1950: la tragedia del Maracanazo

La Coppa del Mondo che ha fatto la storia

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  Chiara Calabria
  03 October 2022
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A cinque anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la FIFA si ritrovò a dover organizzare un nuovo campionato mondiale.

L’edizione precedente fu quella del 1938 in Francia, dove gli italiani alzarono la Coppa Rimet; dopodiché, la parentesi bellica costrinse il campionato ad una pausa di 12 lunghi anni.

In data 24 giugno 1950 iniziò la quarta edizione del “Campionato mondiale di calcio per squadre nazionali maggiori maschili” con trentadue squadre iscritte al torneo e tredici squadre partecipanti: sei dall’Europa (Italia, Svizzera, Svezia, Jugoslavia, Spagna, Inghilterra), quattro dal Sud America (Brasile, Uruguay, Paraguay, Cile, Bolivia), uno dal Centro America (Messico), e gli Stati Uniti.

Austria, Francia, India diedero forfait, e gli argentini rinunciarono alle qualificazioni per lo sciopero dei calciatori professionisti: dal 1930, nonostante un fiorire di talenti come quelli del River Plate della “Maquina”, con Di Stefano, Labruna, Pedernera e Nestor Rossi, l’Argentina può dire di aver partecipato con convinzione solo alla prima edizione, perduta in finale contro l’Uruguay. Gli attriti con la federazione argentina permisero l’emigrazione in Colombia dei calciatori più rappresentativi dell’Albiceleste.

Dopo due edizioni consecutive disputate in Europa (in Italia nel ‘34 e in Francia nel ‘38), il Mondiale tornò in Sudamerica. Il paese ospitante fu il Brasile, che si scontrò subito con i costi organizzativi della manifestazione ed ottenne dalla FIFA il permesso di cambiare la formula di gioco, suddividendola in quattro gironi a eliminazione diretta come segue:

  • Girone 1: Brasile, Messico, Jugoslavia e Svizzera
  • Girone 2: Cile, Inghilterra, Stati Uniti e Spagna
  • Girone 3: Italia, Svezia e Paraguay
  • Girone 4: Uruguay e Bolivia

Le vincitrici di ciascun gruppo si scontrarono in un unico girone finale a quattro all’italiana, che vide scendere in campo Brasile, Spagna, Svezia e Uruguay, con la partita decisiva giocata tra uruguaiani e brasiliani.

L’Italia, nonostante fosse tra le squadre favorite con la vittoria delle due edizioni precedenti e pertanto qualificata d’ufficio, perse l’occasione di alzare la Coppa Rimet al primo girone, perdendo in un 3-2 a San Paolo contro la Svezia di Jeppson, poi rivelatasi futura stella del Napoli.

Leggendo questo risultato bisogna considerare alcuni fattori che determinarono indubbiamente la prestazione fisica degli italiani: gli azzurri si imbarcarono a Napoli il 4 giugno 1950 per una traversata verso Rio de Janeiro che durò sedici giorni. La preparazione fisica si rivelò alquanto fallimentare, a causa delle limitazioni che un allenamento su una nave comporta, e perdendo tutti i palloni in mare nel giro di pochi giorni di navigazione.

La scelta di non viaggiare in aereo fu data dalla scomparsa del “grande Torino”, avvenuta soltanto un anno prima, il 4 maggio 1949: il velivolo che riportava a casa i Granata, con tecnici, dirigenti e giornalisti, si schiantò sulla collina della Basilica di Superga in una tragedia che vide scomparire tutti i passeggeri a bordo. La paura a seguito di questo evento portò la nazionale italiana a preferire un trasferimento via mare.

La finale si giocò con una postilla: la classifica del girone finale vide il Brasile avanti di un punto sull’Uruguay; oltre al vantaggio dei 200.000 spettatori del Maracanã, ai padroni di casa sarebbe bastato un pareggio per essere campioni e alzare la Coppa del Mondo.

Il trofeo della vittoria alata, la Coppa Rimet, fu rimesso a disposizione del campionato grazie al lavoro degli italiani Ottorino Barassi e Giorgio Vaccaro che la custodirono durante gli anni bellici, impedendo che la Coppa finisse in mani naziste.

La finale del 1950 è una delle più iconiche e drammatiche in assoluto nella storia dei mondiali di calcio. Dopo un primo tempo terminato sul 0-0, il Brasile segnò il gol del vantaggio. A quel punto, per perdere il Mondiale, la Seleção avrebbe dovuto subire due gol, uno scenario che sembrava allora molto improbabile in unico tempo di gioco. Al 66esimo Schiaffino, attaccante dell’Uruguay, pareggiò, e 13 minuti più tardi Alcides Ghiggia segnò il gol del vantaggio uruguayano, in un clima surreale. La partita finì 2-1 e l’Uruguay concluse il girone con 5 punti, vincendo l’edizione e conquistando il suo secondo titolo mondiale, ribaltando forse il fattore campo più schiacciante della storia del calcio.

Al termine della partita, numerosi tifosi del Brasile ebbero malori, alcuni sugli spalti e molti altri nel resto del Brasile, contando 56 morti per arresto cardiaco e 34 suicidi avvenuti allo stadio e nei giorni successivi alla finale; si parlò di delusione per la sconfitta e di forti investimenti di denaro in scommesse sulla vittoria del Brasile. Il paese proclamò tre giorni di lutto nazionale, e la sconfitta brasiliana contro ogni pronostico passò alla storia con il nome di “Maracanazo”. Nei giorni successivi alla finale tutti i giornali brasiliani riportarono il medesimo titolo in prima pagina: “Nunca mais”, mai più.

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Chiara Calabria

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