La “LGBTQ+ panic defence” come strategia legale negli Stati Uniti

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  Sara Scarano
  09 July 2021
  3 minutes, 46 seconds

Risponde alla denominazione inclusiva di “LGBTQ+ panic defence” la strategia difensiva adottata nei tribunali statunitensi per giustificare qualsiasi reazione violenta posta in essere nei confronti di una persona LGBTQ+, in modo da indurre la giuria a scagionare l’imputato dalle accuse mosse nei suoi confronti. Tale strategia si basa, infatti, sul presupposto implicito che l’orientamento sessuale – nei casi di omosessualità – o l’identità di genere – in caso di persone transgender – della vittima sia da considerarsi motivazione principale per le efferate violenze perpetrate dall’altra persona, violenze che frequentemente culminano in veri e propri omicidi. Una difesa di questo genere trasmette l’idea che la perdita di auto controllo dell’imputato, e le azioni violente che ne conseguono, siano giustificabili se tali azioni vengono inflitte nei confronti di individui LGBTQ+, in quanto interazioni di natura omosessuale sarebbero da ritenersi giustamente ripugnanti per persone cisgender o eterosessuali, nonché tali da causare legittimi accessi d’ira. Già nel 2018 [1], Jenny Pizer, direttrice legale e politica del gruppo di difesa LGBTQ Lambda Legal, sottolineava quanto una strategia del genere sia deleteria per le persone appartenenti alla comunità, poiché rafforza l’assunto che vi siano categorie di individui la cui vita ha minor valore in quanto non rispecchiano un canone eterosessuale e cisgender.

Questa tipologia di tattica legale ottenne un primo riconoscimento negli anni ’60, al tempo in cui l’omosessualità era ancora catalogata tra le malattie mentali. Un primo caso in cui essa venne usata fu durante il processo del californiano Joseph Rodriguez, il quale – sotto accusa per omicidio – costruì la sua linea difensiva sulla base di un presunto “panico omosessuale” che avrebbe portato l’imputato a commettere l’omicidio a causa della paura di essere molestato sessualmente dalla vittima. Un caso recente, invece, risale al 2015, con il ritrovamento del cadavere del trentaduenne Daniel Spencer nella sua casa. James Miller, imputato per l’omicidio in questione, utilizzò proprio la “gay panic defence” come punto focale della sua difesa.

Tradizionalmente la LGBTQ+ panic defence è usata in tre modi per mitigare casi di omicidio o altro tipo di violenza: la prima delle tre forme è detta “difesa per infermità mentale o ridotta capacità” e si presenta come asserzione di un sopravvenuto crollo nervoso nell’imputato, scaturito da proposte di natura sessuale avanzate dalla vittima. Tale tipologia si basa su un presunto disturbo psicologico, detto “gay panic desorder”, la cui esistenza fu confutata dall’American Psychiatric Association nel 1973. Ciononostante, dal punto di vista legale una tale giustificazione è ancora frequentemente utilizzata. La seconda forma è la “difesa da provocazione”. Essa consentirebbe all’imputato di attestare quanto le proposte sessuali avanzate dalla vittima fossero una provocazione sufficiente per ricorrere all’omicidio. La terza ed ultima forma è detta “difesa per autodifesa” e con essa l’imputato è in grado di affermare la propria convinzione riguardo al fatto che la vittima – in virtù del suo genere o del suo orientamento sessuale – fosse sul punto di causare danni fisici all’imputato stesso e dunque qualsiasi azione intrapresa sia catalogabile come legittima difesa.

L’esistenza stessa di una tale pericolosa strategia difensiva contribuisce grandemente ad alimentare i crimini d’odio commessi ai danni delle persone LGBTQ+, i quali, solo nel 2019, ammontavano a 1.656, ovvero circa il 18.8% dei casi totali.

Il 31 marzo 2021 – durante l’International Transgender Day of Visibility – la Virginia è divenuta il dodicesimo dei cinquanta stati americani ad aver approvato un divieto legislativo all’uso della LGBTQ+ panic defence come legittima forma di difesa legale, insieme a stati quali California, Illinois, Rhode Island, Nevada, Connecticut, Maine, Hawaii, e New York. Una simile proposta di veto è stata avanzata ma non ancora introdotta in altri tredici stati: Iowa, Maryland, Nebraska, Florida, Oregon, New Mexico, Vermont, New Hampshire, Minnesota e Massachusetts hanno iniziato un percorso legislativo verso l’abolizione definitiva di tale procedura entro la fine del 2021.

Fonti consultate per il presente articolo:

[1] 'Gay panic' defense still used in violence cases may be banned by new federal bill - ABC News (go.com)

What Is Gay Panic Defence And Where It’s Still Legal • GCN

LGBTQ+ "Panic" Defense - The National LGBT Bar Association

The Gay/Trans Panic Defense: What It is, and How to End It (americanbar.org)

Virginia signs ban on gay and trans panic defences (pinknews.co.uk)

The Failed Logic Of "Trans Panic" Criminal Defenses (buzzfeed.com)

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Sara Scarano

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