Sudan: Una storia di guerre e violenza

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  11 April 2024
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Abstract

Il 15 aprile 2023 in Sudan è scoppiata una guerra civile che vede come avversari due importanti signori della guerra, Abdel-Fattah Al-Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, che si stanno affrontando per contendersi il governo del Paese. Data l’intensità degli scontri armati tra le due fazioni, i danni materiali e le vittime civili sono ingenti. La situazione umanitaria è drammatica e si mostra sempre più necessario l’intervento della comunità internazionale per la risoluzione del conflitto. Questa guerra è solamente l’ultima di una lunga serie di scontri interni tra gruppi etnici e tra milizie ed esercito regolare iniziati all’indomani della dichiarazione di indipendenza dalla corona britannica e che arriva fino ad oggi.

Author

Sharon Giacomelli - Junior Researcher, Mondo Internationale G.E.O. - Politica

Introduzione

L’attuale guerra civile, scoppiata nell’aprile 2023, è solamente una delle numerose esplosioni di violenza che hanno caratterizzato la storia del Sudan. Infatti, sin dalla sua indipendenza, ottenuta nel 1956, vi sono stati sedici tentativi di colpi di stato, sei dei quali hanno raggiunto il proprio obiettivo e rovesciato il regime esistente. Questi sono i numeri più elevati di tutto il continente africano, il quale è quello che ha storicamente avuto più golpe al mondo. Nello stesso lasso di tempo, ci sono state anche diverse guerre civili, la prima tra il 1955 e il 1972, la seconda tra il 1983 e il 2005 e infine l’ultima iniziata lo scorso anno.

Per intensità e danni causati il conflitto in atto si presenta come una delle peggiori crisi che hanno sconvolto l’intero continente negli ultimi decenni. Nonostante ciò, esso è stato poco raccontato dai media occidentali, concentrati in larga parte su altre due situazioni di crisi, ossia l’invasione russa dell’Ucraina e l’operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza, che, per motivi geografici, storici ed etnici, sono percepiti dalle popolazioni europea e americana come più vicini e più rilevanti per i loro interessi. Tuttavia, ciò che sta avvenendo in Sudan non è solamente una crisi umanitaria di dimensioni ingenti, ma è un evento che potrebbe avere ripercussioni non indifferenti sulla stabilità della regione, con possibili effetti a cascata.

L'obiettivo principale di questo articolo è quello di cercare di raccontare la storia di un Paese che raramente trova spazio sui giornali occidentali e che sta vivendo una situazione tragica della quale è bene non dimenticarsi. Inizialmente, quindi, verrà fatto un breve excursus storico partendo dal periodo coloniale, passando per il raggiungimento dell’indipendenza e le due successive guerre civili che hanno caratterizzato i quarant’anni successivi. Il secondo paragrafo si concentrerà sull’arrivo al potere del dittatore al-Bashir, la guerra nel Darfur iniziata nel 2003 e gli avvenimenti degli ultimi anni che hanno portato alla creazione di tensioni tra le due fazioni oggi in conflitto. Infine, verrà fatto un breve cenno all’intervento, minimo e insufficiente, della comunità internazionale volto a cercare di arrivare ad un compromesso e ad una pace negoziata.


Storia del Sudan

A livello storico, il Sudan, come la maggior parte dei paesi africani, ha un lungo passato coloniale. Infatti, nel 1820 il viceré di Egitto, Muhammad Ali, conquistò, in nome dell’imperatore ottomano, il territorio che oggi corrisponde al Sudan. L’espansione ottomana era perlopiù motivata dall’oro presente in suolo sudanese e dalla possibilità di avere una nuova popolazione di schiavi. Il controllo ottomano della regione iniziò a cedere intorno al 1863, quando la pressione e l’influenza dei paesi europei, in particolare della Gran Bretagna, crebbe sensibilmente.

Un importante sviluppo fu l’occupazione britannica dell’Egitto, avvenuta nel 1882. Fu da subito chiaro che l’intenzione della corona inglese era di controllare direttamente questa zona ricca di risorse prime. Questa volontà inglese, però, minacciava i possedimenti e l’influenza delle altre potenze europee, in particolare quelli francesi. Riconoscendo l’importanza del controllo del Nilo per la sopravvivenza e la crescita economica egiziana e volendo limitare l’espansione dell’avversario francese, la Gran Bretagna occupò militarmente il territorio sudanese nel 1899. L’anno successivo britannici e francesi stipularono un accordo con il quale questi ultimi si impegnarono a fermare la loro espansione sulla sponda orientale del Nilo.

