Vivere Lampedusa. L'altro lato dell'isola

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  Francesca Bellini
  24 November 2022
  3 minutes, 34 seconds

Nella sua bellezza, come noto, Lampedusa è conosciuta per essere uno fra i principali porti di approdo da gruppi di migranti che, su imbarcazioni spesso precarie, affrontano il Mar Mediterraneo per lasciare le coste Nord Africane e raggiungere l’Europa. Migliaia e migliaia di persone ogni mese sbarcano su questo molo italiano venendo soccorsi dagli operatori delle tante organizzazioni che lavorano sul territorio. Chiara è al servizio di una organizzazione impegnata tutto l’anno nel prestare un servizio di prima accoglienza. “La situazione degli sbarchi varia: in estate il lavoro è intensissimo, mentre in autunno e in inverno la frequenza è più altalenante. A novembre si è passati da settimane con migliaia di arrivi ad alcune con pochi sbarchi. È un ritmo a fisarmonica imposto dalle condizioni metereologiche”, testimonia Chiara.

Recentemente, oltre che dalla Libia, sempre più persone decidono di salpare da Sfax in Tunisia. A partire sono uomini, donne e bambini, generalmente provenienti da paesi dell’Africa Subsahariana. A questo cambio di provenienza conseguono modifiche nelle imbarcazioni d’arrivo. Dalla Libia i migranti viaggiano su dei barconi generalmente più grossi, dalla Tunisia invece sembra che la tendenza sia quella di partire con barche più piccole, spesso in latta, saldate in qualche modo la notte prima della partenza. Negli ultimi mesi, a cause del mare più mosso e di queste imbarcazioni precarie, ci sono stati diversi morti, causati perlopiù per annegamento o ipotermia. “A novembre una donna di quaranta anni è deceduta appena arrivata per arresto cardiaco. Pochi giorni dopo un bambino di venti giorni ha perso la vita per ipotermia. Vedere la reazione della sua famiglia è stato straziante- racconta Chiara-. Il nostro ruolo agli arrivi è di natura umanitaria e politica. Quando le persone sbarcano le accogliamo con acqua, coperte termiche, cibo, vestiti e giocattoli per i bambini. Il nostro ruolo non vuole in alcun modo sostituire i doveri e le responsabilità che le istituzioni hanno nei confronti di queste persone. Al contrario, una delle nostre principali mansioni politiche è proprio quello di mediare fra lo Stato e le persone che arrivano. Le nostre attività sono soprattutto di supporto, siamo anche lì per giocare con i bambini o per parlare con le persone sbarcate. Agiamo come intermediari, cercando di ridurre le pressioni a cui i migranti appena arrivati si trovano sottoposti”.

Il lavoro di queste organizzazioni, a tratti, può assumere un carattere conflittuale per far garantire che i diritti dei migranti vengano rispettati. A livello pratico, per esempio, se un pulmino ha nove posti, operatori come Chiara fanno sì che non avvenga un sovraffollamento, allo stesso modo se una persona sta male si insite con gli operatori sanitari presenti per far sì che venga vistata e, se necessario, ricoverata prima di essere traportata all’hotspot. Infatti, i migranti che riescono ad uscire vivi dal viaggio in mare, una volta a Lampedusa vengono trasferiti dal molo agli hotspot, dei centri in cui avviene l’identificazione e si vive in attesa, anche per settimane, di poter tornare in libertà.

Dal racconto di Chiara emerge una grave problematicità legata a questo tipo di interventi umanitari: si tratta di azioni mirate, che agiscono in situazioni emergenziali, a cui però non consegue un cambiamento nel lungo termine, in cui la buona volontà del singolo, per quanto lodevole e fondamentale, non basta a cambiare il sistema.

Eccetto per gli individui che lavorano al molo, in questi mesi l’isola si trova svuotata ed è infatti in estate che Lampedusa viva la sua più grande contraddizione: essere una meta turistica in un luogo di sbarco. I visitatori ravvivano il paese, inconsapevoli di ciò che accade a pochi metri. “Nonostante nei mesi estivi il lavoro sia intensissimo e gli arrivi siano tantissimi, i migranti rimangono invisibili. A parte il momento dello sbarco- continua Chiara- tutto il resto è organizzato per essere tenuto allo scuro. Una volta arrivate le persone vengono subito trasportate nell’hotspot, lontano da occhi indiscreti in una valle fra le colline lampedusane. È tutto nascosto per permettere che la vita sull’isola possa proseguire tranquillamente, e che il problema, ancora una volta, resti negato”.

Foto: https://www.pexels.com/it-it/f...

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Francesca Bellini

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