Tramonta il Piano Kallas: quali soluzione a sostegno dell'Ucraina in futuro?

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  Tiziano Sini
  26 marzo 2025
  3 minuti, 1 secondo

Che quello attuale fosse uno dei periodi maggiormente critici del secolo, è ormai evidente. Un crocevia che con ogni probabilità avrà ripercussioni storiche profondissime.

Proprio in questa fase, l’ascesa di Trump sembra aver accelerato ulteriormente il processo di cambiamento e ridefinito i rapporti internazionali, in un lasso di tempo davvero breve, a partire proprio dalla guerra in Ucraina.

La contestuale apertura di negoziati internazionali, sia con la Russia che con l’Ucraina – i cui rappresentanti si sono recentemente recati in Arabia Saudita con le rispettive delegazioni - dimostra la volontà ferrea da parte dell’amministrazione Trump di perseguire i propri obiettivi, anche a scapito dei rapporti internazionali e delle partnership storicamente consolidate. Un riferimento quest’ultimo, in particolare all’Unione europea, che mai come in questo momento dal dopoguerra si è trovata distante ed isolata dall’alleato americano.

Posizioni e nuovi assetti che hanno costretto, come è ormai noto, le Istituzioni europee a riconsiderare rapidamente il proprio ruolo, con un’attenzione particolare alla difesa comune e al sostegno dell’Ucraina. Questa revisione è stata dettata dal progressivo disimpegno americano, sebbene ancora non del tutto definitivo, ma più volte minacciato per imprimere una accelerazione dei negoziati.

Da un lato, una delle risposte a livello comunitario è stata il lancio dell’iniziativa Rearm (successivamente rinominata Readiness 2030, dopo qualche probabile errore di carattere comunicativo), per potenziare la difesa dell’Unione attraverso un ingente piano finanziario destinato all’industria bellica e al riarmo. Dall’altro, è diventato prioritario aumentare gli sforzi a sostegno dell’alleato ucraino, in particolare fornendo supporto alle spese belliche per evitare il collasso del fronte difensivo; tema discusso proprio durante l’ultimo Consiglio europeo. Una delle principali promotrici dall’inizio del conflitto contro le azioni della Russia è stata l’Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas.

Tuttavia, già nei giorni precedenti, il Piano Kallas, che prevedeva un finanziamento di circa 40 miliardi di euro, aveva sollevato perplessità all’interno delle cancellerie europee. Una volta avviati i lavori, l’iniziativa è naufragata in tempi brevissimi, vittima di negoziati tutt’altro che semplici.

Il principale nodo critico riguardava il meccanismo di finanziamento: ogni Paese avrebbe contribuito in base al proprio peso economico, con il Reddito Nazionale Lordo come parametro di riferimento. Questo sistema è stato fortemente criticato, soprattutto dalle maggiori economie dell’UE, come Italia e Francia, che avrebbero dovuto farsi carico della quota più elevata (per l’Italia si stimava un impegno vicino ai 5 miliardi di euro).[1]

A queste obiezioni si sono aggiunti ulteriori interrogativi: quali altri Paesi avrebbero partecipato e in che misura? In che modo sarebbero stati mobilitati i 18 miliardi di euro provenienti dai beni russi congelati, menzionati nel documento finale? Anche l’appoggio di Canada e Regno Unito non è stato sufficiente a sciogliere questi nodi.

Dubbi e polemiche che hanno definitivamente fatto naufragare l’iniziativa, tanto da far uscire dai radar anche la proposta minima, che prevedeva lo stanziamento di 5 miliardi per le forniture di munizioni all’Ucraina, come richiesto più volte anche dal Presidente Zelensky.[2]

Per quanto il vertice abbia dimostrato esiti insufficienti e il piano definitivamente tramontato, come si evince anche dalle conclusioni pubblicate, ci sono ancora prospettive positive che nei prossimi mesi, ben prima del Consiglio di giugno, venga raggiunta una soluzione negoziale, per un intervento sempre di carattere volontario, in aiuto dell’Ucraina.



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