Stupri di massa nei contesti di guerra

  Focus - Allegati
  04 March 2024
  17 minutes, 34 seconds

Autori

  • Simona Chiesa - Junior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società
  • Matteo Restivo - Senior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società
  • Marco Rizzi - Senior Researcher Mondo Internazionale G.E.O. Cultura & Società

Abstract

Il seguente articolo si propone di esplorare il tema degli stupri di massa e delle violenze sessuali, focalizzandosi su eventi storici significativi che hanno evidenziato l'uso sistematico di tale violenza durante periodi di conflitto armato. Soffermandosi sui contesti storici e sulle dinamiche sociali e politiche che hanno favorito tali atrocità, l'analisi mira a evidenziare l'entità del fenomeno, le sue motivazioni e le conseguenze devastanti per le vittime e le comunità coinvolte.

I. Introduzione

Nel corso del Novecento, le violenze sessuali e gli stupri di massa hanno segnato pagine oscure nella storia dell'umanità, emergendo come tragiche costanti in contesti di guerra, conflitti etnici e dittature oppressive. Questo fenomeno, lungi dall'essere un'eccezione, ha caratterizzato periodi cruciali della storia contemporanea, trasformando il corpo delle donne in un campo di battaglia e strumento di sottomissione. Attraverso un'esplorazione di casi emblematici nel corso del secolo scorso, la seguente analisi è finalizzata ad esplorare un mondo di sofferenza e resilienza, dove le voci delle vittime si fanno eco tra le rovine della violenza e della distruzione. Inoltre, concentrando lo sguardo sul tragico conflitto nel Tigrai, in Etiopia, dove le violenze sessuali sono state utilizzate come arma di guerra, saranno evidenziate le sfide attuali nel contrastare questa forma di violenza e garantire la protezione dei diritti umani fondamentali. Attraverso questa panoramica storica, ci proponiamo di gettare luce su un tema oscuro e doloroso, stimolando la riflessione e l'azione per un mondo più giusto.

II. Stupri di massa e violenze sessuali nella storia del Novecento

La violenza sessuale di massa costituisce un’anormalità estranea all’ordinario, emergendo come un evento vissuto da una colllettività soltanto in condizioni particolari come i periodi bellici e il conflitto armato. Le normative internazionali la includono tra i “crimini contro l'umanità”, indicando lo stupro di massa come un attacco diffuso o sistematico alla popolazione civile, caratterizzato dalla consapevolezza dell'aggressione perpetrata (Corradi, 2009). Fino a tempi recenti, gli stupri commessi in tempo di guerra sono stati largamente sminuiti nella loro gravità. Sia che fossero considerati un’eccezione, ovvero l’esito di comportamenti devianti di singoli o di gruppi di soldati o, al contrario, talmente diffusi da essere ritenuti comportamenti “normali”, universali, rintracciabili ovunque nella storia; essi sono stati gettati sotto una coltre di silenzio generata dal trauma dei vinti, dal negazionismo dei governi, dalla vergogna vissuta all’interno delle comunità e del favoreggiamento politico delle autorità militari (Bianchi, 2009).

L’inferiorizzazione razziale, intrecciata a quella di genere, la disumanizzazione delle popolazioni native, hanno reso estremamente difficile la ricostruzione delle violenze sessuali e non stupisce che per lungo tempo lo stupro non sia stato incluso apertamente nell’ordinamento giuridico e condannato. Tuttavia è importante ricordare che ignorare i nessi tra guerra e stupro, tra i concetti dominanti di mascolinità, potere maschile e militarizzazione significa rendere impossibile la giustizia e la ricostruzione della complessità del vissuto delle vittime.

Lo stupro di guerra ha, oggi, oltrepassato il suo significato iniziale di semplice “bottino bellico”, assumendo, nei conflitti contemporanei, valenze sempre più complesse e diventando parte della strategia offensiva, vera e propria “arma” per l’annientamento totale del nemico. Superando il concetto di “violenza di genere”, lo stupro di massa è ormai mezzo di distruzione etnica e agghiacciante strumento di genocidio. In questo senso, forse per la prima volta nella storia dell’umanità, il corpo della donna è diventato il vero luogo della guerra (Strazza, 2017).