Nello stesso anno iniziò il controllo congiunto tra la corona inglese ed il kedivè egiziano del Sudan. Tuttavia, nella pratica il controllo non era realmente condiviso e la volontà britannica prevaleva nella maggioranza dei casi.

Dopo una serie di ribellioni della popolazione locale, il Sudan ha ottenuto la propria indipendenza dopo la Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, con la fine dell’ingerenza straniera non è arrivata anche la pace. Infatti, come detto in precedenza, numerose sono state le occasioni di tensioni e violenze, tra cui colpi di stato e guerre civili.

Alla base degli scontri ci sono diverse motivazioni. Tra le più rilevanti vi sono la divisione tra Nord e Sud del Paese, l’emarginazione di alcuni gruppi etnici e la lotta per l’allocazione delle risorse. Le regioni meridionali per anni si sono sentite marginalizzate e discriminate. Questo aspetto non solo è stata la causa scatenante della prima guerra civile, ma ha portato il Paese verso una vera e propria scissione, avvenuta nel 2011. Tra il 9 e il 15 gennaio di quell’anno si è tenuto un referendum, previsto nell’accordo di pace del 2005 che poneva fine al conflitto tra governo e Sudan People’s Liberation Army, con il quale il governo chiedeva alla popolazione sudanese di esprimersi sull’indipendenza del Sudan meridionale. I votanti si sono espressi favorevolmente per il 98.83%, contro l’1.17% che, invece, era contrario. Dal 9 luglio dello stesso anno, quindi, esiste un nuovo paese: il Sud Sudan.

Anche l’esistenza di gruppi di diversa origine etnica rappresenta un elemento di contrasto. Le minoranze non arabe, soprattutto quelle africane, vengono emarginate e contro di loro spesso vengono commessi soprusi e violenze.

Di particolare rilevanza in questo senso sono gli eventi iniziati nel 2003 in una specifica regione del paese: il Darfur. Questa regione è abitata in maggioranza tra tre gruppi etnici: i Fur, i Zagawa e i Masalit. L’attività più diffusa tra di essi è l'agricoltura stanziale e l’allevamento di greggi e cammelli.

Gli attacchi armati vedevano scontrarsi due fazioni. Da una parte, le milizie locali includevano in particolare due gruppi: la Justice and Equality Moviment (Jem), di ispirazione islamista, e l’esercito di Liberazione del Sudan (SLA, conosciuto nel 2000 come Fronte di Liberazione del Darfur). Dall’altra, l’esercito regolare sudanese, supportato da una milizia arabofona di nome Janjaweed, termine arabo traducibile con l’espressione “demoni a cavallo”.

Nella regione vi è sempre stato un conflitto latente che si è fatto più drammatico nel 2003 quando le milizie locali hanno iniziato a compiere una serie di attacchi contro attori governativi per protestare contro la passività del governo nel proteggere la popolazione e gli agricoltori. Ai primi attentati delle milizie locali, il governo centrale risponde con una dura repressione tramite bombardamenti aerei e operazioni dei Janjaweed.

Sin dai primi mesi vi sono state accuse da parte di attivisti dell’intento del governo di voler portare avanti una pulizia etnica. A sostegno di tale tesi sono state portate numerose prove. Una di esse riguarda il fatto che i villaggi abitati in maggioranza da cittadini di origine africana erano completamente distrutti e le persone uccise o deportate, mentre quelli a maggioranza araba erano intatti e i loro abitanti non venivano toccati.

Negli anni successivi sono emersi, inoltre, indicazioni e testimonianze di uccisioni di massa e stupri indiscriminati perpetrati soprattutto dai Janjaweed, tanto che l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, aveva sostenuto che ciò che stava avvenendo era da considerare un genocidio delle popolazioni di origine africane.

Gli ultimi anni

Nel 1989 è diventato capo del governo del paese Omar Hasan Ahmad al-Bashir, il quale ha preso il potere dopo aver rovesciato, con un colpo di stato militare, il governo del primo ministro Sadiq al-Mahdi. Nel 1993 al-Bashir, anno in cui è morto Ahmed al-Mirghani, presidente in carica dal 1986, ha iniziato a ricoprire il doppio ruolo di capo del governo e presidente. Negli anni del suo governo, al-Bashir ha instaurato una vera e propria dittatura.

Al-Bashir è considerato il principale responsabile dei tragici eventi che hanno sconvolto la regione del Darfur dal 2003, durante la guerra civile nazionale iniziata nel 1983.

