Riflessi d’Ucraina nel Mar di Okhotsk

Un anno di Ucraina ha prodotto un rapido deterioramento delle relazioni russo-nipponiche, innescando una corsa al riarmo di Tokyo. Come cambia lo scenario della contesa per i Territori del Nord?

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  Rocco Salvadori
  09 March 2023
  6 minutes, 33 seconds

Per decenni, le relazioni tra Mosca e Tokyo sono rimaste appigliate all’utilitaristico principio del non-antagonismo. Quando lo sfaldamento del blocco sovietico ha prodotto la dissoluzione dei preconcetti che impedivano il dialogo tra l’URSS e il Giappone capitalista, è apparsa ovvia la natura vantaggiosa che una normalizzazione delle relazioni avrebbe avuto per entrambe le parti. In tal senso, la ripresa dei negoziati per sbrogliare la disputa territoriale per le isole Curili ha funto per oltre un trentennio da espediente per la cooperazione o, in alternativa, da obiettivo ultimo della stessa. Eppure, l’invasione russa dell’Ucraina si è rivelata questione dal peso geopolitico talmente eccezionale da scatenare contro Mosca anche la reazione dell’attento Sol Levante, pacifista per Costituzione e imperituro ambasciatore della dottrina difensivista. Ormai in fase di deterioramento da quasi un decennio, la tela antimilitarista giapponese si è squarciata irrimediabilmente sotto la lama del conflitto russo-ucraino, inaugurando una stagione di riarmo destinata a stravolgere l’assetto strategico di Tokyo e la sua identità costituzionale. Tuttavia, leggere la svolta della Difesa nipponica come una contromisura di matrice etica, umanitaria o politica all’invasione russa equivarrebbe a soffermare lo sguardo sul dito senza accorgersi di ciò che esso sta indicando.

Asse Mosca-Tokyo: rapporti e interessi

“L’alleanza con il Giappone è d’importanza vitale. L’asse Mosca-Tokyo […] indebolirebbe l’impero dell’Atlantico Occidentale, aprendo l’orizzonte alla fondazione dell’impero continentale eurasiatico” scrive Dugin, teorico della dottrina neo-eurasiatica e predicatore dell’integrazione tra paesi est-europei e asiatici in funzione antiamericana. Soprannominato l’ideologo di Putin, non è esercizio troppo fantasioso immaginare come l’odierna politica estera russa si muova proprio lungo i solchi tracciati da Dugin. L’invasione dell’Ucraina non fa eccezione. Alle considerazioni geopolitiche si aggiungono quelle di natura economico-tecnologica: gli investimenti giapponesi, attratti dall’enorme potenziale dell’area siberiana, imprimerebbero un’accelerata decisiva allo sviluppo economico delle regioni più remote della Federazione. Allo stesso modo, sull’altra sponda del Mar del Giappone – quella insulare – si rileva altrettanto necessario il dialogo. Il governo di Tokyo è consapevole che collaborare con la Russia significherebbe in primis un passo verso il bilanciamento della potenza cinese in Estremo Oriente, avvertita come minaccia esistenziale dal Sori Kantei. A ciò si aggiunge l’impellente esigenza giapponese di riaprire i tavoli negoziali per risolvere la disputa delle isole Curili – arcipelago strategico che sbarra il passaggio dal Mar di Okhotsk, e dunque dal porto di Vladivostok, al Pacifico – questione che ha impedito a URSS e Giappone di concludere un accordo di pace nel dopoguerra, congelando le loro relazioni in un formale stato di guerra, tutt’oggi invariato. Ebbene, per oltre trent’anni – ancor più negli ultimi venti – le relazioni russo-nipponiche si sono mosse lungo queste direttrici, in un clima generale di non contrapposizione; talvolta persino di stretta collaborazione.

La svolta ucraina: sviluppi e ragioni

All’incirca un anno fa, quando le forze russe hanno fatto irruzione nel Donbass, il prezioso dialogo si è interrotto. Nessun errore di chiamata: Tokyo ha prepotentemente riagganciato la cornetta in linea con il Cremlino. Eppure, in occasione dell’annessione russa della Crimea (2014), il governo di Shinzo Abe si era guardato bene dal compromettere i rapporti con Mosca, pur prendendo parte ad alcuni provvedimenti sanzionatori. Un approccio ponderato, volto a dimostrare vicinanza all’alleato americano senza troppo danneggiare i propri interessi strategici. Stavolta, invece, la risposta giapponese è stata ben più risoluta e immediata, difficile da immaginare se si considera la fama di irriducibile temporeggiatore del premier Fumio Kishida. Nessuna esitazione nel condannare e sanzionare l’intervento russo, benché con misure prevalentemente simboliche; nessuna traccia della mediazione che – vedi caso israeliano e turco – ci si poteva attendere da un paese alleato di Washington e interlocutore di Mosca. Tipicamente isolazionista e riluttante nell’apertura dei confini – insegna la storia giapponese precedente alla Convenzione di Kanagawa (1854) – Tokyo ha smentito sé stessa anche a questo riguardo, aprendo ai rifugiati ucraini e riconoscendo loro la protezione umanitaria. Un insolito impegno a tutto campo che, specialmente in una regione tanto remota, può essere chiarito soltanto alla luce di una più ampia strategia nipponica nel bacino indo-pacifico.

