Migranti climatici: la nuova frontiera delle migrazioni

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  Alessia Marchesini
  09 dicembre 2022
  3 minuti, 39 secondi

Quando si pensa alla figura del migrante, spesso l’immagine più immediata è quella di una persona che scappa dalla guerra, dalla miseria e da condizioni socio-economiche disumane. Tuttavia, c’è un altro fattore che spinge le persone ad abbandonare la loro casa e il loro paese: il cambiamento climatico.

Le migrazioni dovute al clima non sono certo una novità, la storia dell’umanità è infatti caratterizzata da numerose ondate migratorie dovute al clima, in primis quella che portò i nostri antenati a lasciare l’Africa, dirigendosi verso il continente europeo e il resto del mondo.

Ad oggi però, la situazione climatica è ben lontana dalla normalità, e di conseguenza anche le migrazioni dovute al clima rappresentano delle anomalie nella storia.

Si stima infatti che tra il 2008 e il 2014 circa 184 milioni di persone sono state costrette a lasciare la propria città, o addirittura il proprio paese, a causa del cambiamento climatico.

Tuttavia, i dati che abbiamo a disposizione sono molto incerti, il numero infatti potrebbe essere anche superiore, e questo perché non è facile determinare le reali cause che portano le persone a migrare.

Infatti, escludendo i conflitti, che sono una causa più immediata da individuare e che conferiscono lo status di rifugiati ai migranti, le altre motivazioni che inducono le persone a spostarsi altrove sono molteplici e spesso concatenate.

Alla fine del 2020, ad esempio, è stato registrato un numero record di migranti che dall’America Latina e Centrale cercavano di spostarsi verso gli Stati Uniti. Oltre al tentativo di sfuggire alla criminalità e alla disuguaglianza, che da sempre caratterizzano quest’area geografica, vi era un numero esorbitante di persone che sfuggivano alla fame. Questi migranti, fino a qualche tempo fa, erano in grado di sopravvivere con quello che la terra riusciva ad offrire loro, ma negli ultimi tempi i loro raccolti erano stati sistematicamente distrutti da alluvioni e inondazioni, oppure, nei periodi estivi, non erano nemmeno riusciti a seminare, a causa della desertificazione del suolo e della siccità dilagante.

Questi, dunque, sono i migranti climatici: persone che scappano dalla loro terra perché questa non è più in grado di nutrirli, che scappano dalla loro casa perché spazzata via da un qualche disastro naturale, o che scappano dalla loro città natale perché diventata inabitabile a causa dell’innalzamento delle temperature.

Migranti di questa tipologia dobbiamo aspettarcene sempre di più; infatti, le previsioni per il prossimo futuro sono davvero allarmanti. Si stima che entro il 2050 almeno 17 milioni di persone fuggiranno dall’America Latina a causa del clima, 86 milioni dall’Africa Subsahariana – area geografica in assoluto più colpita dal cambiamento climatico e meno preparata a far fronte alle conseguenze – e circa 40 milioni dall’Asia, in particolare dal Pakistan, dallo Sri Lanka, dal Nepal, dalla Cina e dall’Afghanistan.

Tuttavia, come già sottolineato, c’è un problema nel riconoscimento di queste persone come migranti climatici. In primis perché loro stessi spesso non sono consapevoli che la causa del loro spostamento sia il cambiamento climatico e, soprattutto, perché non esistono convenzioni internazionali per la loro tutela.

C’è però un barlume di speranza: è innegabile che negli ultimi anni la consapevolezza a livello internazionale sul clima sia aumentata considerevolmente, così come quella sull’iniquità delle perdite e dei danni subiti dai paesi a causa del cambiamento climatico. Di conseguenza, è auspicabile che la problematica dei migranti climatici venga presa sempre più in considerazione, magari all’interno del dibattito sul loss and damage, dal momento che spesso i danni causati dalle politiche sconsiderate dei paesi sviluppati si ripercuotono sulle aree geografiche, prevalentemente in via di sviluppo, da cui fuggono la maggior parte dei migranti climatici.

È il momento, dunque, di assumersi delle responsabilità nei confronti dei Paesi più colpiti dalle nostre azioni, non solo attraverso un sostegno economico – come stabilito dal loss and damage mechanism, finalmente approvato alla Cop27 – ma anche riconoscendo l’esistenza di questi migranti e il loro diritto a vivere in un ambiente sicuro.

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Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.duegradi.eu/news/migranti-climatici/

https://www.lifegate.it/the-climate-limbo-documentario-migranti-climatici

https://www.actionaid.it/informati/notizie/cambiamenti-climatici-aumentano-migrazioni

https://www.youtube.com/watch?v=mEZoCg2hWds

https://www.internal-displacement.org/database

Immagine: https://unsplash.com/photos/MX... 

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L'Autore

Alessia Marchesini

Classe '99, si laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna. Attualmente frequenta un Master in Politiche, Progettazione e Fondi Europei presso l'Università di Padova. I suoi interessi più grandi sono la storia e la geopolitica, ma anche la natura e la tutela dell'ambiente. Da convinta europeista, ha deciso di cimentarsi nello studio e nell'approfondimento degli strumenti che l'Unione Europea mette a disposizione di stati e cittadini per rispondere alle esigenze del nuovo secolo, in particolare quelle focalizzate su lavoro, transizione energetica ed ecologica.

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