned, questa istituzione punta a promouovere investimenti nel settore educativo e nel campo della ricerca, ma anche ad offrire supporto alla nazione nel processo che porterà il Qatar a passare da una carbon economy a una knowledge economy (Brannagan e Giulianotti, 2018). Questa volontà è chiaramente visibile nella creazione di un complesso chiamato Education City, il quale ospita sedi di università provenienti dall’Occidente ma anche tipicamente qatariote, tra cui la Georgetown University o la Scuole delle Arti del Qatar (Antwi-Boateng, 2014). Lo scopo di questo complesso è attrarre studenti ovviamente autoctoni, ma anche studenti provenienti da tutto il globo, che avranno modo di conoscere la cultura dell’emirato e che potranno scambiare le proprie esperienze con i cittadini del Paese. Allo stesso tempo, queste università permetteranno agli studenti arabi di poter frequentare università di grande prestigio in un contesto culturale a loro più vicino e senza doversi recare nei Paesi occidentali.

In ambito culturale, il Qatar è anche attivo nell’apertura di centri di ricerca internazionali come il Brookings Center, ma anche nella creazione di centri di ricerca qatarioti come l’Arab Center for Research. Il Qatar, più recentemente, si è anche focalizzato sull’apertura di musei per esaltare la cultura e le tradizioni del suo popolo e anche per proteggere l’identità dell’emirato (Karatas, 2020). Proprio per questo motivo, negli ultimi 20 anni, sono stati aperti e rinnovati alcuni musei tra cui il Museo Nazionale del Qatar.

Infine, il Qatar ha sfruttato come strumento di soft power la promozione di eventi sportivi, il cui culmine è stato inevitabilmente l’organizzazione dei mondiali di calcio nel 2022 che ha sicuramente migliorato l’immagine del Paese agli occhi dei visitatori stranieri, ha permesso di far conoscere il piccolo emirato a tutto il mondo e ha anche dato l’opportunità di mostrarsi come un Paese lontano dai regimi autoritari della regione (Karatas, 2020). Tutti questi effetti positivi sono stati controbilanciati dalle enormi critiche sulle condizioni dei lavoratori immigrati impiegati nella costruzione delle infrastrutture necessarie per ospitare l’evento, ma soprattutto sul sistema della kafala utiilizzata nel Paese. Il Qatar, di conseguenza, ha dato spazio ad ampie riforme delle leggi sul lavoro e ha cominciato a collaborare con gruppi impegnati nella difesa dei diritti umani e con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Al-Thani, 2021).

Prima di ospitare i mondiali di calcio, l’emirato aveva già organizzato altri eventi sportivi tra cui i Giochi Olimpici asiatici nel 2006, il Qatar Masters Golf Championship e il Qatar Open Tennis Tournament (Al-Thani, 2021). Oltre agli eventi, il Qatar ha anche sviluppato diverse infrastrutture sportive, tra cui l’accademia Aspire che offre ai giovani atleti provenienti dalle aree più disagiate del mondo la possibilità di sviluppare il proprio talento, e ha avviato la costruzione di stadi e strutture di accoglienza ultramoderne per ospitare tutti gli appassionati.

Gli investimenti nel mondo dello sport includono anche l’acquisizione, da parte dell’emiro Tamim bin Hamad Al Tani, del 70% del Paris Saint-Germain nel 2005 e di altre squadre in tutta Euopa. Allo stesso tempo, la Qatar Foundation, nel 2010, ha siglato un contratto di sponsorizzazione da quasi 200 milioni di dollari col Barcellona, andando a sostituire il logo di UNICEF sulle divise del club catalano (Antwi-Boateng, 2014), e la Qatar Airways, nel 2018, è diventata sponsor del Bayern Monaco in seguito a un accordo da 10 milioni di euro (New Indian Express, 2018).

Essendo una strategia per diversificare i propri ricavi e non dipendere unicamente da quelli derivanti dal gas e dal petrolio, il Qatar ha investito fortemente e a livello globale anche in altri settori come quello bancario, turistico e teconologico tramite la Qatar Investment Authority (Qia), la quale controlla anche il fondo sovrano del Qatar (Al-Obaidan, 2022). Questi investimenti non hanno come unica finalità il profitto, ma anche l’aumento della sicurezza del Paese poiché, secondo le teorie liberali, una maggiore interdipendenza economica riduce al minimo le probabilità di conflitto. Esempio lampante di questa conseguenza è stato il mancato supporto europeo e poi statunitense all’embargo imposto contro il Qatar da Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Colpire le risorse finanziarie del Qatar avrebbe, infatti, danneggiato la grande mole di investimenti qatarioti in Europa e Stati Uniti (Karatas, 2020).

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