Nonostante gli accordi, i quali hanno concesso una maggiore autonomia al Darfur e rappresentanza della popolazione locale, scontri locali sono continuati e la tensione è rimasta elevata. Le principali situazioni critiche sono state riscontrate tra il 2013 e il 2014. Tra gli eventi più drammatici vi è stato l’assalto al villaggio Tabit, abitato a maggioranza da Fur, durante il quale 200 donne sono state violentate e gli uomini arrestati.

Per far fronte alla situazione nel 2013, al-Bashir ha creato le Forze di Supporto Rapido (RFS), forze speciali guidate da Mohamed Hamdam Dagalo (o Hemedti), già capo dei Janjaweed durante la guerra iniziata nel 2003.

Nel 2019, dopo trent’anni al potere e dopo quattro mesi di proteste popolari dovute al rincaro dei prezzi dei beni di prima necessità e che ne chiedevano le dimissioni, al-Bashir è stato deposto. Si è formato così un nuovo governo di transizione, composto sia da civili che da militari, con lo scopo di democratizzare il Paese e portarlo ad elezioni democratiche, libere e trasparenti. Abdel Fattah al-Burhan era stato posto a capo del Transitional Sovereign Council, mentre Mohamed Hamdan Dagalo ne era il vicepresidente.

Tuttavia, il 25 ottobre 2021, dopo soli due anni, anche questo governo è stato sciolto da una giunta militare capeggiata da al-Burhan e Dagalo. Questi hanno eliminato i membri civili del Consiglio, sostituendoli con membri dell’esercito.

Il governo militare però è da subito apparso agli esperti come un matrimonio di convenienza volto ad impedire la realizzazione di un sistema democratico. Come a voler confermare questa idea, dopo poco sono emerse le prime discordanze tra le due figure.

A rompere definitivamente il fragile equilibrio che si era creato tra i due è stata la volontà di al-Burhan di inquadrare le RSF all’interno dell’esercito regolare. Tale proposta ha incontrato la ferma opposizione di Hemedti, il quale temeva in questo modo di perdere il proprio potere e prestigio.

Il 15 aprile 2023 hanno avuto inizio gli scontri armati tra le due fazioni, inizialmente circoscritti nella capitale del Paese, Khartoum. Sin dai primi giorni, sono state utilizzate armi esplosive in aree densamente popolate, creando danni ingenti alle infrastrutture e facendo molti morti tra i civili. Milioni di persone sono rimaste senza acqua potabile, con conseguenze importanti sulla loro salute. Già nell’ottobre dello scorso anno, il 70% delle strutture sanitarie non erano accessibili. La situazione è andata molto velocemente peggiorando a causa della diffusione di malattie come il colera. Infatti, sono stati riportati almeno 10.000 casi sospetti, con quasi 300 morti.

Quella che era iniziata come un conflitto tra due signori della guerra per il mantenimento del potere, dopo le prime settimane, si è esteso ad altre aree, in particolare nella regione del Darfur. Il 24 aprile sono stati riscontrati i primi combattimenti tra l’esercito regolare e l’RSF a Geneina, capitale del Darfur Occidentale. In questa regione, soldati dell’RSF e le milizie arabe loro alleate hanno ucciso centinaia di persone e costretto altre migliaia a cercare rifugio nel vicino Ciad.

Secondo l’UNOCHA, Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, nel report mensile di febbraio 2024, la situazione è drammatica. Secondo i dati diffusi, il numero di sfollati ha raggiunto la cifra di 8.1 milioni di persone, di cui 6.3 milioni sono considerati sfollati interni mentre 1.76 hanno attraversato i confini nazionali e cercato rifugio in un Paese confinante, soprattutto nel vicino Ciad. Inoltre, 24.8 milioni di individui sono in urgente bisogno di assistenza.

Secondo ACLED (Armed Conflict Location and Event Data Project), un’agenzia non governativa statunitense specializzata nella mappatura e raccolta di dati sulla violenza politica nel mondo, ci sono stati almeno 15.350 morti a partire da aprile 2023. Altre 27.000 persone sono state ferite tra il 15 aprile 2023 e 26 gennaio 2024, sostiene il Ministero Federale della Salute del Sudan.

La situazione è drammatica e grave in tutto lo Stato e ancor di più nella regione del Darfur, dove alla lotta di potere si aggiungono le tensioni etniche e tribali e lo scontro per il controllo delle terre e delle fonti d’acqua. Questa regione è quasi interamente sotto il controllo delle RSF, alleate con le milizie arabe locali. Tali forze sono accusate da organizzazioni internazionali e da attivisti locali di aver commesso violazioni dei diritti umani contro gruppi non arabi. Da più parti sono giunte anche gravi accuse di pulizia etnica e crimini di guerra, come già era avvenuto nella guerra del 2003 a carico dei Janjaweed.

