Jimmy Carter: presidente, pastore e profeta

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  Redazione
  03 January 2025
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A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Tutti lo ricordano, americani e non, come un vero outsider alla Casa Bianca di Washington. L'ex coltivatore di arachidi divenuto governatore della Georgia vinse la nomination democratica e la Casa Bianca nel lontano 1976. Ma il suo mandato ha presentato momenti di rara difficoltà nella prassi politica sia nazionale e ancora di più internazionale.

Egli non venne rieletto allorché si ripresentò alle presidenziali successive del 1980, superato nei consensi elettorali dal rivale, Ronald Reagan, specie in quanto era verso quest’ultimo che si rivolgevano allora gli elettori di fede evangelica, con i quali Carter si schierava e la cui visione del mondo era, ai suoi occhi, compatibile solo con il progresso sociale. Jimmy Carter, morto all'età di cento anni, è uno dei rari ex presidenti degli Stati Uniti ad essere stato così celebrato durante tutta la sua vita. La sua notevole longevità lo ha reso il capo di stato americano più longevo, sposato (76 anni) e post-presidenziale più longevo (43 anni).

Ancor di più, Carter ha sfruttato al massimo gli ultimi 43 anni dedicandosi a molteplici attività umanitarie, alla risoluzione costantemente pacifica di qualsivoglia conflitto, all'osservazione delle elezioni in molti paesi, alla difesa e al progresso dei diritti umani, all'eradicazione delle malattie e alla protezione dell'ambiente attraverso una sua specifica Fondazione.

Nel 2002 giunse la consacrazione definitiva della sua attività presidenziale, conseguendo il Premio Nobel per la Pace.

Se il comportamento dell'ex presidente ha lasciato il segno, lo è stato meno nei quattro anni trascorsi alla Casa Bianca, anche se recentemente alcuni analisti hanno rivalutato la sua presidenza in modo più positivo tenendo in considerazioni ulteriori elementi storici. Di sicuro, Jimmy Carter, l’unico presidente che fosse allo stesso tempo anche di fede cristiano evangelica, progressista del meridione USA ed esponente del partito democratico degli States, era ed è continuato ad essere considerato bipartisan come una figura eccezionale.

La fede cristiana evangelica come filo conduttore

Tutta l'azione politica di James Earl Carter, Jr. deve essere letta in buona parte alla luce della sua fede evangelica battista particolarmente affermata negli stati del meridione USA, a seguito di un'esperienza di conversione religiosa personalmente vissuta intorno ai suoi quarant'anni. Sarà anche il primo presidente dell'era moderna ad esprimersi così apertamente sulla sua fede.

Presentandosi alle elezioni presidenziali del 1976 come un “cristiano nato di nuovo” secondo la formula logica utilizzata dagli evangelici, dichiarò che “la cosa più importante” per lui era la parola di Gesù Cristo, e riferì prontamente e pienamente la sua fede derivandola totalmente dall’autorità della Bibbia, in quanto autentica “Rivelazione di Dio all'umanità”. Se oggi gli evangelici bianchi (da non confondere con "gli evangelisti" , autori dei Vangeli canonici) sono principalmente associati alla destra e al Partito repubblicano dei GOP, negli anni '70 non era ancora il movimento religioso di adesso: l'opinione pubblica dell'epoca rimaneva ai margini della vita politica ed era attraversata da accesa dialettica tra fondamentalisti e progressisti.

La “Dichiarazione di Chicago”, pubblicata nel 1973 e sostenuta anche da Carter, cercava di sviluppare soluzioni tratte dal dettato biblico ai problemi sociali ed economici, ad esempio sviluppando programmi che articolavano e conciliavano la fede religiosa evangelica con la giustizia sociale nella pratica quotidiana.