Le vittime tra i civili nell’ultimo secolo, presentate come accidentali e rese insignificanti da un’idea di guerra che si continua a proporre a livello ufficiale come uno scontro tra eserciti di uomini, sono andate progressivamente aumentando fino a raggiungere la percentuale del 75% tra il 1989 e il 1997 (Vlachova - Biaso, 2005) o del 90% secondo altre fonti (Salbi, 2006).

Le donne, che soprattutto in tempo di guerra, mantengono i legami della famiglia e della comunità, occupano un posto particolare in questa logica della distruzione. Ucciderle e degradarle si è rivelata una strategia militare efficace per diffondere il terrore, costringere alla fuga, rendere impossibile il ritorno all’interno di un’articolata strategia di snazionalizzazione, di espulsione di massa o di genocidio (Kaldor, 1999; Bianchi, 2009).

Senza risalire agli stupri di massa nella storia antica, medievale e della prima modernità, anche in età contemporanea la violenza sessuale viene regolarmente usata come arma di guerra. Sebbene non necessariamente in ogni conflitto, ciò si verifica nelle situazioni dove l’aggressività è massima, quelle nelle quali l’obiettivo di una formazione armata (regolare o irregolare che sia) non è tanto vincere militarmente il nemico, quanto piuttosto punirlo e umiliarlo (Battistelli, 2010).

In epoca contemporanea, la violenza sessuale nei conflitti bellici ha, indubbiamente, registrato una mutazione sostanziale, diventando parte intenzionale e consapevole di un più vasto progetto di annientamento del nemico, nelle sue più intime identità, con l’obiettivo di distruggerne ogni aspetto materiale, spirituale e simbolico. Intrisi di significati politici, forse non del tutto consapevoli, furono sicuramente gli stupri in Belgio e in Francia del 1914, all’inizio della Prima Guerra Mondiale, quando la violenza sessuale, complice anche l’intervento della stampa, assunse una valenza che superava ampiamente la visione del “danno collaterale” dell’invasione militare. Durante l'invasione tedesca del Belgio, le truppe germaniche commisero numerosi stupri ai danni delle donne belghe, suscitando reazioni allarmanti nell'opinione pubblica. La stampa alleata sfruttò abilmente questi eventi in una potente campagna contro l'invasore tedesco, diffondendo immagini di sadismo e violenza per rafforzare lo spirito nazionalista. Nella propaganda si iniziò così ad usare l’espressione “Stupro del Belgio” per parlare dell’invasione tedesca, mentre le donne violentate diventavano, in tal modo, espressione dello stupro dell’intera nazione (Strazza, 2017).

Un altro caso significativo si manifestò in Italia nei primi mesi del 1915, con vari giornali che, favorevoli all'intervento bellico contro l'Austria-Ungheria, amplificarono le notizie sugli stupri. Nel corso della guerra, il numero delle rappresentazioni visive demonizzanti dell'avversario aumentò all’interno di manifesti e nelle cartoline illustrate. Occorre sottolineare che, a differenza di quanto avvenuto sul fronte orientale dove stupri di ben maggiore portata vennero nascosti, lo “Stupro del Belgio” assunse un significato simbolico altisonante proprio per l’importanza strategica del piccolo Paese sullo scacchiere delle operazioni di guerra e per la vicinanza alla Francia e all’Inghilterra, oltre che per motivazioni propagandistiche (Strazza, 2017).

Tuttavia, uno degli episodi più eclatanti di stupro bellico si verificò con l'Armata Rossa durante l'invasione della Germania alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Le violenze sessuali, strumentalizzate dalla vendetta dei soldati russi, raggiunsero proporzioni allarmanti con oltre centomila casi di stupro registrati nelle prime due settimane di occupazione di Berlino. Determinante fu certamente il sentimento di rivalsa e vendetta dei soldati russi, polacchi e cecoslovacchi per quanto era avvenuto nel corso dell’avanzata nazista. Le popolazioni civili, infatti, non vennero considerate “altro” dall’esercito tedesco ma furono viste semplicemente come complici delle atrocità naziste (Strazza, 2017).

Lo stupro è stato impiegato, inoltre, come strumento di guerra e atto di genocidio durante il conflitto in Rwanda nel 1994, durante il quale furono uccise circa un milione di persone, con centinaia di migliaia di donne vittime di violenze sessuali. L'International Criminal Tribunal for Rwanda (I.C.T.R.), istituito dall'ONU, rivelò che le violenze non si limitarono ai massacri, ma coinvolsero centinaia di migliaia di donne, principalmente tutsi, sottoposte a stupri, spesso seguiti da omicidi. La violenza veniva eseguita pubblicamente per terrorizzare e umiliare le vittime, con un alto rischio di trasmissione dell'AIDS, colpendo il 70% delle donne. Nonostante gli sforzi del tribunale, pochi responsabili furono condannati. In questo contesto, la violenza sessuale fu usata come strumento di terrore e pulizia etnica, mirando a degradare il corpo femminile come simbolo del nemico (Strazza, 2017).

