A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS
La politica estera che Donald Trump adotterà nei confronti dell'Europa durante il suo secondo mandato avrà conseguenze di vasta portata e, forse, anche gravi. Ultimamente, alcuni analisti ipotizzano duramente che la stretta relazione geostrategica vigente tra Europa e America, che dura da diversi decenni, stia per cambiare. Ovvero che gli europei dovrebbero preoccuparsi meno della presidenza USA e maggiormente di come l'Europa possa farcela ad esercitare la propria autonomia sull’attuale complesso e insidioso palcoscenico globale.
Il cinismo di ieri, per certi versi azzardato e inaccettabile, sul declino dell'impegno americano in Europa diventa il racconto fortemente ammonitore di oggi. Con Trump come presidente, questa preoccupazione si approfondirà notevolmente, in particolare per quanto concerne l’entità e qualità degli scambi commerciali, la difesa di teatro e strategica e, non in ultimo, la sicurezza a tutto campo.
La storia
Nella sua prima presidenza, Trump ha applicato una serie di dazi o comunque dei provvedimenti ritorsivi e ingaggiato addirittura guerre commerciali con stati, aziende e regioni, tra cui l'Unione Europea. Sappiamo già dalle sue dichiarazioni programmatiche che questa tendenza sarà destinata a continuare, tra cui l'imposizione di dazi del 10-20% (o più) su tutte le importazioni, con un'attenzione particolare nei confronti di stati chiave per l’economia mondiale come la Germania e/o aziende industrialmente determinanti, come ad esempio il gruppo Mercedes-Benz.
La scelta più volte dichiarata apertis verbis di Trump è quella di ripristinare in vigore le catene delle forniture a vantaggio degli Stati Uniti, sia tramite tariffe aumentate e/o assicurando una superiore attività di assemblaggio post-produzione di beni esteri ma all’interno del territorio USA. Come si vede, si tratta di poste in gioco di elevatissima portata, anche perché gli Stati Uniti costituiscono pur sempre il più grande partner commerciale dell'UE, con volumi sempre crescenti di beni e servizi acquistati da ambo le parti.
Ma l’Europa è pronta a queste trasformazioni?
Non solo la Commissione europea ha affilato le proprie intenzioni su una serie nutrita di meccanismi commerciali, tecnologici, di intelligenza artificiale e di investimenti progettati per tenere a bada la superiorità del sistema americano. Ma la guerra commerciale tanto attesa è già stata preparata, almeno per quanto riguarda i termini posti a protezione degli interessi finanziari dell'UE.
Al momento attuale, la Commissione europea è focalizzata sull'aumento dell'autosufficienza complessiva dell'UE nell’ambito della big tech, tra cui la tecnologia climatica e i nuovi utilizzi delle materie prime, specie quelle energetiche. Ciò probabilmente solleverà discussioni animate con gli USA, così come le discussioni tuttora irrisolte sulla produzione e transizioni dell’acciaio.
L'antipatia di Trump per l'Europa non è una novità.
E non è solo personale: Washington non è più popolata da decisori politici con una naturale empatia per l'Europa, a prescindere dai rapporti personali. Anche sotto i presidenti Barack Obama e Joe Biden, Washington si è spostata con chiarezza, e forse in modo permanente, dall'Europa e dalla Nato verso il confronto con la geopolitica e le potenze asiatiche. Che si tratti di una riduzione del numero delle truppe o di un minore interesse diplomatico nei confronti dell'Europa da parte dei funzionari del Dipartimento di Stato, l'atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti dell'antico continente varia, nella migliore delle ipotesi, dall'indifferenza alla viva contrarietà nella peggiore.
Gli Stati Uniti sono passati dai livelli di elevata cooperazione successiva alla guerra fredda del 1994 a un viraggio di attenzione verso l'Asia intorno agli anni 2000. Ora, sullo stimolo di una radicata partigianeria, dall'isolazionismo e dalla seconda vittoria di Trump, Washington resta soddisfatta del continuo "declassamento dell'Europa nella psiche delle élite americane", come egli stesso dice.