Jimmy Carter, influenzato in particolare dal suo mentore, il teologo Reinhold Niebuhr, apparteneva alla seconda categoria. Negli USA, la tradizione dell’evangelismo progressista e socialmente riformista del XIX secolo è tornata alla ribalta negli anni ’70, come illustrato, ad esempio, dalla citata Dichiarazione di Chicago sull’evangelizzazione sociale del 1973, un testo influente che chiedeva il rifiuto del razzismo, del materialismo economico, del militarismo e del sessismo.

È nel contesto del dopo guerra del Vietnam e del dopo Watergate che va compresa l’attrazione esercitata sugli Stati Uniti da un candidato relativamente sconosciuto a livello nazionale, governatore dal 1970 di uno stato del Sud, la Georgia, e appassionato coltivatore di arachidi, un uomo che non proveniva dai circoli del potere di Washington. Tuttavia, prometteva un governo che fosse "onesto, dignitoso, giusto, competente, sincero e idealista come il popolo americano".

Il 2 novembre 1976 fu eletto contro il presidente in carica, il repubblicano Gerald Ford. Rimane fino ad oggi l'ultimo candidato democratico ad aver vinto sia la maggioranza degli Stati del sud che della maggior parte delle contee del paese.

Un presidente moralista e visionario

Il candidato Jimmy Carter era favorevole all'assistenza sanitaria universale, proponeva di tagliare le spese militari e denunciava il codice fiscale come "un programma di welfare solo per i ricchi".

Oggi gli americani privi di assistenza sanitaria sono l’8% dell’intera popolazione. Tuttavia gli stessi ricevono assistenza materiale e sanitaria da una miriade di charities.

Una delle sue prime decisioni come presidente fu quella di mantenere una delle sue promesse elettorali più controverse, ovvero quella di perdonare – e pertanto condonarne la pena - i disertori della guerra del Vietnam.

Carter viene da uno stato come la Georgia dove i sentimenti razzisti sono ancora sensibilmente evidenti e percepibili.

Inoltre, aveva simpatizzato con i segregazionisti durante la sua elezione alla carica di governatore nel 1970; ma non appena ottenuta questa, annunciò che “il tempo della discriminazione razziale è finito” e si schierò poi chiaramente contro la segregazione durante il suo mandato di governatore (1971-1975).

Come Presidente USA (fu insediato il 20 gennaio 1977), non esitò a nominare numerosi rappresentanti provenienti dalle minoranze etniche, così come numerose donne fino alle cariche più elevate, proponendo, in maniera rivoluzionaria per l’epoca ma con successo, la candidatura di una donna di colore, Amalya Lyle Kearse. e una donna ebrea, Ruth Bader Ginsburg, alla compagine dell’importante organo giuridico della “Corte d'Appello del Secondo Grado”, vero e proprio trampolino di lancio per la Corte Suprema, alla quale anche Ginsburg si sarebbe unita nel 1993.

Il suo impegno cristiano per la giustizia e la pace si riflette anche nel suo desiderio di porre i diritti umani al centro pure della sua politica estera, o anche nella sua politica di promozione della pace in Medio Oriente: che darà origine al più grande successo della sua presidenza: gli “Accordi di Camp David” tra Israele ed Egitto del 1978.

Meno conosciuta ma degna di nota per quei tempi è la sua difesa dell'ambiente, che va oltre una generica risposta strategica alla crisi energetica. Ha imposto innovativi standard da rispettare in relazione all’efficienza nei consumi delle automobili, ha creato undici parchi nazionali, raddoppiando così l’area protetta nazionale, ha firmato nel 1978 una legge sulla tutela delle zone selvagge americane in via di estinzione e ha promosso ufficialmente l’adozione dei pannelli solari, istallandone alcuni pure sul tetto della Casa Bianca. Lo stesso che in seguito sarà poi ritirato da Ronald Reagan.