Nella guerra civile in Congo, la violenza sessuale è diventata una costante, coinvolgendo almeno 200.000 donne, con circa 1.100 stupri commessi ogni mese. Gli stupri, utilizzati come arma da guerra da entrambi gli schieramenti, sono parte di una strategia sistematica per terrorizzare e umiliare la popolazione civile. Anche la presenza di caschi blu delle Nazioni Unite non ha impedito le violenze, suggerendo l'inefficacia delle missioni di pace internazionali.

Nel conflitto nel Darfur, le violenze sessuali rappresentano una parte significativa dell'uso della forza contro le popolazioni inermi, nonostante la presenza delle truppe ONU inviate nel 2007 (Strazza, 2017).

In Guatemala, durante il lungo periodo di scontri interni dal 1960 al 1996, gli stupri di massa si integrarono nella strategia militare della “terra bruciata”, volta a eliminare il supporto della popolazione ai guerriglieri, con la maggioranza delle vittime (89%) donne maya (Strazza, 2017).

Durante la dittatura in Argentina e sotto il regime di Pinochet in Cile, la violenza sessuale fu usata contro le donne arrestate, riflettendo una società maschilista. Le violenze non erano solo espressione di genere ma costituivano forme estreme di tortura condividendo modalità e motivazioni (Strazza, 2017).

In Perù, durante i conflitti interni tra il 1980 e il 2000, si registrarono numerosi casi di violenza, inclusi stupri, con oltre 70.000 morti e “dispersi”.

Infine, nella guerra in Bosnia tra il 1992 e il 1995, dalle 20.000 alle 30.000 donne furono vittime di violenza sessuale, usata come arma di guerra e strumento di genocidio. Gli stupri, considerati “stupri etnici”, rappresentarono forme di tortura e diventarono uno strumento di genocidio e annientamento etnico. Gli stupri non erano solo atti di violenza, ma rappresentavano una dimensione politica e culturale, utilizzando il corpo della donna come luogo di guerra e strumento per contaminare e umiliare. La violenza sessuale in Bosnia ha cambiato il significato stesso della violenza in guerra, assumendo il ruolo di “arma” per il genocidio e l'annientamento etnico (Strazza, 2017).

III. Lo stupro come strumento di guerra e sottomissione: il caso della guerra del Tigrai in Etiopia

Alla fine del 2020, ha avuto inizio un conflitto in Etiopia, precisamente nella regione del Tigrai, che ha interessato diversi attori e che ha generato una forte instabilità per tutto il Paese e per la Regione del Corno d’Africa. Il conflitto, secondo alcune stime, ha generato circa mezzo milione di vittime e due milioni di sfollati interni (Carbone, 2023; Miller, 2024).

Un tale contesto ha reso piuttosto complicato il raggiungimento di un accordo di pace – stipulato a Pretoria il 2 novembre 2022 – tra le forze militari affiliate al governo di Addis Abeba, il Tigray People’s Liberation Front (TPLF) e le forze paramilitari da esso organizzate, le Tigray Defense Forces (TDF). L’accordo di pace rifletteva in larga parte gli sviluppi e risultati militari raggiunti in guerra e decretava il crollo politico del TPLF e delle TDF (Carbone, 2023). Il motivo risiede anche nel coinvolgimento delle forze eritree, le quali, in cooperazione con l’esercito governativo etiope, sono da subito intervenute nel conflitto e hanno approfittato per distruggere quanto più possibile del Tigrai. Il fine era quello di obbligare al rientro forzato decine di migliaia di rifugiati eritrei fuggiti dal paese e ospitati in campi delle Nazioni Unite proprio nella regione del Tigrai e per ristabilire il proprio controllo militare lungo il confine condiviso (Carbone, 2023).

