Le lobby in Europa: luci ed ombre su un tema che supera la semplice propaganda

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  Redazione
  08 July 2020
  7 minutes, 54 seconds

A cura di Tiziano Sini

Gli scorsi giorni sono stati pubblicati i dati relativi alla trasparenza nelle istituzioni europee, in particolare riguardo ai rapporti tenuti fra i parlamentari europei e portatori di interessi, con cui sono entrati in contatto. Dai dati si evince facilmente che di fronte ad un fenomeno importante come quello del lobbying, il comportamento dei rappresentanti nazionali testimonia tendenze fortemente diversificate, forse condizionate anche da modelli sociali e politici differenti.

Ne sono infatti un esempio valido i dati, che vedono i rappresentanti italiani (6,6%), greci (4,8%) e croati (o%), come i meno trasparenti, in netta discontinuità con i rappresentanti dei Pesi del Nord Europa come Svezia (90%), Lussemburgo (83%) e Finlandia (71%)[1].

Rispetto ai semplici dati, l’argomento ha dei risvolti molto controversi sull’effettivo dispiegarsi di questo fenomeno all’interno delle istituzioni europee, che negli anni ha generato reazioni molto negative.

Un esempio lampante è rappresentato dalla stessa Italia, dove, soprattutto negli ultimi anni, intorno al tema delle lobby si è sollevata incertezza e critica, con risvolti che molto spesso hanno alimentato un'interpretazione propagandistica e pregiudizievole, ed utilizzata nella fattispecie ogni qualvolta si presentano distorsioni nel processo decisionale.

Le dinamiche però sono ben più complesse delle mere illazioni populiste con cui le forze politiche dipingono il tema e, proprio per questo, per analizzare tale fenomeno, anche nei suoi aspetti più critici e scuri, occorre collocarlo in primo luogo nel contesto europeo; a cui dovrà far seguito un'analisi che colga la rilevanza dei mutamenti socio-politiche incorsi intorno a questo fenomeno negli ultimi anni, che hanno coinvolto anche i contesti nazionali per certi versi più lontani, come l’Italia, dove, dopo gli anni ’90 il fenomeno ha assunto un ruolo sempre più centrale.

Le Lobby nelle istituzioni Europee

Di centrale importanza diventerà quindi delineare le specificità di un fenomeno dall’enorme complessità che sin dalle origini ha ricoperto un ruolo strutturalmente centrale all’interno delle istituzioni europee.

La dimensione comunitaria è fondata sin dalle origini sull’ambito negoziale, caratteristica che si evince anche dalla struttura della governance, con istituzioni connotate da un forte pluralismo.

A questo si sommano due peculiarità che hanno costituito terreno fertile per la proliferazione di gruppi di interesse in Europa: l’assenza di partiti politici strutturati su base europea, oltre che una complessità non indifferente dal punto di vista sociale, economico, culturale e linguistico; entrambi motivi validi per cui le lobby in Europa ricoprono fin dal principio un ruolo strutturalmente centrale all’interno del processo decisionale.

In questo modo, la mediazione fra le istanze sociali provenienti dalle diversità europee vincolano gli interessi di una pluralità di territori e regioni differenti.

Si è aperta, così, un'importante questione riguardante il ruolo delle lobby nel tessuto istituzionale con il risultato che il coinvolgimento delle lobby in qualche modo è andato a colmare il cosiddetto “deficit democratico”, coinvolgendo nel processo decisionale gli interessi particolari. Ma a questa valutazione se ne somma un’altra, che è alla base di molte critiche: cioè l’effettiva trasparenza di un modello che si delinea con queste dinamiche.

Il diritto di fare lobbying e le criticità del sistema europeo

Come detto, quindi, il ruolo costruttivo interpretato dalle lobby, divenuto base delle iniziative comunitarie, trova una vera e propria legittimazione nei Trattati europei. All’art. 11 del TUE viene sancito il diritto ai cittadini ed alle parti sociali di ricoprire un ruolo fondamentale nel processo decisionale, e così come contenuto nel paragrafo 2 del medesimo: “Le istituzioni mantengano un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile”; e il paragrafo 3 per cui “Al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’Unione, la Commissione europea procede ad ampie consultazioni delle parti interessate[2].

Dello stesso avviso è anche l’art. 15 del TFUE, ex l’art. 255 del TCE, che determina “al fine di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione operano nel mondo più trasparente possibile[3].

Questa predisposizione di fronte al dialogo con i portatori di interessi particolari ha costretto, soprattutto negli ultimi anni, a dar seguito ad una importante regolamentazione in materia finalizzata a garantire in primo luogo una piena legittimazione, predisponendo altresì gli strumenti volti ad una maggiore trasparenza.

Questo sforzo ha portato nel 2011 all’adozione dell’Interistitution Agreement, volto a creare un Registro per la trasparenza[4], promosso congiuntamente da Commissione e Parlamento, nei confronti di organizzazioni, persone giuridiche e lavoratori autonomi, finalizzato a regolamentare la partecipazione dei gruppi di pressione al processo decisionale.

Questo primo tentativo non fu esime da critiche, soprattutto di fronte alla limitata efficacia della misura.

La mancata incisività del Registro, che portò alle riforme del 2014 e del 2018, era riconducibile alla tipologia di adesione, di fatto volontaristica, a cui nella stesura originale non seguivano nemmeno forti incentivi che attirassero i soggetti ad aderirvi.

