Il periodo a cavallo tra gli anni 70 e gli anni 80 mise a dura prova la popolazione argentina. Allora, infatti, al governo si trovava Jorge Rafael Videla che rimase al potere dal 1976 al 1983, e per tutta la durata del suo mandato il terrorismo di stato venne giustificato con il progetto denominato “Processo di Riorganizzazione Nazionale”. Quotidianamente, intellettuali, artisti, militanti politici e giornalisti, rimanevano vittima di sequestri, torture, assassini e sparizioni forzate. Le madri delle persone scomparse, davanti al silenzio delle autorità, presero in mano la situazione, creando, nel 1977, il movimento “Madri di Plaza de Mayo”, con l’obiettivo di fare giustizia per i propri figli.
Il primo collettivo nacque su iniziativa di Azucena Villaflor che, in seguito al sequestro del figlio Nastor de Vicenti e della sua compagna Raquel Mangini nel novembre 1976, iniziò la ricerca dei due ragazzi. A lei, con l’aumentare delle sparizioni, si unirono molte altre madri che avevano visto i propri figli sparire in circostanze simili e alle quali il governo e le autorità non avevano dato nessuna risposta riguardante la loro localizzazione. Il 30 aprile 1977 nella Plaza de Mayo di Buenos Aires, di fronte alla Casa Rosada, il palazzo presidenziale argentino, 14 madri iniziarono la protesta, camminando in giro per la piazza per evitare la concentrazione di persone in un solo punto, azione che le avrebbe permesso di aggirare la legge “Estado de Sitio”, per la quale lo stato poteva intervenire militarmente in caso di gravi disturbi dell’ordine pubblico. L’opera di protesta continuò ogni giovedì nella stessa piazza dove le madri continuavano a marciare insieme ai sostenitori da ogni parte del paese. Con loro portavano sempre un fazzoletto bianco, a ricordo sia di un pannolino che della colomba della pace.
Grazie all’aiuto di organizzazioni nazionali e internazionali per la difesa dei diritti umani le madri di Plaza de Mayo si trasformarono da un gruppo di casalinghe, rinominate dal regime “le pazze di Plaza de Mayo” in un’organizzazione conosciuta al livello internazionale. Quando la protesta iniziò ad ottenere una risonanza internazionale, il regime fece sequestrare, torturare, uccidere e gettare da un aeroplano tre delle fondatrici, Mary Ponce de Blanco, Ester Ballestrino de Careaga e Azucena Villaflor de Vincenti. Nonostante la politica di terrore messa in atto dal governo, e nonostante le violenze subite dalle stesse madri, in seguito alla morte di queste donne la lotta continuò. La vita per le madri coinvolte non era resa difficile solo dal governo, quanto anche da una situazione di distacco creatasi intorno a loro. Gli amici, i vicini, a volte persino i familiari, arrivavano ad ignorarle per paura di ripercussioni da parte delle autorità.
La dittatura di Jorge Rafael Videla terminò nel 1983 quando l’Argentina si trovò ad affrontare non solo gli abusi di massa contro i diritti umani ma anche il disastro economico e la sconfitta delle isole Falkland, eventi che misero il paese in ginocchio. Da allora la protesta si trasformò in una richiesta di processi per i militari coinvolti nella repressione. Si consolidarono infatti una serie di processi come la Commissione Nazionale sulla Sparizione di Persone, i processi di giudizio per le giunte militari, l’esumazione dei cadaveri e i risarcimenti economici per le famiglie delle vittime della dittatura. La prima indagine, denominata Nunca Más, si è svolta nel 1985 e ha concluso che, negli anni della dittatura, le vittime di sparizione forzata furono più di 30mila, tutte rinchiuse nei 380 centri di detenzione e tortura clandestini. Dall’anno successivo le Madri di Plaza de Mayo si divisero in due organizzazioni: l’organizzazione principale con a capo Hebe de Bonafini, rifiutò di riconoscere la morte dei dissidenti argentini finché i responsabili degli assassini non fossero stati assicurati alla giustizia, mentre il secondo gruppo, secessionista, definito la Linea Fondatrice, si concentrò sul recupero dei resti delle vittime.
Il Parlamento europeo ha conferito alle Madri di Plaza de Mayo il premio Sacharov nel 1992, il cui importo fu utilizzato per finanziare varie iniziative sociali, tra cui la Universidad Popular de Plaza de Mayo. Alcune madri sono ancora oggi alla ricerca di nipoti nati in carcere e mai restituiti alle famiglie. Grazie alle ultime tecnologie e al sostegno dei tribunali sono riuscite, tramite il riconoscimento genetico, a trovare i propri nipoti. Il fardello che queste donne continuano a portare sulle proprie spalle sta anche nella continua disapprovazione da parte dei propri familiari che, ora come allora, non vedono di buon occhio il loro impegno politico. Le Madri di Plaza de Mayo insieme ai loro fazzoletti bianchi, per anni hanno lottato per la verità e per la giustizia, per opporsi a un regime che aveva come politica quella di violare non solo il diritto alla libertà, ma anche il diritto alla vita.
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L'Autore
Chiara Giovannoni
Chiara Giovannoni, classe 2000, è laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università di Bologna. Attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Strategie Culturali per la Cooperazione e lo sviluppo presso l’Università Roma3.
Interessata alle relazioni internazionali, in particolare alla dimensione dei diritti umani e alla cooperazione.
E’ volontaria presso un’organizzazione no profit che si occupa dei diritti dei minori in varie aree del mondo.
In Mondo Internazionale ricopre la carica di autrice per l’area tematica Diritti Umani.
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