È all’interno di questo contesto che si è scatenato un cataclisma di violenza sessuale, sfollamento e sfruttamento delle donne e delle ragazze del Tigrai. Molteplici forme di violenza sessuale – tra cui stupri, schiavitù sessuale, stupri di gruppo, mutilazioni sessuali e torture – sono state perpetrate contro donne e ragazze dalle forze etiopi ed eritree (Chakrabarty, 2022; Mazurana, 2021; Houreld, 2021). Non solo, tra le vittime ci sono anche bambini e donne incinte, molti dei quali sono stati tenuti prigionieri come schiavi sessuali per settimane. Anche alcuni uomini e ragazzi hanno denunciato episodi di violenza sessuale nei loro confronti (Chakrabarty, 2022).

La maggior parte degli studiosi di genocidio e dei gruppi per i diritti ha affermato che la violenza sessuale è usata dalle forze etiopi ed eritree come arma di guerra nel Tigrai. La maggior parte delle vittime riferisce di essere stata brutalizzata a causa della propria identità e della necessità di "purificarla": il modello di violenza sessuale in Tigrai indica il suo utilizzo come arma di guerra con l'intenzione di distruggere la popolazione del Tigrai (Chakrabarty, 2022; Mazurana, 2021).

Secondo un articolo pubblicato sul sito web di Reuters, il governo etiope e quello eritreo hanno preferito non rispondere alle domande dei giornalisti sui casi di violenza sessuale sollevati da donne e medici, tantomeno sull’accusa di schiavitù sessuale. Allo stesso tempo, non sono state annunciate accuse da parte di procuratori civili o militari nei confronti di alcun soldato (Houreld, 2021). Tuttavia, le denunce di stupri e violenze hanno iniziato a diffondersi velocemente nei giorni e mesi seguenti, ma anche negli anni successivi fino ad oggi.

A tal proposito, nel 2023, in coerenza con le numerose interviste condotte nei confronti di donne e ragazze vittime di violenza e con il rilascio di studi medici e d’inchiesta, la International Commission of Human RIghts Experts on Ethiopia (ICHREE) ha fornito un quadro preciso e dettagliato delle violenze perpetrate nel Tigrai. La Commissione, istituita alla fine del 2021 su raccomandazione delle Nazioni Unite, fornisce alcune importanti considerazioni nel Report pubblicato sul sito dell’OHCHR. In primo luogo, si afferma che la maggior parte delle violenze sessuali ha avuto luogo durante la prima fase del conflitto, dal novembre 2020 al giugno 2021. Stupri e altre forme di violenza sessuale sono stati perpetrati anche nel contesto delle detenzioni di massa dei tigrini a partire dal luglio 2021 e dalle forze militari nella Regione anche dopo la firma dell’accordo di pace nel novembre 2022.

La Commissione ha inoltre ricevuto informazioni su testimonianze di violenze sessuali legate al conflitto nel Tigrai fino al giugno 2023 (ICHREE, 2023; The Guardian, 2023; Chakrabarty, 2022). All’interno del Report sono individuati i principali responsabili delle violenze e degli stupri: in particolare, come abbiamo già anticipato, sono indicati come colpevoli di tali gesta i soldati eritrei, le forze di difesa nazionali etiopi, le forze speciali Ahmara, le forze speciali Afar e altre milizie coinvolte nel conflitto. Queste persone hanno portato la violenza in tutte le zone del Tigrai e le hanno rivolte nei confronti di tutte le donne detenute, i bambini e gli anziani, secondo la Commissione (ICHREE, 2023).

Il Report dell’ICHREE evidenzia che non essendo disponibili statistiche complete sulle violenze sessuali legate al conflitto nel Tigrai, le informazioni sono state raccolte sulla base dei racconti sugli episodi di stupro e di altre forme di violenza sessuale. Il motivo per cui le sopravvissute non hanno potuto cercare supporto medico o psicologico entro le prime 72 ore dall'incidente, o solo diversi mesi dopo gli incidenti, o non lo hanno cercato affatto, è stato la presenza degli attori armati nei centri medici o sanitari; o anche la mancanza di trasporti sicuri o disponibili dalle aree rurali a quelle urbane, i guasti a Internet e alle telecomunicazioni e la mancanza di denaro. Diversi intervistati hanno subito discriminazioni da parte della comunità e dei familiari più stretti, soprattutto nei casi in cui le donne hanno dato alla luce dei figli a causa degli stupri. A causa della continua insicurezza, di un sistema sanitario distrutto, di una situazione umanitaria disastrosa in vaste aree della regione, della presenza e dell'occupazione delle forze eritree e della paura di ulteriori discriminazioni o violenze, è probabile che gli incidenti registrati rappresentino una vasta sottostima del numero reale (ICHREE, 2023).