Il Registro si compone di tre sezioni: in primo luogo, le linee guida, oltre che tutte le informazioni che dovranno essere rese pubbliche, compresi gli oneri finanziari.

A questo segue la seconda sezione dove è contenuto il codice di condotta che i soggetti aderenti sono tenuti a rispettare, ed infine la terza sezione che contiene il meccanismo di reclamo ed i provvedimenti applicabili in caso di violazione del codice di condotta[5].

Alla disciplina generale, è inoltre importante affiancare un’analisi che esamini l’effettivo dispiegarsi di essa all’interno delle istituzioni; un aspetto non secondario se si considera gli impatti e le implicazioni della poca trasparenza e limpidezza nei processi decisionali.

Per rendere l’idea, uno degli aspetti più controversi e critici riguarda proprio i lavori della Commissione e la partecipazione al processo decisionale di comitati di esperti, selezionati molto spesso in maniera poco trasparente, e fra i quali di frequente partecipano portatori di interessi.

Nel 2015, inoltre, con la comunicazione COM (2015)215 denominata Better regulation for better results- An EU Agenda, sono stati apportati dei miglioramenti in grado di investire la regolamentazione unionale, andando ad incidere anche sulle procedure di consultazione degli stakeholders[6].

Questa scelta era stata preceduta da un’altra decisione della Commissione, che nel 2014 ha introdotto un’agenda trasparenza nella quale andavano registrati gli incontri con i lobbisti presso l’istituzione, e che coinvolgeva non solo i commissari ma anche i responsabili degli uffici e gli staff, rendendo pubblici data e motivo dell’incontro.

A questa decisione ne è seguita una ulteriormente importante, sempre durante il mandato della Commissione Junker, volta ad incentivare una maggior partecipazione al Registro per la trasparenza, impedendo di accettare incontri con soggetti non iscritti al Registro (“no registration, no meeting”)[7]. In più, è stato aggiunto un intervento atto a limitare le pratiche di revolving door[8].

Per quanto riguarda invece il Parlamento, questo si era già mosso ben prima del Registro del 2011 per porre in essere presidi efficaci promuovendo una migliore trasparenza e responsabilità.

Attraverso il Regolamento del Parlamento Europeo viene introdotto l’obbligo da parte dei parlamentari di rendere pubblici gli interessi di cui sono, a qualsiasi titolo, portatori; come determinato dall’allegato I del regolamento, a cui segue l’iscrizione ad un particolare Registro pubblico, in cui sono riportati la posizione lavorativa e la posizione retributiva, compresi ogni tipo di compenso ricevuto nel corso del mandato.

Molto rilevante nel medesimo regolamento è anche l’art. 34 volto a promuovere l’introduzione dei cosiddetti “inter-gruppi”, ripercorrendo in questo modo la tradizione britannica, che equivale alla possibilità da parte degli eurodeputati di costituire gruppi trasversali “per svolgere scambi informali di opinioni su argomenti specifici tra diversi gruppi politici [..] per promuovere i contatti tra i deputati e la società civile[9].

Nonostante una regolamentazione con impatti altalenanti, forse le nubi maggiori si sollevano sull’operato del Consiglio dell’Unione Europea.

In questo caso è ben noto come i tempi dei lavori siano caratterizzati da due fasi: vi è la fase pubblica caratterizzata dalla riunione del Consiglio, che viene preceduta da una fase istruttoria a porte chiuse, a cui partecipano i rappresentanti permanenti dei governi (Coreper) insieme ad un numero elevato di comitati specializzati, stimati in più di 150.

Soprattutto i comitati ad hoc, quelli creati per discutere una particolare proposta normativa, ma nel complesso i lavori del Consiglio, sono per lo più oscuri e poco trasparenti; diventa infatti complicato in generale conoscere chi ne abbia preso parte e quali siano le posizioni.

Una situazione a cui molto spesso fanno seguito fenomeni estremamente complessi dove figure tecniche ed esperti, chiamate a fornire un parere, sono allo stesso tempo soggetti che a loro volta rappresentano specifici interessi.

Un brutto esempio questo che testimonia come la lobby si potrebbe sostituire al decisore stesso, aggirando qualsiasi regola, anche etica, e dando così adito a quelle critiche che spesso si sollevano a livello nazionale in tema di trasparenza all’interno delle istituzioni europee.

Di fronte ad un tema quindi sempre più rilevante, diventerà altrettanto importante a livello transnazionale fornire un certo grado di legittimazione, motivo per cui sarà ancora più importante garantire trasparenza e responsabilità.

[1] https://www.ansa.it/europa/notizie/europarlamento/news/2020/06/30/transparency-italia-tra-ultimi-per-trasparenza-lobby-al-pe_28bf1032-7e25-4117-b73e-c77312cc683a.html

[2] https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:2bf140bf-a3f8-4ab2-b506-fd71826e6da6.0017.02/DOC_1&format=PDF

[3] https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:12012E/TXT:IT:PDF

[4] https://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2011-0222+0+DOC+XML+V0//EN

[5] https://ec.europa.eu/info/about-european-commission/service-standards-and-principles/transparency/transparency-register_it - registro-per-la-trasparenza

[6] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX%3A52015DC0215

[7] https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/2-years-on-general-presentation_en.pdf

[8] https://www.europarl.europa.eu/thinktank/it/document.html?reference=EPRS_BRI%282018%29625105

[9] https://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+RULES-EP+20170116+0+DOC+PDF+V0//IT&language=IT

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