Trattato ONU sull'alto mare

Un punto di svolta per gli oceani?

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  Alessia Pagano
  31 marzo 2023
  6 minuti, 6 secondi

Lo scorso 4 marzo nei quartieri generali dell’ONU, durante la Conferenza Intergovernativa sulla Biodiversità Marina di Aree al di là della Giurisdizione Nazionale, anche nota con l’acronimo BBNJ, veniva raggiunto un accordo senza precedenti circa la tutela degli oceani: il “Trattato sull’alto mare” (High Seas Treaty). La prima parte di questa serie di due articoli è stata dedicata alla genealogia di questo documento e agli ostacoli che ne hanno portato le trattative a protrarsi per ben 19 anni. In questo articolo, invece, ci concentreremo innanzitutto sul perché è fondamentale salvaguardare gli ocean; inseguito, illustreremo le sue principali caratteristiche; e infine analizzeremo la portata del suo impatto ecologico 


Perché è importante proteggere l’alto mare


Questo documento potrebbe segnare un vero e proprio punto di svolta per la tutela dell’alto mare, ossia la parte dell’oceano che si trova al di là della giurisdizione di qualsiasi Paese. Questa vasta distesa d’acqua costituisce due terzi degli oceani del globo, e comprende il 95% della biosfera terrestre. Al suo interno, l’alto mare ospita una vasta gamma di forme di vita, molte delle quali, si stima, ancora sconosciute. La biodiversità marina va tutelata non solo per il suo valore intrinseco, ma anche per il ruolo cruciale che svolge nell’ecosistema oceanico e al di fuori di esso, contribuendo al benessere del pianeta e delle altre specie che lo abitano. Ne è esempio il processo di fotosintesi attraverso cui le alghe e i cianobatteri producono oltre il 50% dell’ossigeno che respiriamo.

Gli oceani aiutano inoltre a regolare il clima globale e a ridurre l’impatto del cambiamento climatico, sequestrando il 25% del diossido di carbonio emesso nell’atmosfera e mitigando la temperatura attraverso l’assorbimento del 90% del calore in eccesso generato da tali emissioni.

Infine, vale la pena ricordare che gli oceani sono una fonte importante di sostentamento e reddito per numerose comunità costiere: oltre tre miliardi di persone fanno affidamento sul pesce come fonte primaria di proteine, e molte specie di alghe figurano tra i principali ingredienti di medicinali e cosmetici.

Nonostante il suo ruolo fondamentale per la salute e il benessere del pianeta e dei suoi abitanti, l’alto mare deve far fronte a diverse minacce, molte delle quali di natura antropica come l’inquinamento, la perforazione in acque profonde, l’aumento della temperatura globale, l’acidificazione delle acque, la biopirateria, la pesca intensiva e le catture intenzionali o accessorie di specie già a rischio di estinzione.


Cosa prevede l’accordo


Il Trattato cerca di bilanciare gli interessi degli Stati nell’uso delle risorse oceaniche con la necessità di proteggere e preservare l’ambiente marino per le generazioni future. Fino ad ora, solo l’1% dell’alto mare era stato dichiarato area marina protetta (MAP), ma tramite questo accordo le acque internazionali godranno di una maggiore tutela grazie al notevole aumento di tale percentuale. Il maggior numero di MAP fornirà infatti rifugi sicuri per la vita marina e consentirà agli ecosistemi di riprendersi dagli impatti delle attività umane. In particolare, il trattato mira alla salvaguardia di ecosistemi marini vulnerabili, come i coralli di acque profonde e le montagne sottomarine, vietando attività che potrebbero causar loro danni significativi.

Inoltre, l’accordo raggiunto imporrà di effettuare delle valutazioni di impatto ambientale prima di ogni attività che faccia uso delle risorse marine in alto mare e di monitorarne gli sviluppi. In questo modo, gli stock ittici, che in questi anni sono stati drasticamente ridotti a causa della pesca intensiva, potranno essere gestiti in maniera più sostenibile, e sarà più facile tenere sotto controllo la percentuale di plastiche e scarti chimici che vengono smaltiti in mare.

Tra gli obiettivi del Trattato c’è anche la promozione della ricerca scientifica marina, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo. Esso richiede inoltre a tutti gli Stati di condividere i dati e le informazioni che vengono raccolte in modo da poter beneficiare equamente delle nuove risorse genetiche scoperte.

Al fine di risolvere le dispute tra gli Stati relative all’interpretazione e all’applicazione delle sue disposizioni, il trattato include anche dei meccanismi di risoluzione delle controversie. In aggiunta, per assicurare che i progressi vengano monitorati e gli obiettivi aggiornati nel tempo, sarà stabilita una Conferenza delle Parti (COP) che, attraverso incontri periodici, permetterà agli Stati membri di render conto della governance degli oceani e della salvaguardia della biodiversità.


Il futuro degli oceani


L’accordo è stato definito un “game-changer per gli oceani”, e, sebbene non garantisca automaticamente il raggiungimento dell’impegno 30x30 stabilito alla COP15, che prevede di tutelare il 30% di mare e terraferma entro il 2030, senza di esso di sicuro non sarebbe possibile mantenere questa promessa.

Tuttavia, è ancora presto per cantare vittoria, dato che il Trattato sull’alto mare può soltanto fornire un quadro legale per la salvaguardia degli oceani, ma non definisce delle misure specifiche, né è di per sé vincolante per tutti gli attori coinvolti.

Le MAP saranno infatti decise solo in un secondo momento, e il testo presenta quella che alcuni diplomatici potrebbero chiamare “ambiguità costruttiva”, ossia l’uso deliberato di un linguaggio aperto a diverse interpretazioni per trattare una questione delicata con l’obiettivo di promuovere uno scopo politico. Definire una cornice di legalità non implica necessariamente una garanzia di giustizia, e anche a livello di dibattito teorico la questione sulle responsabilità degli Stati per danni ambientali è tutto meno che limpida.

Inoltre, l’accordo entrerà in vigore solo previa ratifica di almeno sessanta Paesi, e anche allora comunque non potrà imporre i criteri di valutazione di impatto ambientale stabiliti su enti che ne siano già forniti, ma potrà solo limitarsi a incoraggiare una convergenza verso questi standard.

Ciononostante, bisogna riconoscere dei meriti ai membri della BBNJ, i quali sono riusciti a stilare un trattato storico che, come auspica l’esperta di governance marittima del WWF Jessica Battle, “aiuterà a cucire insieme i diversi trattati regionali”. Considerata la scarsa propensione di molte potenze ad adeguarsi agli standard imposti dalle convenzioni internazionali – come si può vedere dalla mancata ratifica statunitense dell’UNCLOS –, il successo della Conferenza può davvero definirsi una “vittoria per il multilateralismo”, nelle parole del Segretario Generale dell’ONU António Guterres. La volontà di scendere a compromessi invece di rimanere fissi sulle proprie posizioni, mostrata soprattutto dalla High Ambition Coalition, è stata determinante, e lo sarà ancora di più per riuscire a implementare queste misure in maniera efficace.


A cura di Alessia Pagano e Matteo Gabutti


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Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.pexels.com/it-it/foto/fotografia-subacquea-dell-oceano-2397651/

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https://www.highseasalliance.org/treaty-negotiations/

https://highseasalliance.org/treatytracker/hsa-civil-society/agreement-reached-to-advance-high-seas-treaty/

https://www.un.org/bbnj/sites/www.un.org.bbnj/files/draft_agreement_advanced_unedited_for_posting_v1.pdf

https://www.highseasalliance.org/resources/treaty-qa/


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Alessia Pagano

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