A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS
Cosa vuole l'estrema destra francese dopo l’esito delle ultime elezioni? La scommessa di Macron ha dato i suoi frutti o gli si è ritorta contro?
Questi sono i due maggiori quesiti posti dall’esito delle ultime elezioni politiche alle forze politiche in Francia. Si potrebbe dire che il risultato avrebbe potuto ritorcersi contro di esse in un modo forse peggiore di quello che è risultato alla fine, ma in definitiva non può dire che possa aver dato pienamente i suoi frutti.
La storia
Quando Macron è salito al potere nel 2017, è arrivato senza una struttura organica di partito ed è riuscito sostanzialmente a ottenere 360 parlamentari dell'Assemblea nazionale in uno scenario che la Francia non aveva mai visto prima di allora. Oggi si ritrova con molto meno e solo 160 scranni in parlamento, il che è meglio di quanto Macron si aspettasse rispetto ai negativi sondaggi della vigilia. Vigeva infatti il timore che il suo partito potesse essere completamente spazzato via o comunque ridotto al lumicino.
Il risultato è che non si è estinto, ma si è verificato pur sempre un macroscopico calo dei consensi e proporzionalmente degli eletti rispetto ai numeri che possedeva in origine, e anche rispetto al suo glorioso motto originale “en marche”, che proponeva come baluardo quasi giacobino contro la destra, sempre identificata in propaganda come un mostro antidemocratico.
A questo punto il quesito politico di base si ripropone: quanto rimane sicura la leadership di Macron nel suo stesso partito e nella coalizione che lo sostiene?
Macron è salito al potere (2017) con un movimento chiamato “En Marche”. Poi si è trasformato in “La République En Marche”. Poi è cambiato ancora una volta in “Renaissance” (Rinascita). E non è finita in quanto in quest’ultima tornata elettorale francese l'ultimo avatar della sua coalizione per la campagna si chiamava “Ensemble Together”. In un certo senso, questa comunicazione da un lato è fortemente simbolica, ma dall’altro è altamente indicativa di qualcosa su ciò che il macronismo era ed è oggi: ovvero è qualcosa che è più difficile e meno comunicabile da comprendere, mentre si concentra ancora molto, anzi troppo, sulla sola figura di Macron.
Il Presidente francese infatti ha un modo di governare molto in solitario. Lo abbiamo visto con la sua decisione improvvisa e subitanea (quasi sbrigativa!) di sciogliere l'Assemblea Nazionale, senza aver avvertito primieramente le altre istituzioni nazionali, come il suo primo ministro, il presidente dell'Assemblea Nazionale e il presidente del Senato, obbligo al quale avrebbe dovuto adempiere secondo il dettato della Costituzione. Ha parlato con loro in seguito, ma la sua decisione era stata già chiara e assunta in precedenza.
Forse Macron pensa che questo sia stato solo un voto di protesta, oppure che gli elettori francesi si collegano alle questioni portate avanti dall'estrema destra?
Di certo, dovrà pensare di dovere prendere in maggiore considerazione la destra di Le Pen, che ha aumentato esponenzialmente il numero dei propri eletti. Nel 2017 la destra aveva otto deputati in parlamento. Oggi ne ha ben 143. Una delle cose che Marine Le Pen ha pronunciato la sera del secondo turno è che la propria marea dei consensi si stava elevando e che percepiva ostentatamente che il suo momento sarebbe giunto a breve. Il che fa pensare che Le Pen sia molto concentrata sulle elezioni presidenziali francesi del 2027.
Gli errori della destra lepeniana
Quello che si è percepito in questa tornata elettorale nazionale è che il Rassemblement National di destra stia imparando dai suoi errori. Intanto si è reso conto di quanto siano stati inadeguati e mediocri tanti candidati del proprio schieramento. E poi lavorerà maggiormente per cambiare le cose, in quanto con un gruppo più folto di parlamentari all'Assemblea Nazionale arriveranno anche maggiori fondi di finanziamento destinati ai partiti. Avrà quindi più soldi per formare assistenti, ricercatori, collaboratori all'interno dell'Assemblea Nazionale.
Il timore è semmai che l’apparato si professionalizzerà ancora di più in quanto i suoi leader hanno questo come obiettivo chiave per la presidenza del 2027. E tre anni sono un bel periodo di tempo per realizzare parecchi progetti di affermazione ed espansione. Insomma, gli analisti non valutano più questi risultati elettorali come un voto di protesta, inconsistente sotto il profilo dei contenuti: non a caso si è visto un livello di affluenza degli elettori molto più elevato in questi due turni rispetto al passato. Fino a questa consultazione elettorale, un livello di affluenza più alto significava solitamente minori consensi per il Rassemblement National. Mentre questa volta, è stato ottenuto un livello sensibilmente più alto di affluenza alle urne e di una quota di consensi più elevata. E’ chiaro che stiamo assistendo ad un voto maggiormente di adesione politica in questo momento, e mostra che c'è qualcosa di più serio nelle politiche identitarie e una componente di accettazione delle idee razziste e antisemite che sono state diffuse largamente nel dibattito pubblico.
Lo vediamo in Francia e in altri paesi europei, ed è qualcosa di cui tutti i sinceri democratici dovrebbero preoccuparsi.
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