Ciò avviene, nonostante la riduzione critica dell’enorme prevalenza e vantaggio geopolitico che gli Stati Uniti hanno nei confronti della leadership europea all’interno della NATO e le relazioni specifiche con i singoli paesi europei. Come presidente, Trump non farà altro che accelerare questa tendenza.
Nei Paesi Baltici
Tra i paesi baltici c'è già l'aspettativa che Trump spingerà gli stati europei a una maggiore spesa per la difesa. Tuttavia, agli occhi di alcuni, la richiesta di Trump non è una cosa negativa in sé e per sé. Il suggerimento secondo cui l'Europa assumerà gradualmente maggiori oneri e responsabilità per la sua sicurezza e difesa riecheggia prospettive sempre più sostenute a Bruxelles stessa. In effetti: ora è il momento per l'Europa di riconoscere finalmente il suo approccio fiacco e frammentato al coordinamento della difesa.
Per i paesi baltici, la questione di come migliorare il coordinamento della difesa e di come regolarne gli onerosi finanziamenti è fondamentale per affrontare la minaccia rappresentata da un Putin aggressivo e affamato di territorio da aggiungere ai propri confini.
E il caso che la Nato si svegli ?
L'ultima volta, Trump è stato ferocemente critico nei confronti della Nato, in gran parte perché gli Stati Uniti forniscono la quota maggiore di contribuzione per la sua difesa e mantenimento. Nel 2016, Trump riteneva che ciò incoraggiasse il free-riding (idioma con il quale si indica il problema del “passeggero non pagante”) tra gli altri membri, felici di contribuire meno ma a spese e detrimento degli Stati Uniti.
Questa volta, Trump ha intensificato i suoi giudizi negativi sul fatto che gli alleati della Nato non stanno ancora adeguando a sufficienza la propria contribuzione all’alleanza. Ciò lascia aperta la questione se gli Stati Uniti difenderebbero comunque un altro membro in caso di attacco o addirittura abbandonerebbero l'organizzazione.
La Svezia è entrata di recente nella NATO e teme l'espansionismo aggressivo della Russia.
Le opzioni di Trump riguardo all'Ucraina sono semplici: armarla oppure abbandonarla. La prima opzione rischia di congelare le linee di battaglia e imporre una pace imperfetta all'Ucraina, la seconda offre al presidente russo Vladimir Putin una vittoria soddisfacente, portando una Russia aggressiva proprio sulla soglia geografica dell'UE e della NATO.
Ciò è particolarmente preoccupante per gli Stati baltici: con l'Ucraina sopraffatta, il fianco orientale dell'UE e della NATO rimarrebbe esposto, il che a sua volta destabilizzerebbe la sicurezza collettiva europea. Da una prospettiva di politica estera, la frustrazione è che i decisori europei semplicemente non possono essere sicuri di cosa farà effettivamente Trump dopo.
Gli Stati Uniti al loro apice avevano da offrire una forza politico militare schiacciante insieme ad una certa dose di prevedibilità. Ma senza entrambe le cose, il loro approccio sugli eventi europei rischia di non essere lo stesso.
Amici in alcuni posti
La vittoria di Trump sarà accolta calorosamente da alcuni europei, in particolare da quelli dei partiti di estrema destra che ora avranno fiducia in una Casa Bianca che condivide i loro approcci ideologici. Allo stesso modo, Trump potrebbe persino prestare un sostegno attivo ai governi di estrema destra in Ungheria e Italia.
Ci sono molte opportunità.
Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha trascorso anni coltivando personalmente un profondo legame, personale e politico, con Trump e i Repubblicani. Il primo ministro italiano, Giorgia Meloni, potrebbe continuare lo stesso gioco di equilibri con i quali ha avuto successo all'interno dell'Unione Europea su questioni chiave, tra cui l'immigrazione. Altri, come il Regno Unito e la Commissione Europea, dovranno giocare con maggiore determinazione la carta del pragmatismo oppure essere pronti a reagire e colpire duramente un po’ su tutto, dai dazi isolazionisti agli impegni strategici, nazionali e continentali, della difesa.
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Redazione
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