L’ idealismo di fronte alla dura realtà del mondo

Altrettanto degno di nota è il suo famoso discorso sulla "crisi di fiducia" del 15 luglio 1979 , più conosciuto dagli analisti come il "discorso del disagio" sebbene egli non abbia mai usato questa dizione, è più una predica che un discorso politico e affronta, ma con il senno di poi, un personaggio quasi profetico.

Riconosce le sue manchevolezze, denuncia alcuni aspetti critici della democrazia americana, riconosce la perdita di fiducia dei cittadini verso le istituzioni, deplora il materialismo etico, critica gli eccessi della società dei consumi esprimendosi in termini quasi apocalittici, pur riaffermando la sua fede nello spirito americano più autentico.

Questo discorso è stato inizialmente un successo aumentando il suo indice di popolarità di oltre undici punti. Due giorni dopo, ha ordinato le dimissioni di tutti i membri del suo gabinetto, poi ha fatto marcia indietro, accettando invece di licenziarne solo cinque che considerava inefficaci, sleali o che pesavano negativamente alla politica del paese. La confusione e il disordine che ne seguirono causarono il suo crollo nei sondaggi.

L'inflazione, l'elevata disoccupazione, la crisi energetica e la vicenda degli ostaggi americani catturati in Iran, insieme al fallito tentativo del loro recupero per via militare, ne accelereranno la caduta.

Tra una sinistra critica e l'opposizione della destra cristiana

Nonostante il suo impegno pubblico, Jimmy Carter credeva fortemente nella separazione tra Chiesa e Stato e riteneva che quest'ultimo non dovesse mai mostrare preferenza per alcuna fede religiosa.

È quindi contro la sua politica, considerata troppo laica, che i fondamentalisti evangelici costituirono una forza di opposizione politica attraverso organizzazioni potenti come la “Maggioranza morale” del telepredicatore Jerry Falwell. Si allearono con Ronald Reagan , sebbene non fosse molto religioso, con il quale condividevano un feroce anticomunismo, il desiderio di limitare il potere dello Stato federale e l'opposizione ai cambiamenti sociali moderni, in particolare sulle questioni di integrazione e sessualità.

Carter perse anche il sostegno dell'ala sinistra del suo partito, compresi alcuni evangelici progressisti che consideravano le sue politiche troppo centriste.

Un presidente di transizione alla fine del regime

In qualche caso la sua politica ha creato confusione: da un lato, ha deregolamentato i settori bancario, petrolifero e dei trasporti, opponendosi ai sindacati in nome della fine dei monopoli. Dall’altro, ha rafforzato lo Stato creando ministeri dell’Istruzione e dell’Energia, nonché agenzie per la protezione dell’ambiente e dei consumatori.

In molti modi, la presidenza di Carter ha segnato la fine di quella sorta di consenso al New Deal nel quale, per quasi 40 anni, gli americani avevano guardato con ottimismo verso il governo federale al fine di trovare le migliori soluzioni al governo del paese.

Sarà avversato dalla destra per la sua fedeltà agli ideali di una certa sinistra, ma anche dalla sinistra del suo stesso Partito Democratico, che in certe frange considerava le sue politiche troppo neoliberali.

Alle elezioni, gli americani sceglieranno di credere nelle promesse di Ronald Reagan: un futuro luminoso (l’”ottimismo reganiano”) e una visione ottimista per un'America positiva, incarnata da un ex attore di Hollywood che simboleggiava orgogliosamente la forza, il potere e i valori tradizionali più puri in un contesto di crisi economica e sfiducia nelle istituzioni e nello Stato.

La sconfitta di Carter nel 1980 annunciò un nuovo consenso politico ed economico segnato dalla rivoluzione di Roland Reagan.

Segna l’inizio di una politica che evita i problemi ambientali, che avrà conseguenze negative, e il ritiro dell’evangelizzazione progressista a favore di una destra che da allora si è praticamente fusa col partito Repubblicano.

E infine, che prefigura le guerre ideologiche e culturali le quali sono al centro della dialettica più accesa della società americana di oggi.

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