Tra i vari contributi che la Commissione ha portato sul caso, è interessante il passaggio che spiega come diversi intervistati in Tigrai, sopravvissuti, operatori sanitari e attivisti femminili, hanno spiegato che le donne e le ragazze identificate come sopravvissute alla violenza sessuale sono state divorziate dai loro mariti e rifiutate dalle loro famiglie o comunità. L'assenza di strutture di supporto, in un contesto in cui il tessuto sociale è già gravemente indebolito, espone le sopravvissute alla violenza sessuale a un rischio maggiore (ICHREE, 2023; Chakrabarty, 2022). Sopravvivere non consente il ripristino di una condizione sociale favorevole, anzi, tutto il contrario. Infatti, in una cultura in cui le questioni sessuali sono molto private, le sopravvissute hanno descritto di essere state costrette a partecipare ad atti sessuali in pubblico che sono tabù, degradanti e offensivi nelle loro culture. Le donne sopravvissute alla violenza sessuale hanno riportato gravi lesioni fisiche, mentali ed emotive (Mazurana, 2021; Chakrabarty, 2022). Alcune sopravvissute alla violenza sessuale sono ora incinte; altre hanno cercato modi tradizionali per abortire o hanno tentato di interrompere le gravidanze da sole quando gli ospedali che praticano aborti sicuri erano troppo lontani o erano stati distrutti dalle forze armate; altre ancora hanno contratto l'HIV e l'epatite: le donne hanno raccontato che i loro stupratori hanno detto loro di essere sieropositivi e che volevano infettarle intenzionalmente (Mazurana, 2021).

La tragedia raccontata dalle vittime, le analisi e gli studi, l’indagine congiunta tra l’ICHREE e le Nazioni Unite, scatenano una serie di interrogativi in relazione all’obiettivo globale dell’uguaglianza di genere, il quale chiede di “porre fine alla violenza contro le donne e le ragazze nella sfera pubblica e privata, compresi la tratta e lo sfruttamento sessuale e di altro tipo". È possibile eliminare la violenza contro le donne se i Paesi si rifiutano di prendere una posizione dura contro la violenza sessuale nelle zone di conflitto? Se il rispetto dell'integrità territoriale di una nazione e la non ingerenza nelle questioni "interne" prevalgono sulla necessità di condannare l'uso della violenza sessuale come arma di guerra, allora l'uguaglianza di genere è un obiettivo lontano. Un mondo che si è impegnato a raggiungere gli obiettivi di sviluppo globale non può rimanere in silenzio di fronte a una violazione così massiccia di donne e ragazze e all'uso della violenza sessuale come arma nei conflitti.

IV. Conclusione

In conclusione, l'analisi degli stupri di massa e delle violenze sessuali nel corso del Novecento e nel contesto specifico del conflitto nel Tigrai in Etiopia ci spinge a riflettere profondamente sulle tragiche conseguenze di tali atrocità. Attraverso questa analisi, ci siamo confrontati con una realtà crudele e inaccettabile, dove le donne e le ragazze sono diventate bersaglio di una violenza brutale, utilizzata come strumento di guerra e sottomissione.

Dallo sfruttamento delle violenze sessuali nelle campagne di propaganda durante le guerre mondiali del secolo scorso fino alla devastazione causata dai recenti conflitti come quello nel Tigrai, emergono chiaramente le dimensioni dell'orrore che colpiscono le vittime e le comunità coinvolte.

Inoltre, questa analisi ci porta a interrogarci sulle responsabilità e sulle azioni necessarie per affrontare questa grave violazione dei diritti umani. La mancanza di risposte adeguate da parte delle istituzioni internazionali e dei governi coinvolti nei conflitti, insieme alla persistente cultura dell'impunità, evidenziano l'urgente necessità di rafforzare gli sforzi per proteggere le donne e le ragazze durante i conflitti armati e di garantire che i responsabili di tali crimini siano portati davanti alla giustizia. Solo attraverso un impegno concreto per porre fine alla violenza sessuale come arma di guerra e per garantire la tutela dei diritti umani fondamentali, possiamo sperare di costruire un futuro in cui ogni individuo possa vivere libero dalla paura e dalla violenza.


Fonti

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