Sia in patria che nelle relazioni internazionali, il presidente americano sembra promuovere idee e metodi illiberali, in linea con quelli del presidente russo, Vladimir Putin. Nello sconvolgente incontro-scontro televisivo ha persino definito il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, come un "dittatore".
Ha accusato l'Ucraina di aver prolungato la guerra per tre anni, iniziata, secondo lui, a causa della prospettiva di adesione alla NATO offerta a Kiev. Sembrava che a parlare fosse l’autocrate russo Vladimir Putin !
La confusione generale è comprensibile data questa incredibile svolta della Casa Bianca: una china scivolosa verso l'illiberalismo, il disprezzo per il diritto internazionale, le aspirazioni neo-imperialiste, la politicizzazione dell'apparato statale, la confusione tra interessi pubblici e privati e un atteggiamento settario nei confronti della sua leadership sia nel suo team che nei media conservatori ricchi di propaganda.
Insomma, gli Stati Uniti si stanno "putinizzando" ad alta velocità. Tuttavia, questo neologismo non copre una stretta equivalenza, poiché ogni paese ha i suoi punti di forza e la sua storia, ma in questa riflessione è decisamente più simile a una contaminazione di idee, una sorta di trasferimento di cultura politica.
Come Putin, Trump parla un “linguaggio di potere” che non conosce controlli ed equilibri interni.
Ledendo la natura stessa del governo federale degli Stati Uniti, l'eredità democratica del New Deal e il contratto sociale americano, il presidente degli USA parla un linguaggio analogo a quello del suo omologo russo. Alle Nazioni Unite, Washington e Mosca potrebbero ora parlare con una sola voce. Per ora e sull'Ucraina. Più tardi, forse, per difendere la medesima visione del mondo. Ad esempio, gli Stati Uniti e la Russia hanno concordato il 24 febbraio scorso di votare una risoluzione sul conflitto ucraino che però non nomina neanche lontanamente l’esistenza di un protagonista aggressore.
Quindi…?
Donald Trump e Vladimir Putin usano la stessa risma di parole allorché rivendicano galatticamente "missioni divine", riportando i rispettivi paesi alla aspirata grandezza, e affidati loro da un pronunciato onnipotente, che tuttavia difficilmente è nella condizione di contraddirli. Il presidente degli Stati Uniti non ha mancato di vantarsi che la sua controparte aveva colto la sua posizione di "buon senso" durante la loro conversazione, a dimostrazione dell'inesauribile capacità del presidente russo di giocare sull'incurabile narcisismo del repubblicano. Finora sono rimasti pochi dubbi sul fatto che Trump stia usando il medesimo linguaggio di Putin, non il contrario.
Ovvero….
È la ben nota lingua del potere che non conosce la democrazia e disdegna quei necessari controlli ed equilibri virtuosi che finora hanno definito il sistema politico degli Stati Uniti come campione del sistema democratico; che sostituisce il “wokeismo” di stampo progressista, accusandolo all’incirca di tutti i mali, con un “wokeismo” di segno conservatore, ma affermato tramite metodi censori e diktat ad impronta semantica. Allo stesso tempo, rivoltandosi, rivendica per sé la bandiera del mondo delle più colorate libertà democratiche.
Il grande quanto obbligatorio riallineamento in corso, sia all'interno che all'esterno dei confini degli Stati Uniti, non è il medesimo del prodotto dell’ondata di voti legati alla vittoria elettorale di Trump ma piuttosto quello determinato da una tempesta perfetta.
È l'incrocio del revanscismo di un uomo, dello sforzo a lungo termine della destra americana contro la storica eredità democratica del New Deal di Roosevelt degli anni '30 e della “Great Society” di Lyndon Johnson degli anni '60, e non in ultimo della messa in discussione ancora più radicale del contratto sociale con gli americani più conservatori del Midwest, portata avanti da alcuni “oligarchi” che gravitano nell'orbita del nuovo presidente; per quanto sta apparendo, non meno supini e pericolosi di coloro che orbitano intorno al Cremlino.