Secondo il report dell’UNOCHA, infatti, i miliziani non solo hanno danneggiato o distrutto infrastrutture critiche, limitando severamente la capacità e la possibilità della popolazione civile di sopravvivere, ma hanno colpito anche ospedali e campi profughi, in violazione delle regole internazionali. Come nella guerra dei primi anni 2000, tra i più colpiti vi sono i membri della comunità Masalit. Alcune città abitate da cittadini Masalit o da altri gruppi di origine non araba sono state oggetto di furti degli oggetti di valori e successivamente bruciate completamente. Questa sorte è toccata a città come Habilla Kanari, Misterei, Murnei e Sirba. Uccisioni, pestaggi, saccheggi, incendi e stupri sono alcuni dei principali crimini commessi da membri dell’RSF. Secondo un report stilato da Human Rights Watch, i responsabili degli stupri hanno più volte fatto riferimento alla nazionalità delle vittime. In tal modo è possibile ricondurre tali atti a crimini motivati dalla nazionalità e dall’etnia altrui.


La risposta della comunità internazionale

Sebbene gli avvenimenti siano drammatici ed estesi in tutto il Sudan, la risposta internazionale è stata insufficiente. Un primo tentativo per riportare la pace si è avuto nel maggio 2023 con la sottoscrizione del Jeddah Declaration of Commitment to Protect the Civilians of Sudan. Con tale dichiarazione di intenti, mediata da Stati Uniti e Arabia Saudita, i rappresenti di SAF e RSF si impegnavano affinché non venissero violate le norme dettate dal diritto umanitario internazionale e maggiori sforzi venissero fatti per proteggere e tutelare i civili. Nonostante tale firma, gli attori locali non hanno modificato le loro azioni e le conseguenze per la popolazione sono rimaste elevate.

Ad ottobre sono ripresi i colloqui tra USA, Arabia Saudita e Authority for Development, la quale ha sostituito l’Unione Africana. Questi incontri mirano a supportare operazioni di assistenza sanitaria e a giungere ad un accordo per un cessate il fuoco permanente.

L’Unione Europea, nonostante si possa considerare un attore con una certa rilevanza sullo scacchiere internazionale, non è riuscita a mediare un accordo. Tuttavia, ha fortemente condannato le atrocità che sembrano parte di una più ampia operazione di pulizia etnica condotta dalle milizie dell’RSF ai danni soprattutto dei gruppi Masalit.

Nonostante gli accordi raggiunti non hanno portato nessun miglioramento sul campo di battaglia, i negoziati e i tentativi di mediazione non sono cessati.

L’8 marzo 2024 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha votato la risoluzione 2724, approvata con 14 voti a favore e un’astensione (Russia), con la quale si sollecitano nuovamente le parti a cercare una soluzione sostenibile agli scontri mediante dialogo.


Conclusioni

Gli avvenimenti degli ultimi dodici mesi in Sudan hanno portato il Paese verso una enorme crisi umanitaria. 25 milioni di persone, cioè il 54% della popolazione totale, sono in urgente bisogno di assistenza umanitaria. 5 milioni di persone sono in condizioni di insicurezza alimentare. Tra le vittime principali ci sono i bambini, 7 milioni secondo alcune stime, il che rende il conflitto in Sudan la più grande crisi che coinvolge bambini del nuovo Millennio.

Nonostante la criticità della situazione, la comunità internazionale e i suoi attori principali tra cui Stati Uniti, Lega Araba, IGAD e Consiglio di Sicurezza, non sono riusciti a limitare i danni e a tutelare i civili, vittime innocenti del conflitto. Non sembrano esserci accenni di una de-escalation e di un ritorno allo status quo. Il 2024, secondo gli esperti (Rickett 2021), sembra avere tutte le carte per essere un anno estremamente sanguinoso che porta con sé il rischio di una internazionalizzazione o di una regionalizzazione dello scontro. In particolare, a rimanere coinvolto sarebbe il vicino Ciad, che, data la sua prossimità geografica, dall'inizio del conflitto ha accolto centinaia di migliaia di rifugiati sudanesi. Gli effetti dell'arrivo di un numero così elevato di persone in uno Stato tra i più poveri e istituzionalmente fragili dell'Africa potrebbe creare non pochi problemi. Infatti, già a pochi giorni dallo scoppio degli scontri, alcuni ciadiani, tra cui il capo del governo di transizione, Mahamat Idriss Déby, ha chiesto che il presidente del Paese, Muhammadu Buhari, e altri presidenti africani intervenissero per portare la pace ed evitare conseguenze negative per gli Stati vicini.



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Bibliografia

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