A Tokyo si avverte l’urgente necessità di mostrarsi intransigenti verso qualsiasi tentativo di stravolgere lo status quo mediante l’uso della forza militare; non tanto per timore dell’espansionismo russo, quanto per scoraggiare Pechino da fare altrettanto. “Dobbiamo assicurarci che altri paesi non traggano lezioni sbagliate dalla situazione in Ucraina” è la posizione piuttosto esplicita assunta dal premier giapponese al G7 di Schloss-Elmau. Anche a fronte di alcune dispute territoriali con la Cina, i vertici di Tokyo sono tormentati dall’idea che una blanda reazione occidentale alle iniziative russe possa convincere lo Zhongnanhai che, in fin dei conti, il gioco potrebbe valere la candela. In tal senso, Kishida si è dimostrato risoluto, persino disposto a far saltare il dialogo con Mosca – peraltro impostato in funzione anticinese – pur di lanciare un monito al Dragone. Inoltre, anche la questione irrisolta delle isole Curili, storico assillo per il paese del Sol Levante, potrebbe conoscere una svolta proprio attraverso lo scontro con il Cremlino.

Lo scenario delle Curili

A Palazzo Imperiale, sebbene le trattative con Mosca siano saltate, non si respira aria di rinuncia ai ‘Territori del Nord’: tutt’altro. Benché Tokyo ne faccia una questione per lo più storiografica, la vicenda assume carattere globale per ragioni strategiche, care soprattutto a Washington. Ad onor del vero, gli Stati Uniti sono da considerarsi tra i principali responsabili del prolungato stallo negoziale, poiché nel 1956 hanno impedito al Giappone di accettare una restituzione in forma ridotta. Il tenace impegno americano a scongiurare l’intesa tra Mosca e l’alleato nipponico costringe oggi i giapponesi a fare i conti con una situazione esplosiva. Per di più, Russia e Cina hanno condotto delle ricognizioni militari coordinate nel Mar Cinese Orientale, a dimostrazione della volontà di cooperazione tra le due potenze revisioniste, lasciando presagire supporto reciproco anche sulle rivendicazioni terrioriali. Le dure posizioni di Kishida in merito all’Operazione Militare Speciale del Cremlino hanno provocato un irrigidimento diplomatico tra i due paesi, spingendo il regime russo a inserire il Giappone nella lista delle ‘nazioni ostili’. Mai fonte di tensioni allarmanti prima d’ora, le isole Curili rischiano di trasformarsi nel fronte orientale di un confronto tra Occidente e potenze revisioniste; ipotesi che, alla luce della nervosa disputa con Pechino per le isole Senkaku, intrappolerebbe Tokyo in un esplosivo scenario di tensione su due fronti.

Incalzato da Washington, il Sol Levante si appresta a fronteggiare, affiancando fedelmente gli Stati Uniti, l’ascesa della Cina e il revisionismo russo. Le recenti scelte di politica estera hanno condotto Tokyo a incastrarsi tra due arcipelaghi contesi, con l’inquietante prospettiva di un asse Mosca-Pechino all’orizzonte. Da oggi, possiamo smettere di reputare il Giappone una potenza unicamente in ambito economico-tecnologico. L’implementazione di un ingente piano quinquennale di riarmo apre uno scenario da ‘dilemma della sicurezza’, preannunciando un fragoroso ritorno dell’Impero sullo scacchiere internazionale.

 

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Fonti consultate per il presente articolo

D. Gorenburg, The Southern Kuril Islands Dispute, PONARS Eurasia, 2012, No.226

F. D’Aprile, La corsa al riarmo del Giappone cancella il pacifismo, Domani, dicembre 2022, https://www.editorialedomani.it/politica/mondo/riarmo-giappone-spese-militari-pacifismo-mq598xdd

F. Giuliani, Perché il coinvolgimento del Giappone in Ucraina potrebbe aprire un nuovo ‘fronte asiatico’, InsideOver, marzo 2022, https://it.insideover.com/guerra/perche-il-coinvolgimento-del-giappone-in-ucraina-potrebbe-aprire-un-nuovo-fronte-asiatico.html

A. G. Mulgan, What Russia’s Invasion of Ukraine Portends for Japan’s Northern Territories, The Diplomat, marzo 2022, https://thediplomat.com/2022/03/what-russias-invasion-of-ukraine-portends-for-japans-northern-territories/

M. H. Ozev & B. Kulaklı, Kuril Islands Issue: Regional and Global Geopolitical Implications, Asya Studies - Academic Social Studies, 2021, No.5(16), p. 1-13

D. Trenin & Y. Weber, Russia’s Pacific Future, The Carnegie Papers, Carnegie Endowment for International Peace, 2012 


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