Per convinzione o opportunismo
Questo revanscismo è evidente pure nella sottomissione del governo federale e particolarmente manifesto in alcune personalità degli uomini posti a capo dell'FBI, come Kash Patel e Dan Bongino.
Come potranno proseguire gli eventi da qui?
La risposta più onesta e aderente alla realtà è che al di là delle dichiarazioni pronunciate a caldo nessuno ancora lo sa, tranne Trump, e forse nemmeno lui. Il suo “sfogo” in tv potrebbe essere stato spontaneo, o potrebbe essere stato accuratamente e premeditatamente preparato e calcolato. Nel corso del suo primo mandato Trump ha dimostrato di essere non solo un grande politico ma anche un formidabile giocatore di poker.
Lo stile di negoziazione caotico e dirompente di Trump, unito al suo ben noto gusto per gli atti performativi pensati per emozionare istintivamente la sua base “MAGA” e intimidire gli avversari, significa che entrambe le motivazioni sono plausibili.
Per saperne di più bisogna ignorare le dichiarazioni dei protagonisti e dedicare la massima attenzione nel breve termine, ma bensì se Trump ridurrà davvero e/o in maniera sensibile le forniture di armi statunitensi dirette verso il territorio del conflitto in Ucraina.
Sebbene a dicembre scorso, The Donald abbia asserito che avrebbe potuto ridurre gli aiuti militari statunitensi all'Ucraina una volta raggiunta la sala ovale, ciò non è ancora minimamente accaduto sia alla osservazione dei fatti che nei comunicati del Dipartimento di Stato.
La capacità dell'Ucraina di tenere a bada la Russia dipende dal mantenimento del flusso di armi statunitensi. Va da sé che tutto cambierebbe se ciò si fermasse.
Attualmente l'Europa non può compensare tale deficit con la necessaria rapidità. Quindi, mentre i fuochi d'artificio retorici tra Trump (e Vance) e Zelensky catturano i titoli dei giornali (subito dopo lo “scontro” lo stesso Trump ha detto che l'incontro-scontro è stato una "grande televisione"…!), i fatti tangibili contano più delle parole.
Trump senza dubbio crede di essere uscito vincitore dallo scambio odierno con Zelensky. La sua propaganda lo richiede. Ma in questo modo potrebbe aver complicato il suo tentativo di negoziare la fine della guerra in Ucraina.
È sempre stato dubbio che il presidente russo Vladimir Putin accetterà termini diversi da quelli da lui dettati. Questi includono, tra le altre cose, che l'Ucraina conceda un territorio oltre a quello che la Russia ha già preso con la forza.
Il rimprovero di Trump a Zelensky non fa che incoraggiare Putin a credere che otterrà ciò che vuole se rimane fermo. Quindi il battibecco pubblico di Trump con Zelensky sembra difficilmente coerente con la “sublime” arte dell'accordo.
Ovviamente, Trump potrebbe dare seguito alla sua minaccia implicita di oggi e lavarsi le mani dell'Ucraina. Ma ciò comporterebbe grandi rischi politici per la sua presidenza: Trump potrebbe pensare bene di Putin, ma la maggior parte degli americani non la pensa in questo modo.
Lasciare gli ucraini alla mercé delle forze russe potrebbe danneggiare Trump tanto quanto il ritiro fallimentare dall'Afghanistan ha danneggiato il passato presidente, Joe Biden.
Ciò che è apparso chiaro dall'incontro-scontro odierno è che la politica estera degli Stati Uniti sotto Trump non seguirà il percorso che ha seguito negli ultimi ottant'anni, come se questo punto dovesse essere dimostrato di nuovo.
Il quarantasettesimo presidente rimane più concentrato sulle presunte carenze degli amici dell'America che sulla resistenza a una potenza predatoria come quella di Mosca, che minaccia gli interessi degli Stati Uniti.
Questa appare più come una ricetta, ma adattata solo per un mondo più pericoloso .
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